E' tempo di un nuovo schema, di Giorgio Armillei
Il Foglio ha
ospitato nelle settimane precedenti le elezioni USA tre interventi di un
interessante dibattito sul futuro del sistema politico italiano, un sistema attualmente
ingessato non solo dalla pandemia ma anche dalle opposte e simmetriche
debolezze del PD e del centrodestra. Per superare questa fase Giorgio Tonini propone
di assorbire nel PD la parte buona della spinta populista e ricomporre così egemonia
(che il PD continua a esercitare) e consenso (che il PD non ha). Per Michele
Salvati occorre rigenerare e normalizzare il centrodestra, anche in questo caso
assorbendo la spinta populista (egemonica in quell’area) dentro un nuovo
contenitore nel quale il controllo sia in mano (ora non è così) ai liberali di
destra. Insomma, come il PD deve romanizzare i barbari a sinistra così i
liberali di destra, dispersi tra Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia, devono
romanizzare i barbari a destra. Più complesso Alessandro Maran. Sì, ci vuole un
centrodestra normale. Sì, dobbiamo tenerci questo governo anomalo ché la
pandemia non dà tregua. Sì, bisogna andare e prendere i voti che sono finiti ai
partiti populisti. Ma il PD non è nato per assumere modiche quantità di
populismo, è nato per puntare alla maggioranza degli elettori e governare.
Ovvio che la protesta populista vada interpretata e sfidata con una proposta
convincente ma il PD è nato per “fare come in Europa”.
Fermiamoci
su questo “fare come in Europa”. Le tre prospettive, seppure con punti di
partenza, enfasi e strategie diverse, in qualche caso anche in disaccordo l’una
con l’altra, mi sembra si muovano tuttavia dentro un comune perimetro. L’allineamento
destra vs sinistra che ricomponeva in un’unica dimensione le fratture sociali
del XX secolo è ancora vivo e vegeto: questo il perimetro. Intorno a
quell’allineamento ci si muove tutt’oggi – al netto di momentanei sbandamenti –
e a quell’allineamento bisogna guardare per provare a razionalizzare e
migliorare il rendimento del sistema politico. Ma questo a me non sembra “fare
come in Europa”: qui sta il punto.
In Europa si
sta percorrendo da qualche anno un itinerario in parte diverso. È emersa una
frattura trasversale rispetto a tutte le altre che ha scompaginato
l’allineamento destra vs sinistra, in molti casi finito in secondo piano. Una
frattura che mescola elementi culturali, economici e istituzionali, in un
ordine che si combina in vario modo nelle diverse situazioni nazionali. Una
frattura che è ancora in fase di mobilitazione e che struttura un’importante
dimensione di competizione politica, forse la più importante. È la frattura tra
integrazione e chiusura, tra apertura e protezionismo, tra europeismo e
sovranismo. Diverse sono le opinioni rispetto a quale dei tre elementi
(culturale, economico, istituzionale) sia originario rispetto agli altri:
qualcuno parla ad esempio di “cultural backlash” come effetto di rimbalzo della
grande rivoluzione delle libertà che ha occupato la seconda metà del secolo
scorso. Ma la tendenza complessiva sembra quella.
La
dimensione destra vs sinistra sembra dunque recessiva. Qualcosa del genere lo
aveva detto più di dieci anni fa Tony Blair: “la politica moderna ha a che fare
meno con le posizioni tradizionali di destra vs sinistra e molto di più con ciò
che definirei la scelta tra apertura e chiusura”. E qualcosa del genere stava
anche dietro l’idea un po' confusa in verità del partito della nazione di
Renzi, una big tent senza zavorre ideologiche.
Non siamo
lontani da questi spunti anche se siamo lontani dalle coordinate politiche che
li accompagnavano. Non perché sia venuta meno la forza di quelle intuizioni ma
al contrario proprio perché dentro quelle intuizioni si è svolta la
competizione politica di questi anni. E le uniche due ricette che hanno
funzionato nell’arrestare l’ondata sovranista e protezionista, quella di Merkel
e quella di Macron con l’annessa formula Von der Leyen – dentro la quale si
colloca la maggioranza di governo italiana, certo con una sua strutturale
inadeguatezza, complici il PD e l’incapsulamento sovranista dei liberali
all’opposizione - nascono proprio qui: destra vs sinistra sullo sfondo e in
primo piano apertura vs chiusura. Una nuova dimensione di competizione che
assorbe le fratture sociali e la nuova gerarchia delle fratture sociali,
spostando sullo sfondo quella del Novecento. D’altra parte, la stessa vittoria
di Biden non può certo essere spiegata solo o principalmente lungo la
dimensione destra vs sinistra. Per la sinistra di AOC e di Sanders, appena
terminata la conta dei voti, Biden torna ad essere un problema, così come Trump
lo è da tempo per i repubblicani moderati.
Per ragioni
empiriche prima che ideologiche, da molti questa ricostruzione viene messa in
discussione nel caso italiano. Paolo Segatti ad esempio parla di un muro tra
destra e sinistra che resiste alle trasformazioni. Salvatore Vassallo di
retorica anti-establishment furbescamente utilizzata in sede di offerta
politica, senza che questo indichi alcunché in termini di nuove fratture e di
nuovi allineamenti della competizione politica. Sullo stesso terreno empirico
troviamo però altri che confermano l’emergere a livello europeo di qualcosa di
nuovo, qualcosa che è transitato dall’essere elemento di identità per una
piccola parte dell’elettorato a dimensione strutturante la competizione
elettorale. Secondo Vincenzo Emanuele tutto questo sarebbe accaduto in maniera
evidente nelle elezioni per il Parlamento europeo del 2019. Dunque, cosa può
significare “fare come in Europa”?
Innanzi
tutto, prendere atto che la grammatica destra vs sinistra non basta più, sia
per fare sintesi programmatiche che per fare sintesi dei comportamenti
dell’elettorato. Insomma, non funziona più né sul lato dell’offerta né su
quello della domanda. La crisi del conservatorismo liberale, pensiamo ai casi
simmetrici degli USA e dell’UK, e quella dei riformismi socialdemocratici, qui
laburisti inglesi e socialdemocratici tedeschi ne sono un esempio, dovrebbero indurci
a non andare a cercare le soluzioni all’attuale stallo dentro quello schema.
In secondo
luogo, riconoscere che è l’europeizzazione della politica nazionale a dettare
l’agenda. L’europeizzazione non è solo rilevanza all’interno del quadro
politico nazionale di fenomeni politici esterni. È al contrario un processo incorporato
nel sistema politico del paese, nelle sue identità, nelle sue strutture
politiche e nelle sue politiche pubbliche. È insomma incorporato nella sua
politics e nelle sue policy. Tale da non poter essere compreso solo in termini
di negoziazione con un livello esterno quanto come articolazione di un sistema
politico più ampio che include il livello nazionale. Il caso politicamente
sensibile del MES ne è un esempio.
Se dunque
l’articolazione europea del sistema politico mette in secondo piano nel
quotidiano funzionamento delle sue istituzioni di governo la dimensione destra
vs sinistra, appare impraticabile una strategia che – finendo paradossalmente con
il pensare il segmento europeo del sistema politico in una logica che somiglia
a quella del sistema delle relazioni internazionali – provi a risuscitarla
dentro il quadro nazionale.
La
prosecuzione e lo sviluppo dell’esperimento liberale dell’Unione europea
contrapposti alla sua dissoluzione sovranista: è questa la fotografia della componente
istituzionale della competizione politica che si innerva su quella economica e
su quella culturale. È in questo schema che può essere ridefinito uno scenario
di competizione politica nazionale che sia adeguato agli sviluppi strutturali
del sistema politico nella sua duplice componente nazionale e sovranazionale.
Il rischio è finire con il riproporre schemi giustamente accarezzati alla fine
del secolo (liberali di sinistra vs liberali di destra) ma ormai spazzati via
del cultural backlash degli ultimi anni.
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