Renzi e la scuola: demagogia e dilettantismo
di Marina Boscaino Il 24 febbraio, nel discorso al Senato, aveva detto: «Chi di noi tutti i giorni ha incontrato insegnanti, educatori, mamme, sa perfettamente che c’è una richiesta straordinaria: restituire il valore sociale agli insegnanti, e questo non ha bisogno di riforme, denaro, commissioni di studio. Ma del rispetto per chi va quotidianamente nelle nostre classi e si assume il compito struggente di essere un collaboratore alla creazione di una creatività. Ci sono fior di studi che dicono che un territorio che investe sull’educazione cresce in maniera proporzionale». Da questa considerazione, un impegno preciso: «Tutte le settimane il mercoledì entrerò in una scuola diversa, mi recherò come facevo da sindaco nelle scuole per dare un segnale simbolico, se volete persino banale, per far capire che da lì riparte un Paese». Da allora sono passati oltre 6 mesi. Un tempo durante il quale il premier non ha fatto che ribadire incessantemente la centralità della scuola, quasi a convincerci che le parole inverino fatti. Ma non è così. Persino a proposito del famoso piano per l’edilizia, molto rumore per nulla: il governo annuncia l’erogazione entro il 2015 di 3 mld e mezzo di euro, partenza dei lavori 1 luglio 2014, inutile la prudenza del sottosegretario Reggi. Per il momento sono stati stanziati 510 milioni, ma le scuole ancora non hanno visto un euro. La solita disfattista, si potrà osservare: solo lamentele, intanto qualcosa c’è. Indubbiamente, e ne sono lieta. Ma se prometto ai miei figli una vacanza di un mese a Porto Cervo devo prima verificare se il mio conto me lo consenta; e se non, viceversa, dovrò limitarmi a portarli per 5 giorni a Cesenatico. La voce solista è coadiuvata dal coro compiacente. Davide Faraone, responsabile scuola del PD: “Vogliamo partire dall’ascolto delle voci della scuola e dal lavoro svolto in questi anni dal PD, ma non vogliamo fermarci alle proteste, c’è una pars destruens che sappiamo a memoria. è ora della pars costruens. è ora di dire cosa vogliamo fare e soprattutto è ora di farlo”. Le promesse sono state infinite, i proclami continui. Sembra quasi che le esternazioni siano strategiche, per “vedere di nascosto l’effetto che fa”. La sparano, osservano, si regolano di conseguenza. Mantenendo sempre e implacabilmente il più stretto riserbo su quali saranno i fondi a sostegno di quanto promesso. Il caso più eclatante si è verificato in luglio. All’inizio di quel mese il sottosegretario Reggi (sempre lui) fa annunciare a “Repubblica” il “patto sulla scuola”. Sinteticamente: le anticipazioni – che Reggi però, dopo la veemente reazione del mondo della scuola, ha definito indiscrezioni destituite di fondamento – prevedevano un nuovo contratto, con più ore di lavoro per tutti (fino a 36 ore, per infanzia e primaria, meno per la secondaria); e aumento di stipendio – deciso dal dirigente scolastico – per chi si prende “responsabilità”, mettendo a disposizione (oltre alle diciotto ore di lezione, confermate) competenze specifiche. Tra le competenze, naturalmente, non si parla di pedagogia, relazione educativa, contenuti e metodologie didattiche: informatica prima di tutto, ovviamente. Sarebbero confermati gli scatti di anzianità, ma erogati premi stipendiali fino al 30%, a seconda delle prestazioni fornite. Attività nel mese di giugno – quando a scuola si interrompono le lezioni – per attivare recupero e potenziamento, progetti et alia. E’ prevista un’apertura delle scuole progressivamente prolungata nel tempo, per arrivare fino a sera, escluso il mese di agosto. Un’ulteriore restrizione di possibilità per i 154.398 iscritti alle graduatorie ad esaurimento e per i 467mila precari inseriti nelle graduatorie di istituto si configurerebbe per il fatto che le assenze verrebbero coperte dai docenti di ruolo della scuola stessa. La proposta include anche il taglio di un anno della scuola superiore (circa 40 mila cattedre). Segue un estenuante minuetto, con smentite e conferme che si alternano in maniera rocambolesca. In agosto Renzi annuncia una consultazione massiccia del mondo della scuola, destinata a portare in ottobre alla più volte annunciata riforma. Balza definitivamente alle cronache la questione dei Quota 96: mandati finalmente in pensione dal decreto Madia, poi raggiunti da tante scuse (ci siamo sbagliati), perché la Ragioneria dello Stato ha fatto presente che prima degli annunci bisogna guardare ai fondi disponibili e i fondi non ci sono. Alla fine del mese, la consultazione sparisce e i tempi si accorciano. Il 19 agosto il premier cinguetta: “"Infine, il 29, linee guida su scuola. Perché tra 10 anni l'Italia sarà come la fanno oggi gli insegnanti. Noi lavoriamo su questo in agosto". Non mancano i trionfalismi: il provvedimento inaugurerà la “rivoluzione culturale che serve all’Italia: spalancare le finestre e fare entrare aria nuova”. Al meeting CL Giannini (sì, c’è pure lei, anche se non sembra) annuncia l’abolizione delle supplenze. Qualcosa non va: il 28, ad un giorno dalla presentazione delle “linee guida” (terminologia ambigua; che consentirà – c’è da giurarci – di annunciare senza parlare di euro) la smentita, in un improbabile guizzo di saggezza e sobrietà. Non le presentiamo, “troppa carne al fuoco”. Il giorno dopo, il 29, ecco il nuovo tweet (sic!): “Sarà un percorso partecipato, non la solita riforma calata dall’alto”. Ci crede per primo il parlamentare PD Umberto D’Ottavio, Commissione Cultura, che plaude, potendo finalmente dare sfogo al suo pensiero. Su FB, naturalmente: “Il rinvio della discussione sulla scuola prevista per il Consiglio dei Ministri di oggi è la prova che il Governo fa sul serio. Se si vogliono affrontare i problemi veri sono necessari condivisione e risorse e lo sforzo di trovare sia la prima che le seconde va aiutato e non sbeffeggiato, anzi”. E aggiunge: “Il Governo fa bene, dopo anni di demolizione del sistema scolastico, a prendere il tempo che serve per cercare le parole giuste per aprire una discussione difficile sull'istruzione nel nostro Paese, ma che rappresenta la vera sfida per cambiare l'Italia”. Smentito immediatamente, l’1 settembre: la riforma sarà presentata nel prossimo consiglio dei ministri, il 3. Quindi domani. Questo pezzo è consegnato ai lettori a futura memoria del rispetto e della considerazione di questo Governo per scuola, docenti e studenti e per i cittadini tutti. Non possiamo consentire che improvvisazione, fretta, demagogia, dilettantismo, millanteria prevalgano sul buon senso. (http://temi.repubblica.it/micromega-online , 2 settembre 2014)
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