Un'alleanza per fermare il declino? di Luciano Iannaccone
La
storia italiana, sia nella lunga fase preunitaria che in quella unitaria, si è
nutrita più di contrasti che di concordia. Dopo il 1861 e fino ad oggi il
parlamento nazionale da una parte e l’opinione pubblica dall’altra hanno
frequentemente trasformato la fisiologica dialettica politica in scontri
all’ultimo sangue tra il Bene ed il Male. E’ vero, avviene anche in quasi tutto
il mondo, in quello vario delle democrazie come nei regimi dispotici o
autoritari. Ma forse da noi si esercita con una “professionalità” particolare, affinata
in secoli di lotte intestine comunali, di permanente vitalità delle fazioni e
di periodiche rivolte del popolo di città o delle campagne.
Pochi,
nella vicenda unitaria e postunitaria, i momenti in cui si è attuata o si è
tentata un’unità politica e parlamentare la più ampia possibile per render
possibili alti e decisivi obiettivi
nazionali. Il “connubio” promosso da Cavour al parlamento subalpino tra il suo
“centro destro” ed il “centro sinistro” di Urbano Rattazzi fu decisivo per la
modernizzazione del Piemonte e l’insperato
e vittorioso processo di unità nazionale. Con l’immatura scomparsa di quel
geniale “lavoratore politico” la dialettica nazionale regredì troppo spesso al
municipalismo ed al trasformismo rissoso, risultando inadeguata ed impreparata alla
crisi di fine secolo.
Provò
Giolitti, di fronte alla industrializzazione, alla dinamica capitalistica anche
in agricoltura ed alla questione sociale, a cercare di coinvolgere la
rappresentanza parlamentare socialista nelle responsabilità di governo, ma
senza successo. Dopo il dramma umano ed economico della guerra, il mito del
“fare come in Russia” e l’insanabile contrasto tra uomini e partiti aprì la strada
prima al governo Mussolini e dopo il discorso del 3 gennaio 1925 al regime.
Dopo
il 25 luglio 1943 la lotta al nazifascismo vede l’unità nella lotta di
liberazione delle forze politiche antifasciste, che continua con la nascita
della Repubblica italiana e si arresta con la “guerra fredda” tra le democrazie
occidentali ed il brutale espansionismo stalinista.
Il
centrismo degasperiano, dopo il 18 aprile 1948, riunisce intorno alla
maggioranza assoluta parlamentare della Democrazia Cristiana le forze laiche
liberali e socialdemocratiche, promuovendo la ricostruzione ed il successivo
“miracolo economico” ma vedendo progressivamente restringersi l’area del
consenso a sinistra ed a destra. Un decennio dopo, con l’apertura a sinistra,
nasce l’alleanza tra DC e socialisti, la cui unificazione non allargò come sperato
i consensi al governo.
La stagione della solidarietà nazionale nella seconda
metà degli anni ’70, frutto del “compromesso storico” berlingueriano, del
riformismo di Amendola e di La Malfa e della visione di Moro si esaurì
rapidamente, per lasciare il passo al protagonismo craxiano.
L’ultimo momento alto di unità bipartisan civile e politica fu
probabilmente la stagione referendaria, il cui frutto fu la stagione dei
bipolarismi. Con dei meriti, soprattutto nel primo governo Prodi e nel secondo
governo Berlusconi, ma anche con una
pesante eredità. Quella dell’avversario come nemico assoluto da abbattere,
soprattutto di Berlusconi come male assoluto: acqua torbida che poi i 5stelle
hanno venduto in bottiglietta con innegabile successo.
Recente espressione di unità nazionale, in gran parte
del parlamento ed in minor parte del Paese, il governo Monti, nato in una
fase di grave difficoltà finanziaria ed
economica. Ha cercato di darsi da fare, con alcuni meriti, tra cui la riforma
Fornero che solo quanti vogliono ingannarsi e soprattutto ingannare possono
maledire. Ma è anche mancato coraggio, senso dello Stato, autorevolezza
operativa, lasciando un lungo seguito di delusione e protesta.
Oggi,
come mai nei precedenti settant’anni, il presente ed ancor più il futuro
dell’Italia sono drammatici. La crescita è minima, circa un quinto di quella
europea. Al significativo livello patrimoniale medio delle famiglie italiane
(pur colpito dalla vasta caduta del mercato immobiliare) si contrappone l’inarrestabile
ascesa del già elevatissimo debito pubblico, al livello percentualmente più
alto da quasi un secolo, con tassi di
interesse, grazie all’euro, per ora miti: fino a quando ?
Ma, al di là dell’economia e della finanze, è
la realtà ad apparire umanamente misera e senza speranza. l’Italia è
soprattutto la desolata area del fronte che appare nel film “1917”: reticolati
di ogni tipo, insidie, pericoli rendono arduo se non impossibile muoversi, lavorare
e costruire. La mano pubblica diventa sempre di più la pressa raffigurata dall’
“Uomo qualunque” di Guglielmo Giannini, che stritola il cittadino. Come
meravigliarsi che la produttività, caso praticamente unico al mondo a parte
Venezuela e dintorni, non cresca da più di un ventennio ? Il richiamo
attrattivo dell’Italia per gli investimenti stranieri tra incertezza del
diritto, dei tempi burocratici e
l’incessante creatività legislativa e regolamentare è prossimo alla zero. Molti
giovani di valore trovano lavoro all’estero e se ne vanno.
E
la politica e il governo del Paese ? Si toccano i livelli probabilmente più bassi
dal
Tra
Ilva, Alitalia, Tav, Autostrade e cento altre vicende sono riusciti quasi
sempre a dare il peggio. Intendiamoci, anche gli altri, dalla Lega ai Ds, ci hanno
messo del loro come alleati di governo, contribuendo allo spreco di denaro
pubblico preso a prestito.
Il
governo in carica, nato per iniziativa di Renzi, ha avuto il merito di
stringere l’Italia all’Europa (quest’ultima alle prese con l’esigenza di una
rinnovata e indispensabile ripartenza) con migliore apprezzamento dei nostri
titoli pubblici sui mercati. E anche di suscitare per contrasto un europeismo
leghista, che ora parla in particolare per bocca di Giorgetti.
La
manovra di bilancio è stata accettabile, ma si stanno scaricando sul governo e
sull’Italia i gravi problemi di una
stagnazione interna iniziata nel secondo semestre del 2018 e che si accentua
con il malgoverno a 5Stelle e le parole vuole di Conte. Il Pd appare restio a
contrapporvisi con forza, perchè sensibile all’ “hic manebimus optime”, nel
sostanziale silenzio di liberali e riformisti. E Italia Viva sembra rimasta
sola al governo a combattere il giustizialismo anticostituzionale di Bonafede
(e Conte).
L’Italia
appare avviata alla “tempesta perfetta”, in cui una serie di pesanti fattori
negativi, compresa l’incertezza internazionale ed europea, si stanno sommando
per generare l’inarrestabile declino civile, economico, politico, di cui ha scritto fra gli altri su “libertàeguale”
Natale Forlani.
C’è
una possibilità di salvezza ? Innanzitutto se nella nostra Italia si svilupperà
una consapevolezza grave e diffusa del bivio a cui ci troviamo. Se la serietà e
la responsabilità prenderanno il posto della demagogia e delle parti in
commedia. Se il maggior numero di italiani e di membri del parlamento nazionale
non fuggiranno dall’amara verità, ma la faranno propria. Se una parte significativa dei partiti e
movimenti (a partire da quelli con maggior consenso) accetteranno di allearsi
per fermare concretamente il declino. E se questa alleanza si realizzerà in
vasti settori della società. Così e non con l’astuta retorica si sconfiggerà quel
“cupio dissolvi” che monta e si alimenta con la menzogna, l’odio ed il livore.
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