Una ragionevole speranza per cambiare la politica-FUCI Bari- Martinazzoli

Tavola Rotonda Una ragionevole speranza per cambiare la politica di Mino Martinazzoli Ho quasi la sensazione di parlare dall'oltretomba, perché pare di capire che la convenzione implicita della congettura dell'alternanza sia che la Democrazia Cristiana di questa alternanza sarà solo l'oggetto. Le cose, per la verità, non stanno così. Io peraltro non sono la Democrazia Cristiana, sono un democratico cristiano che è tra l'altro convinto ch e il punto di crisi radicale della politica oggi è da scrutare nel rapporto tra politica e verità. Parlo di una cosa vecchia, ma anche di una cosa in larga misura strepitosamente nuova, quale è il portato di una società della comunicazione, così come si rappresenta nel tempo della modernità. Ma questo lo metto come iscrizione del mio intervento, per dire che sono molto d'accordo su tante cose che ho ascoltato, ma anche molto in disaccordo. Io credo che occorra introdurre un po' di cultura critica in un tempo che, supponendo superate le ideologie e la politica intesa come totalità, rischia di diventare il tempo del manierismo ideologico, cioè di un surrogato dell'ideologia, di una serie di opinioni senza principi, senza progetti, senza responsabilità . Non è vero che il tema dell'alternanza è la chiave di volta della crisi della politica, tant'è che la crisi della politica intesa come crisi della capacità di senso, di valore, di rappresentazione equa del destino di un popolo la ritroviamo anche laddove il regime dell'alternanza è fisiologicamente in atto: quindi, le cose sono più complicate. Non è vero che l'alternanza nel nostro paese non si è realizzata per la mancanza di regole o per la nequizia di qualcuno. Credo che abbia ragione Formica; la leggenda della conventio ad excludendum è tutta da rovesciare: è la diversità comunista che ha determinato l'esclusione del PCI, non la malignità degli altri. La storia della consociazione è poi davvero quella che ci raccontiamo adesso, una storia di abbracci continui? Io non li ho mai visti, questi abbracci. Io so quale possa essere stato il rapporto, decisivo e importante per la crescita di questa democrazia, tra De Gasperi e Togliatti, ma non mi risulta proprio che si trattasse di uncompromesso mediocre o arrendevole dall'una o dall'altra parte. Secondo me è allora molto più ricca una parte della relazione di Occhetto al recente congresso comunista laddove, con grande precisione, persino con enfasi, si sottolinea la crisi complessiva del sistema politico italiano; il che denuncia l'esigenza di un cambiamento che è più di un varco all'alternanza nella situazione data. Occorre consentire l'alternanza, ma occorre sapere che l'alternanza si dà in un cambiament o complessivo di chi agisce da protagonista nel sistema politico; la qual cosa tranquillizza un democristiano, perché è chiaro che in questo senso io non mi sento per niente oggetto dell'alternanza. mi sento un protagonista possibile di questo nuovo tempo delta democrazia italiana. Certo, con grande circospezione e preoccupazione: io sono di quelli che hanno detto al recente congresso del mio partito che la Dc perde se ritiene in un tempo così di rifiutare il mutamento. L'idea che noi della DC saremmo chissà perché il motore immobile del mutamento è un'idea scadente e perdente. Ecco allora perché trovo invece molto importante l'indicazione di uno strumento referendario. Perché coglie quello che è il tema della riforma anche elettorale nella sua dimensione giusta. Non è praticabile l'idea di una corre zione istituzionale al di fuori di un certo "candore" istituzionale, lo ha detto Pasquino. Occorre un atteggiamento per il quale gli interlocutori non sono in grado di calcolare la loro convenienza sul futuro; occorre peraltro un atteggiamento morale che sia in grado di sapere che le regole non sono il luogo della somma delle convenienze, ma sono il luogo della rinuncia ad un po' di convenienza da parte di ciascuno. In questo senso l'ingresso del dato di società civile, di opinione di popolo in questa fase costituente è il dato decisivo della questione, perché il dato decisivo della verità delle riforme istituzionali non riguarda i rapporti tra i partiti, ma i rapporti la politica e la vita, tra le istituzioni e la gente. E qui quello che è certamente in forte condizione critica è il rapporto di legittimazione, di sovranità popolare, di capacità rappresentativa, tra gestione del potere politico ed espressione del consenso elettorale. Io credo che si debba fare esattamente così, e bisogna sapere che si apre una partita di estrema, straordinaria responsabilità della gente, perché in quella partita ci sa rà legittimamente anche la proposta socialista di elezione diretta del Presidente della Repubblica. L'unico modo di restituire lo scettro al principe è esattamente questo, ed in questo senso io credo occorra lavorare. Un'ultima considerazione, che faccio con grande circospezione. Devo dire agli amici della FUCI che l'affermazione che mi convince di meno è l'esigenza di dire oggi che l'unità politica dei cattolici è anche storicamente messa in discussione. L'unità politica dei cattolici in quanto teorema o dogma non è mai stata da me teorizzata, voluta o cercata, ma quell'avverbio "storicamente" è importante ed io vi debbo dire che la mia opinione è totalmente capovolta. In un tempo nel quale la storia comunista non può più apparire a dei cristiani come un'eresia del cristianesimo, ma come un fallimento storico; in un tempo nel quale il Partito Comunista Italiano sviluppa una linea di cambiamento fortissima, ma che tenderei ad immaginare tutta fuori da quello che può essere l'interesse dei cristiani nei confronti di questa esperienza; in un tempo nel quale è in crisi la cultura socialdemocratica come cultura che interpreta lademocrazia secondo una versione contrattualistica; in questo tempo, mi pare che l'ambizione dei cattolici, non necessariamente di tutti (sarà quel che sarà ed io non so se la DC in quanto organizzazione già presente sarà capace dì vincere una scommessa o sarà invece costretta a riconoscere uno scacco), non debba essere la diaspora, non un banale pluralismo dei cattolici, ma una sfida per essi a capire se sono capaci di esprimere, a livello di organizzazione politica e civile, di fronte ad una provocazione che riguarda tutti, una peculiarità e originalità alla quale non solo hanno diritto, ma sono portati da un dovere. E questo non perché abbiano delle risposte già fatte, ma certamente delle virtualità per dire una qualche ragionevole speranza. di Mino Martinazzoli *Presidente del Gruppo Parlamentare della Democrazia Cristiana alla Camera dei Deputati _____________________________________________________________________________________________

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