Tra Maduro e il Re di Prussia, di Luciano Iannaccone
Se Nicolas Maduro, il sanguinario despota che in nome del nazional-socialismo chavista condanna il Venezuela alla fame ad alla violenza, fosse di estrema destra anziché di estrema sinistra, l’Italia avrebbe visto da tempo bandiere e mobilitazioni quasi giornaliere. Invece da anni assistiamo al calvario di un popolo senza che i professionisti del “presidio” si muovano. C’entrano gli antichi vizi dell’(estrema) sinistra e anche le indecenti santificazioni del Venezuela alla fame fatte da Grillo, dall’asino parlante Manlio Di Stefano (almeno nelle sue deliranti statistiche venezuelane del 2017), oggi sottosegretario agli esteri e da altri 5Stelle.
Ma ora che un popolo è sceso in campo con una scelta istituzionale, l’autoproclamazione a presidente ad interim del Venezuela del giovane Juan Guaidò, presidente dell’assemblea nazionale delegittimata dagli sgherri di Maduro, non possiamo più tacere. Non importa che il primo a muoversi sia stato Trump: fosse stato il diavolo il discorso non cambierebbe.
Tusk e Mogherini hanno chiesto rispetto, innanzitutto fisico, dei venezuelani e libere elezioni. Macron ha chiesto il ritorno della democrazia dopo l’illegittima elezione di Maduro del maggio 2018 e Renzi ha chiesto all’Europa di riconoscere l’unica autorità democratica: l’assemblea nazionale ed il suo presidente Guaidò. L’ex premier spagnolo Felipe Gonzales ha definito Maduro peggio che un dittatore, “un tirano arbitrario” ed ha chiesto all’Unione Europea di riconoscere Guaidò come legittimo presidente ad interim.
Il governo italiano si muova, a cominciare dalla presenza in parlamento di un ministro degli esteri troppo minimalista. E i 5Stelle chiariscano se Maduro è un precursore della “decrescita felice” o invece un pericoloso criminale, puntellato da un recente referendum i cui risultati sono giudicati truccati dai più. E l’Italia si renda utile ai venezuelani oppressi unendosi a Macron, Gonzales e ad altre voci nel chiedere all’Europa una iniziativa che testimoni i propri valori, se ci sono.
Se l’opinione pubblica italiana si muoverà davvero, e con lei le cosiddette “élites” attualmente più impegnate a discettare sul proprio ruolo che a rendersi utili agli altri, si avranno due buoni risultati. Il primo sarà quello di dare una mano, magari piccola ma non importa, all’infelice popolo venezuelano, che sentiamo nostro fratello. Il secondo sarà quello di distogliere i troppi che inseguono ogni giorno le mosse di Salvini. Essi non hanno ancora capito che l’ex ccd (capo dei comunisti padani) non è la preda, ma il loro cacciatore. Con i suoi annunci calcolati e le sue parole d’ordine è lui a condurre il gioco. E loro sono tori davanti al drappo rosso.
Certo, quanti ritengono, al centro-sinistra ed al centro, che a prescindere dal proprio “status” tutti debbano aver diritto all’ingresso ed all’accoglienza in Italia, non fanno altro che combattere la loro battaglia. Ma devono sapere che essa è avversata dalla grande maggioranza degli italiani, dallo “ius gentium”, dai limiti posti dall’art.10 della Costituzione e dal buon senso. Si possono fare spallucce davanti alla necessaria distinzione fra i portatori del diritto di asilo ed i migranti economici, ma anche se a farle è un ex presidente del governo italiano e della commissione europea il risultato non cambia. E Salvini ne trae profitto e consenso.
Egli andrebbe invece contrastato su ciò che dovrebbe fare e non fa: continuare nell’azione di Minniti che, coinvolgendo poteri libici e governi africani, ha interrotto o ridotto i flussi e moltiplicato i rimpatri dalla Libia. Proseguire nel riconoscimento del diritto d’asilo già nei campi Onu libici, che si traduce poi nell’arrivo aereo in Italia. Riattivare presso le ambasciate l’incontro tra domanda di lavoro italiana ed offerta, che consente nuovi flussi economici regolari. Usare umanità e fermezza nella gestione interna delle presenze, combattendo la clandestinità a rischio crimine ed incentivando rimpatri e ricollocamenti, che richiedono collaborazione e non iattanza con l’Europa. Con cui è decisivo riuscire a lavorare per varare finalmente un vero piano per l’Africa, che costruisca lavoro e sicurezza nell’interesse di tutti.
Insomma, Salvini non va quotidianamente bruciato in effigie per tutto quanto fa, ma specificamente per le cose sbagliate ed in particolare per quelle, più difficili, che non riesce a fare e di cui perciò non parla. Lo si contrasta proponendo concrete alternative e sfidandolo sul piano dei fatti. Invece la lamentosa esecrazione fa di lui un moderno re di Prussia, per cui ed a favore del quale si finisce per lavorare.
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