Il bilancio e la costituzione

Non è certo il caso di ridimensionare l’interesse per una coerenza europea nelle decisioni di bilancio italiane. Tagliare la spesa, come ci ricorda di nuovo Paolo Piselli nel suo post, è l’unico modo serio per perseguire stabilità finanziaria e crescita, checché se ne dica. Troppo spesso però la traduzione di questa serietà fiscale nella regola costituzionale del pareggio di bilancio tende ad assumere toni un po’ miracolistici. Non discuto qui i profili macroeconomici della questione. Dico più semplicemente che l’attuazione di questa regola finirà per l’essere rimessa, come l’esperienza e il buon senso ci dicono, a valutazioni discrezionali dei governi e delle loro maggioranze. Che queste valutazioni non siano più completamente libere, o debolmente vincolate al modo dell’art.81 della costituzione, è certamente un buon passo. A tutela degli interessi non rappresentati dai decisori attuali (chi pagherà il debito in futuro) e dunque in forme economicamente razionali. Che questa minore libertà sia efficacemente traducibile in un vincolo giuridico è molto più difficile. Stabilire in costituzione, e nella sue norme di attuazione, la differenza tra politiche di bilancio keynesiane statalisticamente intrusive (la democrazia in deficit) e politiche efficaci di gestione del ciclo economico mi sembra  piuttosto complicato. L’esperienza statunitense della legge Gramm Rudman Hollings sul pareggio di bilancio tra gli anni ottanta e gli anni novanta lo dimostra. Il ciclo economico e non la costituzione generano il pareggio. Ed è il decisore pubblico che asseconda questo risultato. So benissimo che il caso statunitense non può essere preso in considerazione senza i dovuti distinguo. E che la legge di cui parlo era appunto una legge e non un vincolo costituzionale. E che la linea di frattura tra contrari e favorevoli al vincolo non è tanto tra destra e sinistra quanto tra sostenitori e oppositori dello sviluppo dei poteri sovrastatali (federali o unionisti), come dice Stefano Ceccanti. Ma il punto è proprio questo. Il pareggio su base ciclica viene dai vincoli costituzionali o dalla responsabilizzazione efficace del circuito governo parlamento? Ed inoltre, quanto federalista o unionista deve essere questo circuito? Capisco che in una democrazia composita come quella statunitense non abbia senso rafforzare il circuito governo parlamento, circuito necessariamente frammentato e fatto di poteri separati e condivisi. Meglio provare a vincolare il decisore pubblico dall’esterno. Ma nei modelli nazionali europei di democrazia maggioritaria, o che cercano di diventare tali, non è forse meglio puntare a dare al governo strumenti di controllo dell’agenda del parlamento e ridurre i poteri di intervento delle camere sulle decisioni di bilancio? Costringendo il governo, allo stesso tempo, dentro sistemi elettorali che impongono il raggiungimento dell’equilibrio tra diversi gruppi di interesse piuttosto che la tranquilla soddisfazione di solo alcuni tra essi? Non da ultimo i vincoli costituzionali al bilancio su base ciclica presentano problemi di azionabilità. Al netto degli effetti delle decisioni degli organi dell’Unione, chi attiva i controlli interni rendendo quindi efficace il vincolo costituzionale? La sanzionabilità del vincolo rimanda all’intervento della Corte costituzionale. Ma come si attiva questo intervento? Nelle forme ordinarie del giudizio di costituzionalità rischia di essere un intervento ex post, inefficace quindi a garantire la forza del vincolo e spesso anche di difficile attuazione. Nelle forme preventive del controllo rimesse all’azione di minoranze parlamentari o di altri organi di indirizzo politico rischia di trasformarsi in un gioco di poteri di veto e di consegnare in mano alle minoranze un potenziale di ricatto non indifferente (se mi concedi questa misura micro settoriale rinuncio ad attivare il controllo di costituzionalità sul vincolo). E per finire l’Europa. Dalla crisi si esce con meno stato, cioè con bilanci pubblici adeguati alle capacità di spesa generate dalla crescita. Ma si esce anche con più poteri di un improbabile stato europeo, per quanto federale? C’è certo un antieuropeismo statalista, che non vuole vincoli di bilancio per rinazionalizzare le decisioni di finanza pubblica e allargare i confini dell’intermediazione politica. Ma c’è anche un europeismo antistatalista, che non vuole un superstato europeo ma un sistema europeo di poteri che mixi elementi sovranazionali con elementi intergovernativi. E’ utile non dimenticarlo.

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