Un lungo inverno, di Luciano Iannaccone
Il governo gialloverde non si arresta sulla brutta china imboccata da più di sette mesi e compendiata in una pessima legge di bilancio, che dà un significativo contributo al declino del Paese. Legge che produrrà nell’anno in corso un convulso teatro fatto di interventi pasticciati e controproducenti, di confusione operativa e purtroppo di progressivi rilevanti scostamenti tra il bilancio preventivo ed il consuntivo scritto dalla realtà. Con economia e conti pubblici in affanno, l’Europa che tornerà a far sentire la propria voce critica, il ritorno della preoccupazione dei mercati e altri miliardi di euro di maggiore spesa sul debito.
Amedeo Lepore ha molto utilmente rassunto in un suo intervento su “libertàeguale” le previsioni a inizio anno dell’economia mondiale rese dall’Economist Intelligence Eiu (Eiu), che vedono un rallentamento modesto della crescita mondiale, più marcato negli Stati Uniti (dal 2,9% stimato nel 2018 al 2,3% nel 2019 e all’1,3% nel 2020) e meno accentuato in Europa (dal 2% del 2018 all’1,8% sia nel 2019 che nel 2020). Mentre la Cina ( dal 6,6% del 2018 al 6,3% del 2019 ed al 6,1% del 2020) e soprattutto l’India, crescendo del 7,4% nel 2019 come nel 2018, manterrebbero ritmi di crescita molto sostenuti anche rispetto al dato globale, dato in diminuzione dal 2,9% del 2018 al 2,7% del 2019.
E l’Italia ? E’ accreditata di una crescita dello 0,9% nel 2018 e dello 0,4% nel 2019, meglio solo del Venezuela (- 5,7% nel 2019) e a seguire di Yemen, Iran, Guinea Equatoriale, Argentina e Nicaragua: settima nella classifica dei peggiori del mondo. Non si obietti che la caduta della crescita italiana sarebbe comunque in linea con quella mondiale ed europea, perché a smentirlo bastano i numeri sopra riportati. L’Italia, che aveva dal 2015 un crescita intorno al 50% di quella europea e l’aveva portata nel 2017 al 60%, la riporterebbe a meno del 50% nel 2018 e a meno del 25% nel 2019, malgrado la “previdente manovra espansiva” celebrata da Conte. A causa della congiuntura internazionale o anche e soprattutto della “politica” di Di Maio & C. ?
Certo, si tratta per ora solo di previsioni, ma per quanto riguarda l’Italia si allineano ad altre già prodotte e si discostano nettamente dai dati della legge di bilancio, confermando le tante voci che hanno denunciato l’ottimistica infondatezza delle cifre della medesima su crescita, inflazione, entrate e conseguentemente deficit e debito. Nodi che verranno purtroppo al pettine.
Ecco perché l’inverno rischia di essere molto lungo e di durare anche quando il calendario l’avrà superato. Tanto più che nel governo gialloverde Conte ormai si affida, soprattutto in Europa, alla clemenza della Corte mentre Di Maio e soci condiscono i tanti disastri che combinano con asinerie à gogo, compreso il nuovo “boom economico” in arrivo in Italia. A Salvini basta chiamarsi fuori quando è necessario, mentre il più delle volte solletica la giusta domanda di sicurezza e di equanimità di tanti italiani con parole ed azioni ad effetto, non con fatti che rimuovano veramente le ragioni del disagio. Per questo, e non perché chiede severità, va combattuto.
Anche rifiutando atteggiamenti manichei, e quindi riconoscendo quanto di buono ogni tanto pur emerge da maggioranza e governo, occorre riconoscere che si tratta di poco rispetto al tanto di approssimativo o di dannoso o di inconcludente che domina.
Come spiegare allora che il consenso del governo e dei due partiti che lo sostengono sia ancora rilevante, come sembrerebbero attestare i sondaggi sulle intenzioni di voto ? Diciamo intanto che le illusioni sono tenaci, con risvegli tardivi. E poi si conferma altamente probabile che in modi diversi i due vincitori del 4 marzo abbiano stabilmente attratto molti italiani a “reagire al potere”, a schierarsi “contro” in una logica apparentemente di popolo unito (“cittadinanza” e “identità” le due parole d’ordine), sostanzialmente di individualismo solitario “senza porte né finestre” tranne due continuamente attivate: le promesse e le parole d’ordine rispettivamente di Lega e 5Stelle. Invidualismo epigono minore di quello che Tocqueville rilevava criticamente come frutto problematico della democrazia americana (e quindi della modernità un genere).
Hanno pesato il disagio sociale ed economico, la paura, il senso di impotenza, tutte cose sacrosante dopo dieci anni in cui i primi cinque hanno pesantemente segnato la vita degli italiani ed i secondi registrato sì una ripresa sociale ed economica reale, ma con il Pil che ha recuperato solo la metà dell’arretramento subito. Ma questo disagio è stato abilmente strumentalizzato dai vincitori, che l’hanno chiuso, con modalità diverse, in uno spazio virtuale e solitario, senza alcuna connessione di relazione e di responsabilità verso la realtà sociale.
Guglielmo Giannini, più di settant’anni fa fondò “L’uomo qualunque” che voleva liberare il cittadino stritolato dalla pressa dello Stato, riducendo quest’ultimo alla pura dimensione amministrativa: diversamente oggi la sirena governativa promette ad uno il variegato assistenzialismo dello statalismo autoritario all’altro un pugno di ferro più di immagine che di sostanza. Oggi Giannini appare uno statista e un liberale se paragonato agli aspiranti Maduro ed allo pseudo sceriffo dei nostri giorni.
Ciò che è inesorabilmente assente nella solitudine individualistica “contro”, che naturalmente preesisteva al voto ma che questo ha incentivato ed affinato, è (in barba all’ “italianità” furbescamente invocata) l’orizzonte della Comunità, della Patria, di un legame e di un destino comune. Ciò che manca è la “rinnovata scoperta della libertà come condizione originaria di ogni uomo nell’apertura agli altri, cioè all’alterità del presente, del passato e del futuro”. Che si traduce in doveri, diritti, speranza. Senza questa dimensione reale ed ideale nessuna comunità nazionale può avere un futuro, indipendentemente da Pil, debito pubblico, risparmio familiare, che non sono, soprattutto se staticamente intese, le grandezze primarie che determinano la storia dei popoli, forgiata da movimenti più complessi. Così vediamo la china sdrucciolevole e penosa della dinamica e della statica sociale e culturale: nei conformismi e nei trasformismi, nelle patologie educative familiari e scolastiche, nell’individualismo reattivo e cieco, senza obblighi e senza limiti.
Questo è il vasto mare in cui sfocia la domanda sulle radici degli orientamenti politici e partitici prevalenti, e naturalmente anche di quelli minoritari, anch’essi per reazione coinvolti. E qui troviamo i due interrogativi finali di questa riflessione. Il primo è pratico e contingente: il consenso di cui godono le forze di governo potrà cominciare a limarsi prima che arrivi la probabile tempesta che si sta preparando, così che il risveglio aiuti a contenerla ? E come potrebbe una vera opposizione nel merito, in Parlamento e nel Paese, aiutare questa svolta con le opportune iniziative culturali, civili e politiche nel periodo che ci separa dalle elezioni europee del 26 maggio 2019 ?
Il secondo è più di prospettiva, ma anch’esso trova nel voto europeo un importante appuntamento: come arrestare il declino nazionale (sia strutturale che congiunturale) non solo cimentandosi davvero con il risanamento economico e finanziario, pubblico e privato ma soprattutto attivando ciò che lo rende possibile. E cioè il processo in cui una comunità nazionale si riconosce e sceglie nel presente la possibilità di un futuro italiano ed europeo.
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