Le perplessità dei cattolici

La doppia cesura 1989-1994, internazionale e nazionale, ha spazzato via l’equilibrio istituzionale e culturale che ha governato il cattolicesimo politico italiano del dopoguerra e il sistema politico figlio di quell’equilibrio. Dopo 20 anni siamo però ancora immersi in una transizione che non ha prodotto un consolidamento convincente, né sul piano politico né su quello dei rapporti tra politica e mondo ecclesiale. La mancanza di una nuova sintesi capace di produrre cultura e istituzioni, come fu quella degasperiana e montiniana degli anni quaranta e cinquanta, produce instabilità politica e irrigidimento ecclesiale. Di qui il dilagare dell’incertezza in una situazione nella quale cresce la domanda di nuove sintesi, adeguate ai tempi, a fronte della mancanza di offerte convincenti, politiche ed ecclesiali. In questo scenario di incertezza Stefano colloca le perplessità verso la Chiesa e verso la politica, perplessità comuni a diverse generazioni di cattolici che su di essere hanno però saputo costruire sintesi sempre rinnovate. Lo fa scrivendo un libro un po’ autobiografico, un po’ storico, un po’ politologico, secondo una traccia che ripropone un itinerario personale di formazione. Che il Concilio Vaticano II costituisca il centro di questo itinerario lo si intuisce anche dalle info della pagina facebook di Stefano. Districandosi nel dibattito attuale, il libro è dominato da una ermeneutica dinamica del Concilio, né fondamentalista né relativistica. Il Concilio non è l’evento a prescindere dai testi ma, al contrario, non è neppure i testi a prescindere dall’evento, dalla sua recezione e dalla storia della Chiesa. E dunque come personaggi, intuizioni, svolte intellettuali hanno preparato il Concilio, così i tanti personaggi avvicinati nel libro danno conto di come il Concilio sia stato attuato e si stia attuando. Al Concilio il libro deve anche la riformulazione critica di quel vedere, giudicare, agire che se ha costituito un formidabile grimaldello per rompere la chiusura dottrinale e morale del mondo ecclesiale, presenta però notevolissimi limiti teorici e pratici. E’ la dinamica del discernimento a rinnovare e, in fondo, a sostituire quel modello, che pure Stefano utilizza per scandire la successione dei capitoli. Ma nel discernimento l’osservazione non può essere neutrale, il giudizio non può essere completamente indipendente dal contesto, l’azione non può essere dedotta dal giudizio. Allo stesso tempo, l’azione condiziona l’osservazione e il giudizio. E’ questa dinamica a sostenere nel libro l’invito ad una lettura sofisticata e complessa dell’insegnamento sociale della Chiesa. E ad illuminare, al suo interno, la distinzione tra principi, criteri e direttive di azione, anche in questo caso per evitare deduzionismi e cortocircuiti, due tra le fonti di maggiore perplessità nell’esperienza ecclesiale di questi ultimi anni. Alle perplessità ecclesiali si sommano quelle politiche. Manca una sintesi di medio periodo, il bipolarismo all’italiana non ha dato ancora tutti i risultati attesi ma non si tratta di inappropriatezza del modello quanto del suo mancato completamento. Due personaggi, appena sfiorati nel libro, sintetizzano pregi e difetti di questa lunga transizione. Ruini che - almeno in una prima fase - più per realismo che per convinzione ha raccolto la sfida del bipolarismo, sul piano ecclesiale ha scelto però la strada della centralizzazione mediatica e della rischiosa supplenza all’afasia del laicato organizzato. Prodi che ha ereditato, nel nuovo quadro bipolare, la tradizione cattolico democratica ha finito con il sostenere una sorta di versione ideologizzata di “ulivismo”, nella quale l’impostazione dossettiana si è rivelata di ostacolo ad una comprensione dinamica dello sviluppo della dinamica bipolare, come insegna la vicenda del PD. La perplessità evocata nel libro, alternativamente verso la realtà ecclesiale e verso quella politica, trova in definitiva una chiave di interpretazione nell’uso che Stefano fa del pensiero di Mounier e Maritain, valorizzandone gli elementi di affinità con il filone cattolico liberale, di incontro tra democrazia, economia di mercato e cristianesimo. Chiave di questa rilettura, sulla scorta del contributo di Scoppola - figura centrale del libro - è la piena rivalutazione di Sturzo e di De Gasperi, in perfetta analogia con la trama del documento preparatorio dell’ ultima settimana sociale dei cattolici italiani di Reggio Calabria, con il quale i punti di contatto sono moltissimi. In questo quadro si svolgono i numerosi temi toccati nel libro: il futuro dell’Unione europea, il legame tra capitalismo e democrazia, l’applicazione del diritto internazionale e l’uso della forza, le istituzioni della democrazia maggioritaria in Italia, il diritto naturale e l’insegnamento sociale della Chiesa, i rapporti tra poliarchia, libertà religiosa e laicità, la vicenda del PD. Due domande, di dettaglio, dopo la lettura del libro. Una ecclesiale e una politica. Tiene ancora, nella stagione bipolare maggioritaria, il paradigma della teologia del laicato che ha guidato il rinnovamento conciliare in Italia, e non solo? La dottrina del mandato, la distinzione dei piani, il ruolo dei laici non richiedono una radicale riformulazione? La visione problematica e innovativa che il libro propone in tema di diritto internazionale e uso della forza non impone un giudizio diverso, da quello che il libro stesso propone, sull’intervento in Iraq del 2003? Al cattolico perplesso, Stefano Ceccanti, Borla, 2010

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