I cattolici, il PD e la "terza via"
L’intervento di Oliva sul post di Stefano Ceccanti conferma l’esistenza nel dibattito su cattolici e PD di due linee nettamente distinte a proposito dei rapporti tra politica ed economia. Distinte in quanto a lettura del recente magistero sociale della Chiesa e distinte in quanto a lettura delle prospettive di cambiamento della sinistra italiana. Distinzioni che possiamo non drammatizzare, in fondo sono comuni a tutte le sinistre delle grandi democrazie, ma che non dobbiamo minimizzare. Tre sono le considerazioni che mi sembrano centrali volendo dialogare con Oliva e, sullo sfondo, con il PD di Fassina. La prima si riferisce al magistero sociale della Chiesa a proposito dell’economia di mercato e del rapporto tra politica e società. E’ piuttosto difficile non vedere qui un’evoluzione lineare e articolata, partendo dallo snodo cruciale della Centesimus Annus e giungendo alla Caritas in Veritate. In questo processo si inserisce vigorosamente la Settimana sociale dei cattolici italiani di Reggio Calabria. Ancor più evidenti sono alcuni passaggi del Compendio della dottrina sociale della Chiesa. Uno tra tutti: la lettura del meccanismo della competizione imprenditoriale, e quindi del mercato e della concorrenza, come tutt’altro che socialmente dannosi. Al contrario, il mercato e la concorrenza vengono visti come generatori di responsabilità e quindi di virtù individuale ma anche, e soprattutto direi, di una virtù sociale, “necessaria allo sviluppo di una comunità solidale” dice il n.343. Tanto che nel numero 5/2011 di Concilium si giunge, seppur con fini critici, a parlare di un “riconoscimento inequivocabile del capitalismo” da parte del Compendio. E questo è così vero che tutti coloro che sostengono nel merito le posizioni di Oliva (e di Fassina) finiscono con il criticare esplicitamente questa evoluzione del magistero sociale della Chiesa (come si può vedere, ad esempio, su www.adista.it). Certo, non mancano nel Compendio, come nelle encicliche ricordate, preoccupazioni e sottolineature dei fallimenti del mercato, in alcuni casi dell’impossibilità strutturale di funzionamento dei meccanismi di mercato. Per questi però esistono rimedi empirici, non privi per altro di possibili simmetrici fallimenti. Rimedi che non consistono, come invece il position paper del Pontificio consiglio giustizia e pace dice in più punti, nel ripristino di un primato della politica sull’economia. E vengo al secondo punto. Questo primato della politica sull’economia, cioè il riproporre la politica come vertice gerarchico della società, una tendenza intellettuale che accomuna tutti i riferimenti di Oliva, non a caso trasversalmente collocati tra destra e sinistra, è tutt’altro che presentabile come rimedio alla crisi economica e finanziaria. Al contrario non dobbiamo dimenticare come la troppa politica, e non la poca politica, sia tra le cause scatenanti della crisi stessa. Un osservatore non certo tenero nei confronti dei limiti del mercato come R.Rajan ce lo dice chiaramente. Troppa politica che ha usato la scorciatoia dell’indebitamento per realizzare surrettiziamente politiche di welfare senza disporre delle risorse. Poca globalizzazione con mercati finanziari non omogenei. Poco mercato con modelli di crescita basati su mercati interni controllati e inefficienti. Poco mercato, dunque, non troppo mercato. Dal che una sinistra che vuole cambiare, cioè allargare le opportunità, è al mercato e non alla politica che deve rivolgersi. Al mercato regolato, certamente, come non potrebbe non essere visto che il mercato è un’istituzione sociale, cioè un insieme di norme sociali, di regole e di routine. Ma regolato non significa necessariamente regolato dalla politica e dallo stato. E vengo all’ultimo punto. La sinistra che vuole tornare a governare in Europa, che non vuole continuare a perdere le elezioni come dice David Miliband, si sta ponendo questi problemi. E lo sta facendo avendo alle spalle non anni di insuccessi e di false partenze ma anni di obiettivi raggiunti. Left of center di Blair e Neue Mitte di Schroeder rappresentano queste esperienze, la terza via dalla quale occorre ripartire, non per tornare indietro ma per andare avanti. I laburisti inglesi in posizioni critiche ma di dialogo rispetto alla leadership di Ed Miliband, lo stanno facendo egregiamente. Un solo esempio: la spesa pubblica. Sul punto il laburismo inglese ha le idee chiarissime. La spesa pubblica è il modo meno efficace per migliorare il livello di vita di un paese avanzato. Riforme strutturali e istituzionali, che spesso toccano le vere cause dell’ampliamento delle ineguaglianze, sono un modo migliore per farlo, migliore e più stabile. Migliore e più efficace anche nel produrre le risorse necessarie per i tempi di crisi. Lo dicono un gruppo di analisti di “Policy network”, uno dei più attivi think thank laburisti, in un recentissimo paper sul rigore delle politiche fiscali e la giustizia sociale. Sono questi gli esempi che il PD dovrebbe seguire. Abbandonare il secolo socialdemocratico e guardare al XXI secolo. La dottrina sociale della Chiesa lo ha fatto, molta sinistra europea lo ha fatto e lo sta facendo di nuovo, aggiornando il proprio sforzo sulla base dei suoi successi e anche dei limiti delle sue politiche. Ora tocca al PD.
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