Un nuovo inizio dell'Europa e dell'Italia, di Luciano Iannaccone

SCEGLIENDO E COSTRUENDO LA SOCIETA’ LIBERALE   Chi ha cercato di mettere al centro del dibattito elettorale la necessità di un nuovo inizio dell’Europa ha sperimentato come non fosse facile trovare attenzione e partecipazione ad una prospettiva diversa dalla semplice concorrenza di partiti e coalizioni. Perché ? Perché nel voto ci si schiera volentieri per qualcuno che va bene o contro qualcosa che non va; talvolta per paura o per speranza si fanno scelte “di campo”, ma sempre in relazione ai simboli che stanno sulla scheda elettorale. Parlare di nuova Europa sembrava un po’ come discettare di dietetica ad una degustazione gastronomica. Ma ora, dopo il voto, il tema dell’Europa torna prepotentemente in campo come questione ineludibile anche se tutti, dall’informazione ai partiti, sembrano parlare d’altro e i cittadini elettori purtroppo pure. Nei prossimi mesi Francia e Germania cominceranno ad entrare nel vivo delle problematiche relative a un “nuovo inizio” dell’Europa e l’Italia dovrà decidere se essere protagonista o meno. Il che vuol dire scegliere nientemeno un nuovo inizio dell’Italia.   La ragione della lontananza di tanti partiti ed elettori da questo snodo sta anche nel fatto che della nostra storia nazionale (ed europea) sappiamo davvero poco: per noi comincia con la fine della guerra, la sconfitta del fascismo e la repubblica, che non conosciamo  poi granchè, a parte i pochi per ragioni anagrafiche che vissero quell’esperienza. Col “Regno d’Italia” sembra di tornare alla preistoria. Eppure quando esso fu proclamato, nell’entusiasmo del primo parlamento nazionale, cominciava un cammino nuovo su sentieri mai prima percorsi. I movimenti politici più forti agli inizi dell’Italia repubblicana, il democristiano e il socialcomunista, hanno prevalentemente descritto l’indipendenza e l’unità d’Italia come instaurazione di democrazia e libertà “formali”, precluse alle grandi masse popolari. Avevano ragione nel fotografare staticamente la situazione di centocinquant’anni fa, ma non coglievano il dinamismo che “il sistema della libertà in tutte le parti della società religiosa e civile” (Cavour) avrebbe impresso all’Italia, facendola progressivamente entrare nella modernità. Questo breve “excursus” serve a chiarire che alle grandi scelte di libertà della nostra storia nazionale non abbiamo partecipato né direttamente e spesso neppure per ratifica consapevole e partecipe. Ciò ci rende incerti o insensibili davanti a nuove sfide.   La situazione attuale ci chiama infatti ad una nuova scelta epocale: la globalizzazione porta con sé grandi potenzialità positive, da cui trarre tutto il bene possibile, e anche pericoli da cui difendersi. Ma è totalmente illusorio che ciò possa avvenire prevalentemente attraverso la sovranità di Stati ognuno dei quali, come avviene in Europa, rappresenta al massimo l’un per cento della popolazione mondiale. Non si tratta quindi di un mero trasferimento di quote di sovranità dagli Stati nazionali all’Europa (agli Stati Uniti d’Europa) ma di gestire tali quote all’unico livello (europeo) in cui possano essere reali, e non immaginarie. Come pensare oggi una politica della sicurezza e della difesa, dei confini, dell’ambiente e del clima, degli investimenti e delle reti infrastrutturali e tecnologiche, del lavoro e delle conquiste sociali ed economiche, in definitiva della società liberale, che possa avere qualche efficacia se concepita ed attuata in una dimensione solo nazionale ? E’ problema analogo, ma a un livello multiplo di scala, a quello degli Stati italiani di circa due secoli fa, divisi da leggi, frontiere e dogane e per buona parte soggetti direttamente (Lombardo-Veneto) o indirettamente (Emilia e Toscana) all’Impero asburgico. Solo una dinamica di indipendenza e di unità avrebbe aperto la strada alla libertà dei commerci, agli investimenti infrastrutturali (ferrovie in testa) e con essi ad una società sottratta al dispotismo regio attraverso istituti democratici  di libertà.  Allora  gli ideali liberali guidarono l’Italia all’unità ed all’indipendenza per realizzare l’affrancamento dall’ “ancien règime”, oggi sia la forza positiva che i pericoli di una globalizzazione che soffia impetuosa spingono popoli e Stati non a combatterla con l’isolamento che impoverisce ma a utilizzarla per avanzare sulla strada dell’umano progresso. Ma, in questa parte del mondo, solo gli Stati Uniti d’Europa (ideale di Carlo Cattaneo e Luigi Einaudi,di Luigi Sturzo ed Altiero Spinelli) hanno la statura  per farlo, avvalorando identità e funzione dei singoli Stati.   Questa prospettiva può lasciare indifferenti, se non ricordiamo contro cosa ha lottato la società liberale: il regime del dispotismo regio, dei privilegi di nascita e di censo, di radicali ineguaglianze, dell’alleanza tra il trono e l’altare, un mondo chiuso nella proprie certezze e nei propri arbitri, flagellato da povertà, guerre e carestie. Un mondo non inumano, ma troppo ingiusto e  lento per rispondere a bisogni enormi e irrisolti. E deciso,  talvolta spietato, nell’opporsi ad ogni novità che minacciasse i suoi iniqui equilibri. Questo “ancien règime” non è morto per sempre, può ritornare sotto forma di inediti  privilegi, da cui nascono nuovi dispotismi e vecchie arretratezze. Anche per il vento impetuoso di una globalizzazione che può attorcigliarsi su se stessa se non giunge a schiudersi alla civiltà liberale, che non è soltanto libero scambio e digitalizzazione. Basta guardare a quel che succede oggi nel vasto mondo. Per dirla in breve, la “distruzione creatrice” dell’economia di mercato globale e della tecnologia digitale hanno bisogno della società liberale per diventare strumenti di civiltà, umanità e solidarietà. Per non aprire varchi a ingiustizie e dispotismi vecchi e nuovi, nascano dagli automatismi finanziari o dall’evoluzione della cieca protesta. Occorre una rinnovata riscoperta della libertà come condizione originaria di ogni uomo nell’apertura agli altri ed all’alterità del presente e del passato.   Quindi un nuovo potere all’Europa ( conferito dai Paesi che vi aderiscono senza restrizioni e riserve mentali) è condizione necessaria, ma non sufficiente per fare della globalizzazione una grande opportunità. Come pure il necessario protagonismo di ogni Paese partecipante nel pretendere la giusta considerazione per le proprie specifiche esigenze, perché la ragione non sia del più forte: ce lo spiega Sergio Fabbrini sul “Sole 24 ORE” dell’11 marzo. E’ necessario anche un criterio, una visione, un’azione che siano indipendente rispetto agli “automatismi” della mera dinamica globale: tale criterio è la società liberale che si esprime sia in battaglia culturale per il progresso sociale e civile che nelle decisioni di merito e nelle conseguenti realizzazioni della democrazia politica. Senza la rinnovata centralità della cultura liberale e delle scelte di merito della politica, sia a livello europeo che a livello nazionale, queste finiscono con l’essere surrogate  da  improvvisazioni populiste prive di ogni capacità costruttiva, sia nella evoluzione ribellistica che in quella trasformistica. O da una gestione del potere di tipo giuridico e formale, incapace di misurarsi con i problemi e con le scelte che la situazione mondiale e quella nazionale pongono. E’ quello che già avviene sia in Europa che in Italia, da una parte con la stagione di populismi chiusi al futuro dall’altra con burocrazie, eurocrazie e corti che fanno delle procedure formali il contenuto (e non la garanzia) delle decisioni  che troppo frequentemente avocano di fatto a sé. Una sorta di ritorno all’ “ancien règime” ed ai suoi  privilegi: “summum ius summa iniuria”.   Nasce dalle scelte di merito della società liberale, attraverso l’esercizio della democrazia politica, la forza decisionale di cui abbiamo bisogno in Europa ed in Italia per una nuova stagione di conquiste civili e sociali, capaci di contaminare il più vasto mondo, come è già avvenuto nell’avventura umana. Per questo vi è la necessità di “un nuovo inizio” dell’Europa. E di un’Italia che vi partecipi da protagonista, ristabilendo innanzitutto nella vita nazionale la centralità delle decisioni responsabili della politica: non delle narrazioni acchiappavoti, di cui diventa poi imbarazzante (e comico) disfarsi. E’ questa la scelta ineludibile, ma difficile non solo della XVIII legislatura, ma di tutti i cittadini italiani che vogliono la società liberale: un nuovo inizio. E’ questo il vero e decisivo spartiacque tra le forze ed i partiti del Parlamento italiano. L’esito sarà deciso da una battaglia di verità e di  civiltà che è appena cominciata.   Luciano Iannaccone  

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