Trasformismo, di Giorgio Armillei
Trasformismo. Ovvero “ricorrere,
invece che al corretto confronto parlamentare, a manovre di corridoio, a
compromessi, a clientelismi, senza più alcuna coerenza ideologica con la linea
del partito.” Così la voce Treccani. Così la voce che si rincorre in queste ore
a proposito della posizione di chi anziché chiedere l’immediato ricorso ad
elezioni anticipate, punta a verificare l’esistenza di una maggioranza
parlamentare per un governo “no tax” come qualcuno ha scritto. Ma si tratta di
trasformismo? Salta ogni coerenza? Si dicono oggi, solo per restare a galla, cose
diverse da quelle dette un anno fa?
Riavvolgiamo il nastro:
4 marzo 2018. I numeri ci dicono che dalle elezioni escono due partiti
vincitori (M5s e Lega) e due partiti sconfitti (PD e Forza Italia). I numeri
danno torto anche alla presunta coalizione di centrodestra (presunta in
relazione alle distanze programmatiche interne) che ne esce stravolta. La
maggioranza programmaticamente più omogenea è quella tra Lega e M5s. Lo dicono
i punti dei loro manifesti elettorali, basti pensare a UE e Euro. Lo dice la
parziale sovrapposizione degli elettorati, resa evidente dagli scambi
incrociati che avvengono prima delle elezioni del 2013, tra queste e le
elezioni del 2018 e tra il 2018 e le elezioni europee del 2019. Lo dice l’azione
di governo che si è sostanzialmente divisa soltanto a proposito della TAV: ma
quale coalizione anche ad alta compatibilità programmatica interna non ha punti
di divisione, utili se non altro a continuare la competizione elettorale tra i
partner? Nasce l’unico governo realisticamente possibile. Non è il PD ad avere
consegnato l’Italia alle politiche di Salvini, sono gli elettori ad averlo
fatto. A meno che non si ritenga che M5s e Lega siano realtà programmaticamente
ed elettoralmente distanti. Cosa che come abbiamo visto non è.
Agosto 2019. Quella
maggioranza e quel governo vanno in pezzi. La competizione interna prende il
sopravvento sulle ragioni della coalizione. Il M5s si dimezza e la Lega
raddoppia. Salvini ritiene giunto il momento di passare all’incasso:
aspirazione legittima che tuttavia non può godere del diritto di “chiamare le
elezioni”, diritto cancellato dal NO al referendum del 2016 con il quale Lega,
M5s, Berlusconi e pezzi di PD spazzarono via la riforma Boschi-Renzi. Compie un
passo azzardato. In regime di parlamentarismo non razionalizzato quando si apre
una crisi di governo si finisce in un labirinto. E spesso non se ne esce vivi.
Nel frattempo il quadro
economico nazionale è quanto meno fermo. La governance economica europea esige
decisioni che più che alle regole del two pack debbono guardare alle reazioni
dei mercati, come dice Cottarelli. Da molte parti e per ragioni politiche
diverse emerge la richiesta di un governo di transizione, con una base
parlamentare aperta a chi ci vuole stare, per evitare i contraccolpi sul quadro
di finanza pubblica dell’incertezza prodotta da Lega e M5s. Anche in questo
caso perfettamente simmetrici: basti pensare a quota 100 e al reddito di
cittadinanza. Un governo a termine che sterilizzi gli errori, almeno quelli più
macroscopici, come per altro Tria aveva già cominciato a fare, ponendosi
tuttavia in un atteggiamento di equidistanza benevola, né austerità espansiva né
spesa pubblica finanziata in deficit. In attesa di votare al più presto, sperabilmente
sull’unica linea di frattura realmente rilevante in questa fase: quella tra
sovranisti e liberali.
Tra il marzo 2018 e l’agosto 2019 mancano dunque gli elementi di somiglianza. E’ come comparare cose che non sono in possesso di elementi comuni. Se cambiano i contesti resta possibile naturalmente criticare le posizioni e le soluzioni, ma sembra difficile poter parlare di trasformismo. Meglio andare nel merito delle proposte.
* immagine tratta da www.riscriverelastoria.com
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