Francesco, il Papa che ha fatto rivivere la bontà di Giovanni XXIII, di Josep Maria Carbonell

Francesco è stato, come Giovanni XXIII, un Papa buono. Più pastore che dottrinario, più vicino alla realtà umana che alle complessità dogmatiche. Più sensibile al dolore e alle speranze del mondo che alle intricate strategie di potere che spesso circondano la Curia. Un Papa che amava semplicemente le persone

Questo lunedì di Pasqua, alle sette meno un quarto del mattino, Papa Francesco ci ha lasciato. Da più di tre mesi lottava contro una polmonite bilaterale che aveva gradualmente ridotto la sua capacità respiratoria fino a lasciarlo senza l'ossigeno necessario per continuare a vivere. Nonostante tutto, ha mantenuto la mente lucida, il senso dell'umorismo acuto e la passione per la sua missione intatta. Domenica scorsa ha esalato l'ultimo saluto augurando una buona Pasqua alla comunità cattolica mondiale e, dal cellulare del Papa, ha benedetto una coppia di bambini. Sentiva che la sua scomparsa era molto vicina e voleva dire addio alle persone che lo circondavano. Ci ha lasciato un grande uomo, il Santo Padre della Chiesa cattolica e un riferimento morale per l'intera umanità.

È stato il Papa Giovanni XXIII del XXI secolo. Lasciatemi spiegare. Nel 1963 ci ha lasciato Giovanni XXIII, il Papa buono. Ricordo – avevo solo sei anni – come a casa la sua morte ci gettò in un profondo lutto. Mia madre, fervente cattolica, esclamò: «Il Papa buono è morto!» Sul balcone dell'appartamento in via Gran de Gràcia abbiamo appeso una bandiera del Vaticano con un drappo nero. Anche molti altri balconi esponevano bandiere a lutto. Quella frase, "Il Papa buono è morto!", è rimasta impressa per sempre nella mia immaginazione.

Con il passare degli anni ho capito che quel Papa era stato colui che aveva convocato il Concilio Vaticano II, nel 1962: il Concilio dell'Aggiornamento, che aveva come scopo quello di aprire la Chiesa al mondo moderno. Fu lui a rompere con il costantinismo e ad aprire una nuova fase, incerta ma piena di speranza, che avrebbe segnato una svolta nella storia della Chiesa cattolica.

Dopo quell'impulso, il suo successore, Paolo VI — di stile più intellettuale — continuò e completò il Concilio, nonostante le difficoltà e l'opposizione di settori ecclesiali restii al cambiamento. Anni dopo, nel 1982, Giovanni Paolo II fu scelto con la missione di riorientare quello slancio rinnovatore, raffreddando molti dei processi aperti: liturgici, dottrinali, ecclesiologici, pastorali. Nel corso del suo lungo pontificato, le grandi intuizioni del Concilio sembrarono essere messe da parte, mentre le società europee si confrontavano con un crescente processo di secolarizzazione. Benedetto XVI, il grande Papa intellettuale, consapevole dei nuovi tempi e delle tensioni interne alla Curia, aprì una nuova fase con le sue dimissioni volontarie. Un gesto senza precedenti che ha aperto le porte a un profondo sollievo.

E così, tredici anni fa, contro ogni previsione, un cardinale argentino, gesuita, è stato eletto Papa.

Ricordo perfettamente il pomeriggio della fumata bianca. Sono rimasto deluso. Qualche settimana prima ero a Buenos Aires e alcuni miei amici, cattolici kirchneristi, mi avevano parlato di lui con rammarico, accusandolo di legami con il regime militare e di presunta responsabilità nell'incarcerazione di due sacerdoti negli anni Settanta. Non ero l'unico ad accogliere la sua nomina con sospetto. Anche alcuni dei suoi confratelli gesuiti mostrarono la loro sorpresa.

Qui sta la prima grande somiglianza con Giovanni XXIII: entrambi furono eletti da maggioranze conservatrici con l'obiettivo di mantenere lo status quo ecclesiale. Ma entrambi hanno infranto le aspettative. E molto.

Le prime decisioni di Francesco mi hanno sorpreso e commosso: la semplicità del suo abbigliamento, la scelta di risiedere a Santa Marta anziché negli appartamenti apostolici, il suo linguaggio semplice e diretto che arrivava al cuore della gente. Ma il primo grande gesto è stato il viaggio a Lampedusa, dove si è schierato in difesa degli immigrati. Ricordo ancora le sue parole: “La grande sfida delle società occidentali è la globalizzazione dell’indifferenza”.

Poi vennero Evangelii Gaudium e, anni dopo, Laudato Si', due encicliche che ribadirono con forza lo spirito del Concilio Vaticano II. E poi il Sinodo sulla sinodalità, un coraggioso tentativo di ripensare il governo della Chiesa e la sua missione nel mondo contemporaneo. Seconda somiglianza con Giovanni XXIII: il Concilio, dopo trentacinque anni di silenzio, tornò ad essere il centro della riforma ecclesiastica.

C'è però un terzo elemento che li unisce: la gentilezza e la vicinanza alle persone, siano esse credenti o no. Francesco è stato, come Giovanni XXIII, un Papa buono. Più pastore che dottrinario, più vicino alla realtà umana che alle complessità dogmatiche. Più sensibile al dolore e alle speranze del mondo che alle intricate strategie di potere che spesso circondano la Curia. Un Papa che semplicemente amava le persone. In questi tredici anni del suo pontificato ho scoperto non solo un grande Papa, ma anche una grande persona. Un punto di riferimento per l'umanità.

Come accadde anche con Giovanni XXIII, Francesco lascia aperte linee programmatiche fondamentali che non sarà facile proseguire. Le ultime nomine al Collegio cardinalizio lasciano intendere che il prossimo Papa potrebbe seguire la sua linea riformista. Speriamo che sia così. Il Concilio Vaticano II, iniziato sessantadue anni fa, è ancora nelle sue fasi iniziali, secondo i tempi ecclesiali.

Dubito che nella Barcellona del 2025 sui balconi delle strade compariranno bandiere del Vaticano. Abbiamo vissuto sessant'anni di secolarizzazione accelerata. In ogni caso, la magnifica opera di Francesco e la sua testimonianza dureranno. Dureranno per sempre.

22/04/2025

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