Un sì conservatore

La vittoria del sì rischia di trasformarsi in un grande segnale di conservazione. Di conservazione e di arretramento. Si torna a fare confusione tra pubblico e statale, trascurando anche principi costituzionali. Si finisce con il pensare che i monopoli pubblici siano più efficienti delle politiche di regolamentazione, che pure hanno i loro problemi. Si assolutizza il principio di precauzione e si ignora quello dell’analisi tra costi e benefici allargata all’intero sistema energetico e ai suoi riflessi geopolitici. Tutte operazioni che riducono i margini di manovra del paese e che ci costringono a ripercorrere strade che abbiamo visto non funzionare. Persino il sì al legittimo impedimento, che pure è difficile non concedere a fronte di una disciplina sostanzialmente incostituzionale, come la Corte ha detto, rischia di essere un sì ad uno dei conservatorismi più forti, quello in materia di riforma dell’ordinamento giudiziario. La vittoria del sì somiglia ad una sorta di grande sì alle anomalie italiane. Quelle per cui quando c’è da garantire un servizio di interesse generale è meglio costruire un monopolio statale. Quelle per cui il profitto è un male. Quelle per cui il principio di precauzione è una nuova ideologia. Quelle per cui il mantenimento degli intrecci tra pubblici ministeri e giudici è un merito del nostro sistema. I riformisti dovrebbero cercare di liberare l’Italia da queste anomalie. Immagino mi si dica che la vera, unica anomalia italiana è un’altra. Ma si supera un’anomalia e colpi di anomalie?

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