Il mio commento sull'Huffington Post

La riforma costituzionale uscita dalla Commissione: un testo convincente, con qualche problema ancora aperto di Stefano Ceccanti Il testo della riforma costituzionale uscito dalla Commissione riprende in larga parte il disegno di legge del Governo che aveva già preso una strada di differenziazione del bicameralismo sostanzialmente sul modello del Bundesrat austriaco per rispondere fondamentalmente a due esigenze: -il risultato delle elezioni al fine della legittimazione diretta di una maggioranza e di un Governo non può essere appeso al risultato di due Camere diverse, col rischio di esiti contraddittori e la Camera che gode dell’esclusiva del rapporto fiduciario deve poter approvare in ultima istanza la gran parte delle leggi in cui si fa valere l’indirizzo politico di maggioranza -l’inevitabile sovrapposizione di alcune competenze tra Stato e Regioni, anche dopo l’opportuna revisione e semplificazione del Titolo Quinto, richiede che i legislatori regionali si sentano rappresentati al Senato in modo tale da non ingolfare la Corte di ricorsi. Le principali novità intervenute nel passaggio in Commissione riguardano: -nell’art. 57 si sono precisate le caratteristiche del Senato non direttamente elettivo: a parte i cinque di nomina presidenziale, gli altri novantacinque saranno suddivisi tra le Regioni, proporzionalmente alla rispettiva popolazione, in modo comunque che ad ognuna spettino almeno due senatori, di cui uno dovrà essere un sindaco; una soluzione coerente col Titolo V; -nell’art. 68 è stato soppresso l’intervento sulle immunità che le avrebbe eliminate per i senatori; una scelta a mio avviso ragionevole per mantenere l’equilibrio tra i poteri; -nell’art. 70 della Costituzione un limitato (ma ragionevole) allargamento delle leggi che rimangono paritarie tra Camera e Senato, in particolare per la ratifica dei trattati relativi all’appartenenza dell’Italia all’Unione europea nonché per l’ordinamento degli enti locali, e delle leggi in cui la Camera può prevalere a maggioranza assoluta dopo la bocciatura a maggioranza assoluta del Senato, tra cui nei casi di utilizzo della clausola di supremazia statale che sconfina sulle competenze regionali. Qui era il pericolo maggiore, per fortuna evitato, perché in tutti i precedenti tentativi di riforma (dalla Bicamerale D’Alema al progetto del centrodestra bocciato nel 2006 dagli elettori) il Senato, privo del rapporto fiduciario (ma anche libero dalla questione di fiducia) avrebbe potuto paralizzare il Governo e la maggioranza, in modo del tutto anomalo rispetto alle democrazie parlamentari europee; -nell’art. 71 l’innalzamento delle firme da 50 mila a 250 mila per le leggi di iniziativa popolare, ma rinviando ai Regolamenti parlamentari per un loro esame stringente da parte delle Camere; si bilancia così un maggiore rigore con una maggiore efficacia; -nell’art. 73 la possibilità di ricorso preventivo alla Corte costituzionale su richiesta di un terzo dei componenti di una Camera sulle leggi elettorali politiche, una garanzia in più contro riforme non condivise; -nell’art. 74 la possibilità di un rinvio parziale delle leggi da parte del Presidente della Repubblica e il vincolo all’omogeneità nelle leggi di conversione dei decreti; anche qui due positive garanzie in più -nell’art. 75 si sono elevate a 800 mila le firme per il referendum, previsto il giudizio della Corte a metà raccolta e ridotto significativamente il quorum alla metà più uno rispetto ai votanti alle precedenti elezioni politiche; tutte scelte ragionevoli, tranne il divieto generalizzato di referendum manipolativi che rischia di rendere non referendabili le leggi elettorali; -nell’art. 82 è stata ripristinata la possibilità di Commissioni d’inchiesta al Senato, purché relative alle autonomie territoriali; anche qui una garanzia in più; -nell’art. 83 la previsione che prima di otto scrutini (rispetto agli odierni tre) il quorum per l’elezione del Presidente della Repubblica non scenda alla maggioranza assoluta del Parlamento in seduta comune, una scelta giusta ma insufficiente a evitare che la maggioranza elegga da sola il Presidente; tale esigenza richiederebbe l’allargamento del collegio anche a non parlamentari. Se si riuscirà a riaprire in Aula anche alla referendabilità delle leggi elettorali e all’estensione del collego degli elettori presidenziali il lavoro risulterà ulteriormente migliorato, ma già così si può dire che la gran parte delle anomalie del bicameralismo italiano, dovute ai condizionamenti della Guerra Fredda nel processo costituente originario, obbligando allora a scartare soluzioni analoghe a queste, sono sulla via della scomparsa. Con almeno venticinque anni di ritardo, ma con un’accelerazione meritoria in questa fase.

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