La Fuci e il rapporto bidirezionale tra Chiesa e dibattito culturale universitario, di Stefano Ceccanti

La Fuci e il rapporto bidirezionale tra Chiesa e dibattito culturale universitario
di Stefano Ceccanti
Roma, 4 marzo
Intervento per i 130 anni del circolo universitario cattolico romano
1. Il tema della bidirezionalità in generale
Tutti i movimenti ecclesiali di ambiente si trovano in una condizione al tempo stesso difficile ed intrigante: far capire le ragioni provenienti dalla Chiesa in un contesto in partenza o indifferente o comunque molto critico verso di essa e, nel contempo, far comprendere alla Chiesa i segni dei tempi maturati fuori o anche contro di essa, ma che le richiedono aggiornamenti rispetto a mediazioni datate, ossia di non restare legati, come ebbe a scrivere Maritain pubblicato da Azione Fucina nel 1930 “a frammenti del passato, a momenti di storia immobilizzati, quasi imbalsamati dal ricordo.. con il pretesto di rimanere uniti all'eterno».
Questa citazione la riprendo da un testo di Vittorio Emanuele Giuntella del 1985, intitolato “Itinerario di una generazione dall’integralismo alla libertà religiosa”, che parla dei fucini romani degli anni’30, purtroppo rimasto sin qui inedito, e fattomi conoscere dalla nuora Laura Rozza Giuntella quanto stavo curando per Morcelliana la riedizione del libro di Padre Murray sulla libertà religiosa.
In questo rapporto bidirezionale le persone impegnate nei movimenti di ambiente possono essere sospette di clericalismo dal loro ambiente in cui sono inseriti e. all’opposto, di perdita di identità per recepire acriticamente contributi esterni alla comunità ecclesiale da parte della Chiesa.
Sono i rischi da correre, sapendo che la fecondità delle nuove mediazioni individuate si misurerà nel tempo medio-lungo, mentre sul breve potranno dominare le critiche, che in generale non devono preoccupare più di tanto perché sono fisiologiche, anche se vanno comunque prese sul serio, quanto meno per replicare con argomentazioni puntuali.
La Fuci nasce nel contesto segnato dalla crisi modernista e dalle difficoltà dell’intransigentismo. Come trovare una risposta nuova e non più difensiva, anche se ortodossa, ai quesiti posti dalla modernità colta dell’ambiente universitario e alle necessità di assumere ruoli pubblici oltre le strettoie del non expedit, oltre il trauma della perdita del potere temporale?
Le incomprensioni stanno nelle cose e infatti ricordiamo Romolo Murri, fondatore del circolo romano nel 1894 e della Federazione nel 1986, che è stato anche scomunicato perché, al netto di suoi errori personali, all’inizio la Chiesa vedeva queste realtà di ambiente quasi solo come destinate a una funzione apologetica, a riconquistare spazi al cristianesimo, in un rapporto univoco e non biunivoco. Quello, invece, sarà teorizzato bene già da Giovanni Battista Montini in “Coscienza Universitaria” nel 1930, ma tale impostazione venne dopo la nota crisi del 1925, esattamente un secolo fa.
La Fuci, per difendersi dalle violenze fasciste, nel suo congresso di Bologna (che avveniva peraltro insieme a quello internazionale di Pax Romana, nata quattro anni prima, in evidente antitesi al nazionalismo del Regime) anticipò la Conciliazione ponendolo sotto il patrocinio della Corona, ignorando le trattative segrete in corso che poi ebbero esito solo quattro anni dopo. La Fuci dovette anche, come ricorda sempre Vittorio Emanuele Giuntella, sospendere la sua presenza formale in Pax Romana, anche se mantenne legami personali di fatto.
I movimenti di ambiente hanno quindi cercato di riaffermare costantemente il loro ruolo non di “riconquista cristiana” dell’ambiente di tipo unidirezionale, di apologetica in senso tradizionale e limitativo, ma di dialogo bidirezionale.
Questo era espresso, ad esempio, sia dal motto della Fuci fondato sulle tre parole Fede, Scienza e Patria (in un contesto, quello italiano, segnato dalla cultura intransigente che opponeva la società cattolica e la Patria rappresentata dallo stato che aveva voluto Porta Pia), ma anche dallo slogan del cardinal Joseph Cardijn per La Jeunesse Ouvrière Chrétienne: Vedere, giudicare, agire, il noto metodo della revisione di vita, in cui il primo verbo si riferisce all’esperienza nell’ambiente.
E’ quello che noi chiamiamo “Ricerca”, non a caso testata storica della Federazione. Una ricerca che spesso non ha esiti predefiniti e che può portare anche a esiti legittimamente diverse, specie tra generazioni diverse. E’ così che, come ricorderò oltre, ci siamo trovati, nella nostra ricerca di miglioramento della qualità della democrazia, a trovarci come avversario politico, tra gli altri, un ex Presidente della Fuci, Giulio Andreotti per una diversa lettura della transizione da velocizzare, secondo la nostra lettura, da arrestare, o comunque da rallentare, nella sua lettura.
2. La particolare declinazione della bidirezionalità nell’esperienza degli anni ’80 tra diverse esperienze di Chiesa e nuove esigenze politico-istituzionali
In linea generale gli anni ’80 del secolo scorso per la Fuci rappresentarono una ripresa intensiva delle relazioni internazionali dentro Pax Romana, un dato assolutamente originale nel mondo cattolico di allora, concentrato sulle sole dinamiche italiane, ma in continuità appunto con l’insegnamento montiniano, che aveva condotto nel secondo dopoguerra alla formazione anche del ramo dei laureati nel 1947 dopo quello degli studenti nel 1921, attingendo poi da lì larga parte degli uditori laici al Concilio. Mentre nel frattempo era sorta e si era sviluppata anche la Jec, a cui aderisce per l’Italia il Movimento Studenti di Azione Cattolica: la Jec internazionale fu fondata nel 1946 da alcune esperienze precedenti, il Msac era sorto nel 1910 aggregando i circoli studenteschi della Gioventù Cattolica, mentre la sigla attuale risale al 1969.
Non si capisce bene quanto allora si è elaborato in quel decennio se non dentro questo contesto di lettura internazionale del cattolicesimo.
Due le sollecitazioni ecclesiali di allora dall’interno di Pax Romana e della Jeci-Miec: per un verso l’onda lunga del protagonismo della teologia della liberazione col ruolo personale di padre Gustavo Gutierrez dal Perù, recentemente scomparso, e dall’altra quello del Kik (Club dell’Intelligentsia Cattolica) di Tadeusz Mazowiecky in Polonia, che poi sarebbe stato il primo premier non comunista all’Est qualche mese prima della caduta del Muro. Due esperienze che furono sollecitate a comprendersi nella differenza, superando possibili incomprensioni. Dall’America Latina in partenza non vi era una lettura adeguata dei primi sommovimenti nell’ex blocco sovietico, che il pontificato stava potenziando: la natura profondamente contraria alla dignità umana dei regimi imposti dall’Urss non era percepita in tutta la sua gravità e si temeva un certo conservatorismo politico e religioso, che, ovviamente era presente in quel movimento eterogeneo di emancipazione, anche se non in Mazowiecky. Valeva anche il reciproco: la fine dei regimi della sicurezza nazionale era vista positivamente all’Est, ma si temeva che da lì potessero sorgere, anche col consenso dei credenti, regimi non democratici di orientamento opposto, come poi accadde in Nicaragua e Venezuela, anche se questo non era il segno prevalente nelle teologie della liberazione. Si dovette allora precisamente al cardinale Ratzinger, nonostante alcune apparenze in senso contrario, come ha rivelato di recente il Cardinale di Lima Carlos Castillo, il rifiuto verso le pressioni che avrebbero voluto la condanna di Gutierrez per una valutazione errata dei suoi scritti.
Da segnalare su questo il seminario clandestino in Polonia ai primi di aprile del 1986, un anno dopo l’arrivo di Gorbaciov, con i giovani di Solidarnosc vicini a Mazowiecky, nonché alcuni giovani croati, sloveni e ungheresi, che chiesero ad alcuni di noi dell’Europa dell’Ovest di illustrare come funzionassero le democrazie occidentali in vista di un cambio di regime e nella prospettiva di un’adesione alla Comunità europea, ipotesi largamente maggioritaria anche se non mancavano minoranze integraliste e nazionaliste.
In questo indubbiamente ci aiutò l’essere studenti universitari e la spinta di quegli anni agli studi sull’Unione Europea e alla comprensione della crisi profonda del blocco sovietico sin dalla sconfitta in Afghanistan di fine anni ’70. Nel corso di storia contemporanea del 1984 all’Università di Pisa il professor Giuseppe Are ci aveva profetizzato il crollo dell’Urss, ritenuto a portata di mano nel giro di qualche anno, e ci aveva fatto seguire il dibattito sulle riforme e sull’allargamento europeo. Non dico che ovunque fosse così, ma il clima culturale universitario rispetto agli anni ’70 con un’egemonia culturale anti-occidentale era cambiato in modo consistente.
Il decennio degli anni ’80 è anche quello in cui il sistema dei partiti, sin dal congresso Dc del preambolo, sembra chiudersi su stesso e non riesce ad aprire effettivamente prospettive nuove, anzi per un verso esso si delegittima evocando riforme e l’insostenibilità dello status quo (in particolare con la prima Commissione Bozzi 1983-1985 si mettono in discussione sia il proporzionalismo vigente sia le norme sulla forma di governo legate alla Guerra Fredda), ma per altro verso non si rilegittima cambiandole effettivamente. Si forma quindi una generazione di studenti e di studiosi favorevole a tali riforme, che le colgono come un modo per rivitalizzare con strumenti aggiornati le finalità forti della Prima Parte della Costituzione e che ne accompagna l’evoluzione in modo trasversale rispetto alle collocazioni politiche e culturali: nei convegni e nei congressi Fuci di quel decennio si succedono, tra gli altri, Pietro Scoppola, Roberto Ruffilli, Augusto Barbera, Gianfranco Pasquino, Maurice Duverger ed altri, avendo come culmine il congresso di Bari del Marzo 1989 che lanciò l’ipotesi dei referendum abrogativi per il passaggio al maggioritario, che si sarebbe concretizzata nel 1991 e nel 1993. L’iniziativa si sviluppò in particolare a partire dalla raccolta di firme dell’aprile 1990 dopo che nel precedente mese di febbraio il Governo Andreotti con ben quattro voti di fiducia impedì che una maggioranza trasversale che esisteva in Parlamento introducesse l’elezione diretta del sindaco. Si era a cinque mesi di distanza dalla caduta del Muro, ma si resisteva a bloccare le regole nelle arcaicità precedenti. Lo stesso Presidente del Consiglio, dopo il successo della raccolta delle firme, impegnò l’Avvocatura dello Stato davanti alla Corte costituzionale contro l’ammissibilità del referendum, cosa che invece Giuliano Amato non fece per i referendum 1993, aiutando la libera espressione del voto da parte dei cittadini.
Anche qui aiutò la frequentazione europea di Pax Romana, che ci fece avvertire come un’anomalia negativa l’assenza della possibilità concreta dell’alternanza, fondata a sua volta sui due elementi caratterizzanti del sistema dei partiti, da una parte l’egemonia comunista sulla sinistra e dall’altra, come elemento difensivo intrecciato in modo indissolubile, l’unità politica dei cattolici. Nell’anomalo contesto italiano, anche dal dibattito interno dell’area cattolica, sembrava che le alternative potessero essere solo due: o la riproduzione ad oltranza dell’unità politica, anche se il rendimento dei partiti di governo sembrava immersa in un sistema chiuso e a rendimento decrescente, oppure la rottura di quell’esperienza ma rompendo anche con una cultura di governo.
Si apriva invece la ricerca di una sorta di quadratura del cerchio, superamento dell’unità politica, presenza pluralista in entrambi gli schieramenti legittimati a governare, ma senza rinunciare alla cultura di governo, quale fu prefigurata per tempo quarant’anni fa da Pietro Scoppola nel suo testo “La nuova cristianità perduta” e che nei suoi elementi di fondo resta ancora attuale.
E’ stato uno sforzo davvero molecolare, non solo limitato alla presenza costante di alcuni di noi che hanno lavorato nelle presidenze nazionali in Parlamento dalla legislatura 1992-1994 a quella 2018-2022, ma basti su questo scorrere gli elenchi dei promotori locali dei referendum elettorali per ritrovare nelle principali città italiane pressoché tutti i presidenti diocesani della Fuci di allora o al libro che raccoglie gli scritti del nostro Giorgio Armillei, prematuramente scomparso il 5 giugno 2021, “La forza mite del riformismo” che invito tutti a leggere.
Intervento tenuto in occasione del Convegno: “Universitari cattolici a Roma: 130 anni di storia”
4 marzo 2025, ore 15.00
Sala Lauree della Facoltà di Scienze politiche | Università Sapienza di Roma
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