L'incertezza del diritto
La sentenza sul porcellum deve aver seminato un po’ di panico tra gli addetti ai lavori. Immediatamente dopo il comunicato della Corte si è scatenata una batteria di giuristi pro establishment per minimizzarne l’impatto: da Onida sul Sole24ore a Zagrebelsky su Repubblica ad Ainis sul Corriere della Sera. Compreso il pezzo tutto politico di Rodotà su Repubblica dal quale traspare più che altro l’intransigenza proporzionalistica. Al contrario con molto più realismo ed equilibrio altri come Fusaro, Clementi, Ceccanti, Capotosti hanno cercato di bilanciare l’attenzione per il regolare funzionamento degli organi costituzionali con il riconoscimento della sopravvenuta condizione di incertezza delle situazioni giuridiche ancora aperte in relazione ai temi della sentenza. I primi dunque, chi più chi meno, si sono ingegnati di spiegare che la sentenza ha effetto pro futuro, che comunque la sua efficacia decorre dal suo deposito, e quindi da qui al deposito si applica il quadro normativo precedente la sentenza. In verità non si capisce bene cosa si dovrebbe fare in questi 30 giorni che ci separano dal deposito. O meglio si capisce che ci si riferisce alla convalida non ancora conclusa degli eletti in parlamento, ma si tratta di un clamoroso autogol, perché l’invito ad una rapida convalida conferma che la sentenza ha effetti retroattivi, anche se limitatamente ai rapporti e alle situazioni giuridiche non ancora esaurite o concluse: ma su questo torneremo dopo. Insomma dalla voce di questi giuristi è stato tutto un rincorrersi di solenni principi di continuità dell’ordinamento, di stabilità degli organi costituzionali, di nullità e annullabilità – per la verità con qualche svarione, come la confusione tra nullità e inesistenza di un atto giuridico. Ma vabbè, la foga dell’azione giustifica questo e altri piccoli errori. Il segnale è comunque chiaro: dalla Corte volevamo altro, ha fatto un mezzo pasticcio ma state tranquilli perché è tutto sotto controllo. Siamo sicuri che le cose stiano così? Cominciamo con un primo punto. Le sentenze della Corte non sono retroattive. E’ vero, la Costituzione dice che le sentenze sono efficaci dal giorno del loro deposito, non prima. D’accordo: ma quando sono efficaci che efficacia hanno? Qui si apre un dubbio. Esaminiamolo anche se siamo costretti a entrare in qualche dettaglio tecnico. La Corte costituzionale giudica la costituzionalità delle leggi, come nel caso del porcellum, sulla base di un dubbio di costituzionalità che un giudice ordinario ha incontrato (per sua iniziativa o perché convinto da una delle parti) nel corso di un processo civile, penale, amministrativo o tributario. Tanto che quello della Corte si chiama giudizio incidentale, proprio perché risolve un “incidente” creatosi nel corso di un normale processo. Se dunque il giudizio della Corte deve servire a risolvere il dubbio di costituzionalità di quel giudice ordinario è inevitabile che un parziale effetto retroattivo le sentenze della Corte debbano averlo: altrimenti nessuna parte e nessun giudice perderebbero tempo a sollevare questioni di costituzionalità per altri futuri processi. Quindi quantomeno per il processo “di partenza” - a beneficio del quale emette la propria sentenza - la Corte produce effetti retroattivi: in quel processo, nel caso di sentenza di incostituzionalità, retroattivamente si deve applicare il quadro normativo che emerge dalla sentenza della Corte. Andiamo avanti. Se la Corte Costituzionale ha ammesso il “caso Bozzi” – quello da cui deriva la sentenza sul procellum - lo ha fatto perché ha ritenuto che: i) il giudizio promosso da Bozzi davanti al giudice ordinario non fosse puramente strumentale al giudizio di costituzionalità, della serie Bozzi non ha chiesto giustizia al giudice ordinario solo per avere una sentenza di incostituzionalità, cosa non permessa nell’ordinamento italiano che non prevede l’azione diretta di un cittadino di fronte alla Corte costituzionale; ii) la questione di costituzionalità fosse rilevante per il giudizio instaurato da Bozzi, della serie definire costituzionale o no l’intera legge elettorale, o una sua parte, produce effetti nel giudizio in cui si discute dei diritti di Bozzi, cioè incide sulle sue situazioni giuridiche vantate in giudizio e non è viceversa un astratto verdetto di costituzionalità. Ma quali sono i diritti di Bozzi di cui si discuteva in giudizio di fronte al giudice ordinario? Delle due l’una. O sono diritti pienamente azionabili ora che la Corte ha sanato il quadro di incostituzionalità, o sono diritti che non possono avere alcuna tutela diretta e concreta. E nel secondo caso la Corte non avrebbe dovuto procedere perché di fronte ad un caso evidente di inammissibilità. Ma se la Corte ha riconosciuto l’ammissibilità vuol dire che ci sono diritti azionabili per effetto della sentenza e non solo astratte questioni di costituzionalità. La Cassazione ci diceva infatti che la richiesta di Bozzi andava ben oltre la questione di costituzionalità, indipendentemente dal fatto che a questo punto Bozzi utilizzi o meno l’esito del giudizio. Ma dunque, secondo la Corte, Bozzi lo può utilizzare visto che si tratta di un giudizio che nel merito va oltre la sola incostituzionalità della legge. E non ha a che fare, lo spiega ancora la Cassazione, con la competenza riservata alle Camere e alle rispettive Giunte per ciò che riguarda il procedimento elettorale. Ma non è finita qui. Abbiamo visto che la sentenza della Corte ha un effetto retroattivo per il processo che l’ha provocata e non ha dunque efficacia solo per il futuro. Ma la sentenza produce effetti anche per tutti i rapporti giuridici “non esauriti”, cioè per tutti i rapporti giuridici che pur costituiti prima della sentenza continuano a produrre i loro effetti dopo la sentenza, restando così aperti a possibili contenziosi. Nell’ambito di quei rapporti non è più possibile applicare il quadro normativo che precedeva la sentenza della Corte: occorre applicare il quadro nuovo, quello ricostruito come costituzionale con la sentenza stessa. Nuovo quadro per vecchi rapporti. Secondo indizio di retroattività. Un indizio assai sensibile se pensiamo al procedimento di convalida degli eletti, un procedimento non esaurito e ancora pendente. Tra azionabilità concreta dei diritti nel processo ordinario finito di fronte alla Cassazione e incertezza generata in tutte le situazioni giuridiche non esaurite, siamo convinti che ce la si possa cavare con un “la sentenza della Corte ha effetto per il futuro e non per il passato”? Se poi mettiamo nel conto che un'altra decisione della Corte, attesa per febbraio, potrebbe complicare ulteriormente le cose - riguarda il conflitto sollevato dal Friuli-Venezia Giulia che lamenta di avere avuto un eletto in meno del dovuto per lo slittamento dei seggi dovuto al premio di maggioranza, e il suo esito potrebbe influire su altre cinque Regioni – l’incertezza si allarga. Piuttosto che al diritto dobbiamo dunque affidarci a una serie di condizioni di fatto. Tra le quali la pragmatica inazione del Parlamento che lascerà su un binario morto i procedimenti di convalida. Una altrettanto pragmatica inazione delle parti nel processo che ha originato la sentenza della Corte costituzionale, a conferma di un intento strumentale che avrebbe potuto con argomenti più che fondati portare a dichiarare l’inammissibilità della questione. E infine l’inazione di tutti coloro che potrebbero portare di fronte ai giudici ordinari le tante elezioni nei Comuni sotto i 15000 abitanti (per i quali funziona un premio di maggioranza a turno unico) e le tante elezioni regionali, con o senza voti di preferenza. Più che il diritto poté la convenienza. Non proprio un bel risultato per i giuristi. Per non parlare della Corte costituzionale che forse abbisogna anch’essa di un vasto intervento di manutenzione normativa. Un tema per il quale ai giudici stessi sarebbe richiesto, con la discrezione dovuta, maggiore coraggio. E un deciso cambiamento per evitare peggiori guai. Quello che potrebbe diventare il nostro the switch in time that saved nine. Anche se in questo caso sono quindici.
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