Nessun nemico a destra

Provo a rilanciare, senza averne le competenze storiche – si fa per ragionare insieme, mi perdonerete - una discussione “privata” avuta con Luca a proposito del suo post sul neoguelfismo. La mia impressione è che l’intervento di Ruini al forum sui 150 anni dello stato italiano abbia avuto un grandissimo merito. Quello di spiazzare radicalmente – dal punto di vista culturale ed ecclesiale - ogni operazione moderata di tipo neocentrista. Ruini ha detto in sostanza quattro cose. Primo: le istituzioni politiche non sono affatto sovrastruttura rispetto ai contenuti politici, anzi li condizionano e in qualche caso li determinano. Secondo: l’Italia ha bisogno di esecutivi stabili e forti, nel rispetto della distinzione dei poteri. Terzo: l’Italia ha bisogno di un sistema elettorale maggioritario. Quarto: l’Italia ha bisogno del federalismo, bilanciato – questo è il punto – non solo da iniezioni di solidarietà (questo era scontato) ma, di nuovo, da una maggiore forza e funzionalità dell’esecutivo centrale.  In altri termini, si potrebbe dire, la leadership del cattolicesimo liberal conservatore in Italia non ha bisogno di essere vetero parlamentarista, proporzionalista e centralista. Difficile dire oggi che Ruini è un amico dell’UDC. Fin qui sono d’accordo con Luca. La questione si fa più complessa quando Ruini, richiamando Ornaghi, passa a rivendicare una rinnovata coscienza “neoguelfa” del cattolicesimo italiano. Ma questo richiamo è attuale? Si e no, direi. Lo è per la sua forza critica nei confronti di qualsiasi etica pubblica di tipo più o meno statalistico. E non si tratta di cosa da poco. Basti pensare, per andare su piani molto diversi, alla ricerca di una nuova statualità di un autore citatissimo come Boeckenfoerde, citatissimo anche da Ruini, o allo statalismo della proposta politica di Fini, il suo catalogo “televisivo” era pieno di stato. Lo è un po’ meno sull’asse élite/massa. La proposta neoguelfa, nella sua componente cattolico liberale, quella che interessa Ruini, non poteva che giocare un ruolo di élite in un contesto di diffusa estraneità del mondo cattolico alle istanze, anche moderate, del processo di istituzionalizzazione del liberalismo. Altra cosa è poi distinguere tra un elitismo democratico e un elitismo autocentrato, il pensiero corre all’azionismo. E, d’altra parte, non sono state non poco elitarie le forme di governo del ruinismo? Giustificate, forse, ma certo verticistiche. Lo è ancora meno se pensiamo che quello stato con cui si andava confrontando il neoguelfismo nel XIX secolo non esiste più, eroso dal “diritto globale”, dal diritto comunitario, dal diritto “dei privati” che svolge anche una o più funzioni pubbliche. Non solo. Per fare un po’ i giuristi potremmo dire che lo stato comunità è inesorabilmente pluralista; lo stato ordinamento è solcato e sostituito dal diritto extrastatale; lo stato apparato – l’unico che resiste – è quello di cui si chiede continuamente un sostanzioso ridimensionamento. Davvero l’eredità neoguelfa può essere attuale a confronto con questi processi? Ancora, in ultimo, non lo è (parlo dell’attualità del neoguelfismo) se pensiamo al suo concetto di nazione cattolica. Qui le cose si fanno davvero complicate. In prima battuta è il popolarismo di Sturzo a prendere le distanze da quel modello di nazione cattolica in rapporto all’impegno politico dei cattolici italiani. In Sturzo la proposta politica si fa strutturalmente “parte” pur avendo una prospettiva cattolica. Accetta cioè sino in fondo la logica della democrazia liberale. E si contrappone ad un’altra parte, il clerico moderatismo, che pure rivendica la stessa dimensione cattolica. Cosa può significare allora quel “essere semplicemente cattolici” che Ruini richiama come premessa per un impegno storicamente efficace e “davvero orientato in senso cristiano”? Un richiamo che suona – evidentemente – un po’ incerto allo stesso Ruini che si preoccupa di ridimensionarlo premettendogli un cautelativo “al di là del ricorso al termine guelfi”. Perché Ruini non si richiama allora – lo ha fatto altrove, lo so, ma il punto è in questo intervento - a Sturzo? Non sarà che Ruini, come D’Alema specularmente sull’altro fronte – si muove secondo il principio del “nessun nemico a destra”? In secondo luogo siamo sicuri che la nazione cattolica neoguelfa sia l’esito più fecondo di quella “teologia pubblica” - continuamente richiamata dai nostri discorsi sulla “poliarchia” – intesa come pensiero che consegna definitivamente al passato ogni traccia di statalismo e di perdurante primato della politica? La “nazione” precede o “segue” lo stato? E che lo segua o lo preceda, sempre legata, prima o poi, allo stato resta. Intendiamoci. Ruini e il ruinismo hanno – nel loro complesso - fatto compiere qualche passo in avanti alla Chiesa e al movimento cattolico italiano, in una fase post conciliare complessa e in una stagione politica assai confusa. Certo, in forme non sempre condivisibili, procurando più di un effetto perverso, penso alla situazione dell’associazionismo laicale, non a quella dei movimenti. Ma non sono classificabili come fenomeni regressivi, come esempi di neo-intransigentismo, come difensori dello status quo. Hanno accettato di giocare una partita “in attacco” nella lunga transizione politico ecclesiale degli ultimi venti anni. All’inizio l’hanno subita, pensiamo alla “lucida” – in un’ottica democristiana – resistenza di Ruini al referendum elettorale. Poi, con altrettanto lucido realismo, l’hanno egregiamente gestita. Forse avrebbero meritato competitori altrettanto efficaci, anziché cantori della stagione post conciliare del dissenso e del dossettismo politico, cose per altro significative che stanno benissimo in un quadro plurale di dialogo e di confronto. Ma ora la questione diventa, si potrebbe dire per chiudere con una battuta: è Ruini il leader del partito liberal conservatore di massa, custode dell’ethos giudaico-cristiano, di cui è in cerca Galli della Loggia nel suo editoriale di oggi?

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