Gli opposti estremismi fanno male alla democrazia, a Meloni, a Schlein e ai problemi degli italiani, di Elisabetta Gualmini


Le due rivali sono lontanissime e questo le rafforza nella loro leadership. Ma alla lunga indebolisce la prima nell’azione di governo e la seconda nella costruzione di un’alternativa. La politica, come ricorda il Next Generation Ue, è strategia, compromesso e negoziazione

 

 

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Secondo molti, la fortuna di Giorgia Meloni è quella di avere Elly Schlein come leader dell’opposizione, un’avversaria lontanissima da lei e impossibilitata a soffiarle il benché minimo consenso. E la fortuna di Elly è quella di avere Giorgia Meloni al governo, di cui lei incarna l’esatto opposto. Due linee politiche chiare, disegnate per differenza, che scaldano i cuori delle relative tifoserie.

Peccato però che la politica degli opposti estremismi raramente aiuti a risolvere le sfide complesse di oggi. Perché lì servono strategie di cooperazione, di compromesso e negoziazione per arrivare a qualche risultato. Un esempio ce l’ha dato proprio l’Europa, quando si è introdotta la più grande rivoluzione mai vista nella sua storia: Next Generation-Eu, molto più di un Piano Marshall. Con quell’accordo in pochi giorni i leader europei hanno azzerato i numerini dell’austerità e del rigore, hanno avviato gli Eurobond (quelli che Angela Merkel… neanche morta) e raddoppiato il bilancio dell’Unione. Per portarlo a casa, però, hanno dovuto lavorare di cesello, negoziando e rinunciando chi a qualcosa e chi a qualcos’altro, costruendo poi una coalizione di sostegno larghissima che dall’estrema sinistra si spingeva fino ai liberali e ai popolari. È molto più difficile in un paese spaccato a metà come una mela, incistato nelle sue lacerazioni, introdurre cambiamenti rilevanti.

È evidente che alle affermazioni brutali (copyright Romano Prodi) e irricevibili di maestosi rappresentanti e ministri del governo dei patrioti, infinite quelle di Ignazio La Russa, abbondanti quelle di Matteo Piantedosi, ignorantissime quelle di Alessio Fontana e Francesco Lollobrigida, la sinistra reagisce. Se via Rasella diventa un episodio folkloristico con tanto di banda musicale di neo-pensionati, se si sgancia l’antifascismo dalla Costituzione repubblicana, se si scambia Vittorio Bachelet per un Bàkelet qualunque, passando per la sostituzione etnica, gli sbarchi selettivi di migranti e genitori colpevoli di voler salvare i propri figli fuggendo dal proprio paese diventa quasi automatico per l’opposizione alzare l’asticella fino ad evocare il suprematismo bianco. Una radicalizzazione verbale che però non sposta nulla né nel corpo dell’elettorato che sarà ancora più convinto di stare dalla parte in cui sta, né nell’agenda politica, cioè nella capacità di affrontare le sfide più grosse: PNRR, fisco, lavoro.

Questa polarizzazione affettiva ed emotiva dello spazio politico, basata appunto sull’ostilità per gli “altri” e sull’attaccamento al “noi”, ha semmai l’unico effetto di alimentare i messaggi di odio e l’aggressività del linguaggio. In Italia già il 50 per cento dell’elettorato pare poco interessato a partecipare alla vita politica e magari proprio chi ha opinioni e sentimenti più sfumati rispetto alle due truppe in campo evita di mobilitarsi e ancora di più rimane alla finestra. I due opposti estremismi spingono fuori chi ha valutazioni più morbide.

Ma oltre alla polarizzazione emotiva, siamo di fronte anche a una sempre maggiore polarizzazione personale, basata cioè sulla figura del leader. O meglio delle due leader. Ce lo spiega bene Fabio Bordignon in un saggio recente. Non solo la persona fisica del leader aiuta i cittadini a trovare un punto di riferimento e a ridurre la complessità del contesto in cui tocca vivere, ma i leader incarnano essi stessi, con la loro faccia e la loro fisicità, le divisioni su cui si basa la società. Sono loro le fratture. E proprio le loro caratteristiche fisiche, la loro immagine, lo stile e la storia personale diventano delle alternative funzionali alle ideologie. Esattamente come per Giorgia ed Elly.

Tutto bene? No. Il Partito democratico, in particolare, deve prestare attenzione a non rimanere intrappolato nel gioco degli opposti se vuole costruire anche un’alternativa di governo. La polarizzazione paga per vincere una competizione di partito, molto meno se si vuole allargare il recinto e vincere le elezioni. Eppure, tante sono le cose su cui si possono elaborare proposte concrete: la lotta all’inflazione che rimane alta, migliori strumenti di welfare per uno dei paesi più vecchi del mondo, povertà crescente (vedi lo scempio sul reddito di cittadinanza), politiche attive per una buona occupazione che non vuol dire solo salario minimo, uso dei fondi europei per creare valore aggiunto e quindi redistribuzione. Per non parlare di strategie condivise sull’accoglienza e integrazione dei migranti.

La nuova fase del Pd è appena cominciata, ed è bene chiarire quale sia la linea politica in un partito troppo noto per la sua ambiguità, ma per proporsi come alternativa credibile serve cucire e tessere la tela delle politiche più urgenti, quelle che toccano la carne viva degli elettori. Chissà che dopo tante lacerazioni proprio la Festa del 25 Aprile, da cui è nata la nostra democrazia, diventi il punto di partenza di un paese più unito e all’altezza delle aspettative dei cittadini.

 

Da Huffington Post, 24 Aprile 2023

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