Pietro Scoppola e la sfida europea del cattolicesimo democratico - B.Tognon
Senato della Repubblica 26 gennaio 2018 Pietro Scoppola e la sfida europea del cattolicesimo democratico Beppe Tognon (università LUMSA, Roma) Ricordare Pietro Scoppola a dieci anni dalla scomparsa significa riaprire l’appassionante dossier del cattolicesimo democratico e del suo contributo alla storia religiosa e politica europea. Ricordo le lunghe discussioni con Pietro sulla specificità tutta italiana di una definizione - cattolico democratico- che era quasi intraducibile, ma che rinviava al problema secolare del rapporto tra fede e democrazia. Papa Leone XIII nel 1901 con la Graves de communi aveva tentato di tagliare corto alle polemiche tra le varie forme di cattolicesimo sociale e di cattolicesimo politico cercando di depotenziare la portata della democrazia politica. Scriveva il papa che l’idea di democrazia era sostenibile “solo togliendogli ogni senso politico e dando al termine nessun altro significato che quello di una positiva azione cristiana in mezzo al popolo”. Il secolo XX si era dunque aperto per i cattolici sotto il segno di una profonda questione di coscienza: se obbedire alla richiesta di depotenziare il significato politico della democrazia o se invece cercare di definirlo meglio e di sperimentarne il profondo valore. Pietro Scoppola - come Sturzo, De Gasperi, Moro - è stato sempre convinto che non vi fosse nessuna incompatibilità di fondo tra l’essenziale del messaggio evangelico e l’universo dei diritti umani e dell’uguaglianza. A prova di ciò portava l’arco virtuoso che si era stabilito tra le costituzioni democratiche e i documenti del Concilio, tra il 1948 e il 1968: sono stati in tutta Europa i trent’anni gloriosi della democrazia dei valori cristiani. Scoppola era affascinato dallo studio del rapporto tra coscienza ed autorità, tra libertà personale e tradizione, e il suo sforzo fu di mostrare che la decisione della Chiesa cattolica di riconoscere finalmente il valore cristiano della democrazia aveva cambiato la storia del mondo aprendo una fase nuova per la democrazia stessa. Lui e Paolo Prodi sono stati i due storici che nei rispettivi ambiti di ricerca, la contemporaneità e la modernità, hanno saputo spiegare perché la storia del cattolicesimo non dovesse essere ridotta solo ad un momento interno della storia della Chiesa, ma fosse al centro della questione della civiltà europea che è stata per sua natura, nel bene e nel male, un fenomeno universale. Scoppola insegnava che il problema del rapporto tra la fede e la democrazia era ben più vasto di quello dei rapporti tra la Chiesa e uno Stato, perché riguardava il cuore stesso di ogni società liberale: la democrazia rappresentativa può infatti comportare sia la privatizzazione della fede e il soggettivismo di un credere “à la carte” - scegliendo che cosa, come e quando credere - sia una crescita dell’autonomia dei cittadini e lo sviluppo di forme positive di laicità. Egli conservava per educazione un rispetto profondo per le istituzioni e per l’autorità, ma proprio per questo le concepiva come servizio e non come privilegio. I lunghi anni passati sulle carte dei cosiddetti “modernisti” dei primi Novecento (Murri, Binocchi, Buonaiuti, von Hügel, Laberthonnière, Fogazzaro…) lo avevano reso sensibile ad una cultura della libertà che non avrebbe mai voluto separarsi dalla tradizione cristiana, se solo avesse potuto portarla su posizioni più aperte e non fosse stata massacrata sia dalle gerarchie cattoliche che dalla filosofia laica che non voleva condividere il campo della libertà con dei credenti. I cattolici votano ormai per tutti i partiti, di destra e di sinistra, e accettano la democrazia come un fatto naturale, senza troppo riflettere su come essa impegni in profondità la nostra fede. Scoppola ha sempre creduto che tra una democrazia come sistema di valori e una democrazia come pura forma di governo ci fosse una bella differenza e che il cattolicesimo democratico dovesse sempre 2 schierarsi per una visione matura e sostanziale della democrazia, alleandosi con le altre grandi tradizioni democratiche classiche, liberali e socialiste. La specificità italiana stava nel fatto che da noi i cattolici avevano assunto un ruolo politico sempre più forte senza aver elaborato fino in fondo la distinzione dei piani tra la Chiesa e lo Stato, complici anche il fascismo e il clericalismo. Il cattolicesimo democratico fu l’enzima che spingeva per una metabolizzazione efficace dei principi democratici nel profondo del paese, dove povertà, ignoranza, ingiustizia erano più forti ed antiche, ma la sua azione fu difficile e contrastata: Murri, Sturzo, Mazzolari, La Pira, don Milani e molti altri hanno dovuto pagare sia come democratici che come credenti. Ma è stato soprattutto sul piano intellettuale e morale che il cattolicesimo democratico ha dato il meglio di sé impegnando la chiesa, i partiti e le forze sociali ad essere coerenti sia con le premesse della fede sia della democrazia. La prima conseguenza di questa scelta era quella di riconoscere che il mondo cattolico era plurale, per storia e per sensibilità, e che la rappresentazione che se ne dava era viziata d aun pregiudizio clericale per cui i cattolici erano dipendenti della Chiesa. Il tema del pluralismo divenne pertanto un tema scottante per la coscienza cattolica del secondo dopoguerra e Scoppola lo ha trattato sempre con grande cura distinguendo la scelta di fede dalle scelte politiche, le quali erano semmai espressione – tutte quelle che si fondavano sulla dignità umana e sui valori democratici - della fecondità di una vita religiosa. Lo stimolo esercitato, anche a costo di diffidenze, censure e rifiuti, da grandi studiosi appassionati di politica come Lazzati, Scoppola, Gorrieri, Ardigò, Pedrazzi, Ruffilli e i molti altri che parteciparono ad esempio alla storia della Lega democratica, contribuì non poco a rendere agibile il terreno del confronto politico a più di una generazione di credenti. Senza il loro contributo la crisi della Democrazia cristiana avrebbe coinciso con la fine di molte risorse civili e morali e il panorama politico italiano non sarebbe stato lo stesso. Nei 25 anni che sono trascorsi tra l’ Assemblea degli esterni del 1981, in cui Scoppola fu il protagonista indiscusso dell’ultimo grande tentativo di determinare il rinnovamento del partito di maggioranza relativa in Italia per via interna, e la nascita del Partito Democratico nel 2007, sono avvenute molte cose di grande significato, la più importante delle quali è stata certamente la fine della “Repubblica dei partiti”, che Scoppola descrisse con grande efficace nel suo grande libro del 1991. In Francia, in Germania, nei paesi anglofoni, non si trova un equivalente del cattolicesimo democratico italiano: in quei paesi cattolicesimo e democrazia si erano confrontati da molto più tempo come categorie politiche o spirituali in competizione su di un piano ideale e raramente il cattolicesimo democratico è diventato un movimento militante interno al mondo cattolico come è stato in Italia. In Francia la tragica esperienza del movimento dell’Action française di Maurras e la stringente opposizione del Fronte popolare impedì che il cattolicesimo politico potesse evolvere verso forme significative di democrazia partecipativa e di pluralismo. Il caso di E. Mounier e della sua rivista “Esprit” fu significativo sul piano intellettuale perché formò una generazione di studiosi e di intellettuali all’impegno politico e sindacale, ma non ebbe presa nelle vicende politiche francesi al pari della riflessione politica di J. Maritain, l’altro grande filosofo della democrazia cristiana. La Spagna, dopo la terribile guerra civile, si emarginò in un regime piccolo borghese e totalitario. In Germania la disfatta del “Zentrum” sotto i colpi del nazionalsocialismo fu completa e la rinascita nel Secondo dopoguerra di grandi partiti moderati di ispirazione cristiana fu dovuta essenzialmente alla necessità di dare un ancoraggio occidentale e moderato alla Germania filoatlantica in un paese diviso ormai in due blocchi contrapposti. E’ difficile trovare un filo rosso che leghi le molte esperienze innovative dei cattolici democratici europei. L’unico possibile è forse quello del significato della democrazia e dei suoi valori, che è anche l’unico che riesce a tenere unite tutte le varie fasi della storia moderna: il 3 liberalismo, l’illuminismo, il socialismo, il cattolicesimo politico. Il caso italiano è però particolare: i cattolici democratici italiani non potranno mai sfuggire al destino storico di fare dell’analisi politica una attività raffinata – cosa che è nelle corde dalla storia italiana di lungo periodo - e dell’impegno civile una necessità morale oltre che sociale così da riscattarsi da secoli di sottomissione o di confromismo. In una nazione fragile e divisa come quella italiana l’impegno politico diretto rimaneva l’unico in grado di valorizzare idee e sentimenti che il mondo cattolico aveva sempre espresso sottostando al divieto di impegnare la Chiesa; la politica - a partire da quella locale dei comuni - è stato l’unico spazio in cui i cattolici impegnati nel sociale hanno potuto esprimere la propria personalità e tutelarsi. La partecipazione alla vita nazionale fu una necessità oltre che una scelta perché l’apertura della Chiesa all’impegno sociale e l’elaborazione di una dottrina sociale – richiedeva una consapevolezza civile maggiore e soprattutto la possibilità di stringere alleanze tra le classi sociali. Il fascismo si inserì in questo lento ma ineluttabile processo di emancipazione dei cattolic come un crogiuolo ed una tentazione che determinò la formazione di quella minoranza cristiana che resistendo alal tentazione fascista – pose le basi della rinascita democratica del paese. Non fu la clandestinità degli oppositori al regime fascista, spiega Scoppola, il fattore fondamentale di quella rinascita, bensì il lento e pervasivo lavoro di base sulle coscienze e contro gli abusi che la chiesa locale condusse in tutte le periferie, al punto che – come ha scritto in pagine importanti in La democrazia dei cristiani – alla caduta del Fascismo la Chiesa cattolica poté emergere come una guida morale, pagando pochi prezzi per la sua compromissione istituzionale ed ufficiale con il fascismo. I cattolici italiani hanno pertanto fondato una forma originale di presenza cristiana nel mondo contemporaneo che va ben al di là della vicenda del partito della Democrazia cristiana. Scoppola non credeva tuttavia al valore salvifico delle semplice formule, fosse anche quella del cattolicesimo democratico. Egli diffidava di tutte le scorciatoie retoriche e rimaneva fedele al principio fondamentale della politica popolare italiana dell’allargamento della base democratica del paese. La frammentazione semantica è sempre l’anticamera di divisioni umane e civili spesso pretestuose. , ma Lui, che amava e studiava Manzoni, sapeva quanto male potessero fare le accuse all’untore ed aveva ben chiaro quanto insistente fosse il tarlo del frazionismo e del correntismo dentro le viscere della politica italiana. Per lui il cattolicesimo democratico non poteva diventare una corrente di partito, ma piuttosto la piattaforma per un confronto tra tutti i democratici sinceri. Sulla distinzione tra cattolici deputati o deputati cattolici ci si era accapigliati in epoca giolittiana; sul clerico fascismo si è concentrata la più grave spaccatura del mondo religioso nazionale; sulla differenza tra intransigenti e liberali o tra cattolicesimo sociale e cattolicesimo democratico si sono scritti fiumi di parole; intere formazioni politiche sono nate intorno ad un aggettivo da unire o togliere al termine cristiano; sul tentativo di riassumere tutte le varianti nella categoria del cattolicesimo politico si sono cimentati vari storici del movimento cattolico. Per le stesse ragioni anti nominalistiche Scoppola fu grandemente impressionato dalla figura di De Gasperi - da lui riscoperto negli anni Settanta - il quale, più che alle formule, badava alla sostanza di una democrazia governante e che fu il primo statista a comprendere che l’elettorato cattolico non poteva certamente essere tenuto insieme da schemi ideologici rigidi, ma che non poteva nemmeno esistere contro la Chiesa. Era un equilibrio difficile che si spezzò proprio quando, con la fine della Guerra fredda, politica e fede vennero a convergere intorno al valore della democrazia partecipativa e bisognava chiarire se e come si era conservatori o progressisti. Accolta fino in fondo la prospettiva democratica non era più possibile depotenziarne le ambizioni. Possiamo oggi riconoscere che Pietro Scoppola è stato lo studioso cattolico che ha esercitato la più forte funzione maieutica su tutti i democratici italiani, non soltanto sui cattolici, mostrando loro 4 quanto i processi sociali e le politiche concrete avessero maggiore importanza delle dispute teologiche e ideologiche: come non ricordare la pazienza con cui rispondeva alle polemiche spesso pretestuose contro il dossettismo – lui che era un degasperiano - o a quelle sollevate da figure come Baget Bozzo o Del Noce che lo accusavano di protestantesimo e di cattocomunismo. Scoppola è giunto alla vita politica a quasi cinquant’anni e il suo temperamento si era affinato nello studio del cattolicesimo liberale, del modernismo religioso, del popolarismo, delle tentazioni neoguelfe e infine della storia politica della Repubblica. Sapeva evitare le trappole di un uso distorto dei valori cristiani e della retorica del dissenso. Sulla fine della DC, ad esempio, le sue posizioni furono molto chiare: essa non era dovuta alle lacerazioni degli anni Settanta in tema di diritti e di riforme, perché anzi la Dc ne fece di importanti proprio in quel decennio, ma piuttosto alla difficoltà dell’intero sistema politico italiano di comprendere la grande trasformazione mondiale e alla difficoltà della Chiesa di lasciarsi guidare davvero dal Concilio Vaticano II. Fino al Concilio il messaggio politico dei cattolici democratici era stato più avanzato del messaggio stesso della Chiesa e ciò che in sostanza Scoppola rimproverava all’episcopato italiano era di non essere riuscito a guidare la maturazione del popolo cristiano verso forme più limpide di laicità e di responsabilità, continuando a pretendere di regolare il passo della politica italiana e di arginare il pluralismo virtuoso dei cattolici impegnati. Si dispiaceva che la Chiesa tendesse a rimanere ostinatamente di parte. E’ quanto avvenne nel 1984 in occasione della revisione del Concordato, che Scoppola considerò un’occasione mancata. La formula della solidarietà nazionale alla fine degli anni Settanta non fu per lui un episodio tattico, ma il tentativo di costruire le premesse di una ristrutturazione complessiva dell’offerta politica italiana. Come sappiamo fu un’esperienza complicata, che si concluse per la crisi di identità che stavano attraversando la DC e il PCI e per manovre internazionali e tentazioni eversive interne. Da qui la sua ricerca di un nuovo sistema dell’alternanza, che tuttavia ebbe basi fragili a causa della mancanza di legittimazione morale della prima Repubblica, abilmente sfruttata da un neo moderatismo che era tutto fuorché evangelico. Verso la fine della sua vita ritornò più volte sull’intuizione morotea di una fase nuova della democrazia italiana che ponesse davvero fine alla conventio ad excludendum (formula di L. Elia) che aveva impedito all’Italia di farsi pienamente europea, ma la concepiva più come un fattore di animazione virtuosa della politica che come una alleanza tra forze e partiti che ormai non esistevano più. Scoppola pensò che la crisi del sistema politico italiano potesse avviarsi a conclusione negli anni Novanta con le opportune riforme elettorali in una ribadita continuità costituzionale. Era convintissimo della impossibilità di usare le riforme costituzionali per cambiare la politica italiana: dopo la fallimentare esperienza della commissione Bozzi di cui aveva fatto parte nella legislatura in cui era stato senatore (1983-1987) e della commissione D’Alema della fine degli anni Novanta temeva che al costituzione diventasse merce di scambio. Il fallimento dell’Ulivo come soggetto politico lo condusse però a riflettere sul carattere molto più profondo della crisi della Repubblica e sulla necessità di dar vita ad una nuova stagione del cattolicesimo democratico. Nei primi anni 2000 furono numerosi i suoi richiami a non fare di un nuovo soggetto politico unitario una cattiva imitazione di ciò che erano stati i partiti di massa. Temeva per il PD, per la cui nascita si spese fino alla fine. Egli pensava che in un Partito “nuovo” – tema della nuova prefazione che scrivemmo all’ultima edizione del 2005 dell’intervista laterziana su La democrazia dei cristiani – potessero confluire non soltanto i sopravvissuti della Repubblica dei partiti, ma una nuova generazione. Il fenomeno Prodi che sconfitto a Roma poteva rinascere a Bruxelles parve a Scoppola un segno di speranza; l’articolazione del campo progressista tra un soggetto moderato come la Margherita e un soggetto socialdemocratico come i DS, gli sembrava un passo utile per rifare meglio ciò che si era 5 troppo frettolosamente fatto con l’Ulivo del 1996; la fine del lungo e “prepotente” pontificato woitiliano era per lui l’occasione per far emergere tutte le contraddizioni interne alla Chiesa italiana. Certamente Scoppola non ha avuto il tempo di valutare fino in fondo l’analfabetismo politico di ritorno degli italiani, sottoposti a dosi massicce di imbonimento televisivo e mediatico, e gli effetti perversi della decrescita economica del Paese che ha esposto i cittadini a paure e rancori. Aveva però messo perfettamente a fuoco la profondità della crisi educativa e quella del mondo ecclesiale, impreparato a convivere con un’Italia profondamente secolarizzata. A dieci anni dalla sua scomparsa è dunque utile tornare a rileggerlo proprio alla luce di quell’idea matura di impegno politico che possiamo riassumere nella formula scoppoliana che “il cattolicesimo democratico lavora per il compimento del processo fondativo della democrazia di cui la Costituzione aveva posto soltanto le premesse”. Solo così si poteva e si può fare della fine del partito dei cattolici - e in sostanza di tutti i partiti identitari - un sacrificio utile e fecondo per un esame di coscienza di tutta la storia repubblicana. Il cattolicesimo democratico non poteva più rimanere una formuletta politica, una differenza specifica tra cattolici o un’opzione politologica astratta, ma doveva diventare un modo per ripensare la società contemporanea. Pietro Scoppola, mai iscritto alla DC, liberò la questione della fine dei partiti – non soltanto della DC - dalle pastoie di una discussione tra presunti eredi, per trasformarla in una grande questione di innovazione civile. Egli era contro l’onnipotenza della politica, così come era intesa da molte forze socialiste; aborriva “le politique d’abord” perché sapeva – come ha scritto nella ormai celebre pagina di Un cattolico a modo suo (2008) - che la politica vale più per quello che non può realizzare, come tensione tra realtà e utopia, che per ciò che è nei fatti. Il carattere prospettico e futuribile del suo ragionamento politico è al centro di una originale lettura della Costituzione come innesco di una storia tutta da vivere e non invece come l’esito di una storia conclusa. Per questo motivo lottava contro chi intendeva separare la Carta costituzionale dal contesto storico e civile in cui venne pensata e scritta, dalla Resistenza, dall’antifascismo, dalla rinascita del liberalismo. L’esperienza unitaria e costituente di forze politiche molto diverse ai tempi della Assemblea costituente era stata breve, ma efficace, e, nel corso degli anni non aveva perduto il suo valore esemplare. Oggi nel mondo si riflette su di un nuovo “momento cattolico” vale a dire sul prestigio dell’insegnamento del papato e sull’attualità del Vangelo, unico baluardo al dilagare dell’ingiustizia, ma la questione purtroppo non è così facile: l’egemonia cinese, la deriva dell’Africa, l’idea asiatica di una democrazia non democratica, quella turca e sovietica di una democrazia totalitaria, il protezionismo statunitense, rischiano di far sembrare la dottrina sociale della Chiesa cattolica una cosa nobile ma inutile, una pia intenzione. Non è così soltanto se si adotta, come ha insegnato Scoppola, una lettura attenta della nostra storia dove più che l’economia ha potuto la questione politica e il diritto. Il cattolicesimo democratico non può pertanto essere un pensiero astrattamente globalista o subalterno al cosiddetto pensiero economico, ma deve rimanere un pensiero politico tipicamente europeo cioè fondato sulle istituzioni democratiche e sullo spirito critico. Se noi pensiamo che l’Europa sia ancora il modello di riferimento per ogni democrazia sociale, dobbiamo operare da europei affinché la geopolitica faccia i conti con questo modello storico e dovremo schierare i cattolici dalla parte dei diritti fondamentali oltre che dei valori religiosi. Scoppola fu veramente uno storico italiano, ma non nel senso di un provincialismo che, per classe, capacità di sintesi e lucidità di analisi, non gli apparteneva, bensì perché aveva capito, come altri grandi storici, da Croce a Chabod, e insieme ad una non nutrita pattuglia di colleghi di alto profilo (F. Malgeri, F. Traniello, G. Campanini, N. Raponi, L. Pazzaglia…) che l’Italia non era solo il cimitero del passato o il “giardino del papa”, ma era ancora al centro della storia europea della democrazia.
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