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I dilemmi della sinistra e del Paese 0 BY GIOVANNI COMINELLI ON 2 OTTOBRE 2015 · POLITICA Foto: il Presidente del Consiglio e segretario del PD, Matteo Renzi A ORVIETO, UN CONVEGNO Da qualche anno a questa parte, all’inizio dell’autunno, sulle splendida rupe di Orvieto, si danno convegno “i liberali” del PD sotto la sigla di “Libertà eguale”. Si tratta dei resti della vecchia area migliorista – diretta a suo tempo da Giorgio Napolitano, prima che diventasse presidente e “padre della patria”- di intellettuali liberal, di discepoli dello storico cattolico Pietro Scoppola, di giovani ricercatori o nuovi esponenti di partito, che hanno preso la scia di Renzi. Insomma: una sinistra laico-liberale e cattolico-liberale, una sinistra del socialismo liberale, benché quest’ultima denominazione confini con l’ossimoro. “LIBERTà EGUALE In termini di ascendenze genealogiche, Libertà eguale è l’espressione con cui Carlo Rosselli, già dagli anni ’30 del ‘900, tentò di conciliare i primi due dei tre valori fondamentali della Rivoluzione francese: liberté, égalité, fraternité. La sinistra è nata dalla rivendicazione delle libertà fondamentali, che i cromwelliani posero in cima alle loro bandiere verde-pallido a metà del ‘600 inglese. Fu Marx, nel suo Manifesto del 1848, a spostare l’asse dell’azione socio-politica della sinistra sul valore dell’eguaglianza, subordinando alla sua realizzazione quello della libertà. L’intera storia del movimento operaio socialista e comunista, compresa quella dell’esperienza degli Stati comunisti, ha girato attorno a questo nuovo cardine. L’esito di questa storia è noto. Il suo ripensamento ha portato pezzi della sinistra, non tutta e forse neppure la sua maggioranza, a riproporre la liberté quale asse principale della propria cultura politica. MINORANZA ERETICA DEL PD “Libertà eguale” si colloca in questo scenario, ma resta una minoranza eretica nel PD, benché Renzi si muova lungo questa linea, che politicamente unisce i punti del blairismo, del clintonismo, della “terza via”. La sinistra italiana si trova tuttora nel travaglio. Il passaggio dal PCI e dal PSI a una nuova formazione e a una nuova cultura politica è stato tutt’altro che lineare. Secondo molti esponenti e molti opinionisti di quell’area, la vera sinistra è quella del vecchio PCI. E’ ciò che ha fatto notare Claudio Petruccioli, storico esponente della svolta occhettiana, che ha lasciato per strada proprio il suo promotore, Achille Occhetto. A Petruccioli, relatore all’assemblea, che quest’anno portava il titolo “Le riforme e il loro partito”, si deve una lucida presentazione dei dilemmi che tuttora scuotono quel mondo. SINISTRA DI GOVERNO O SINISTRA AL GOVERNO? Il primo: una sinistra di governo o una sinistra al governo? Nel primo caso, il partito è a vocazione maggioritaria – l’espressione è di F. Mitterrand nel 1971 e fu ripresa da Veltroni con il suo discorso del 27 giugno 2007, in cui si candidava alla leadership del PD – si propone di conquistare la maggioranza degli elettori e di affrontare le questioni di governo, sciogliendo con la decisione responsabile i nodi che l’azione di governo incontra. Nel secondo caso, la sinistra sta al governo come parte di una coalizione, quasi sempre in tensione, che fa durare i governi 11 mesi, non di più. Il secondo dilemma: democrazia competitiva o democrazia consociativa? Nel primo caso, si tende a costruire un sistema politico-istituzionale ed elettorale che delinei un’alternativa e un’alternanza tra le forze in campo, equilibrando capacità di rappresentanza e esigenze di governo. Nel secondo, basta conservare il sistema così com’è oggi, privilegiare il Parlamento rispetto al governo, mantenere l’elettività dei senatori, puntare sul sistema elettorale proporzionale invece che su sistemi maggioritari oppure, poiché oggi si parla di Italicum, costruire un sistema elettorale che attribuisca il premio di maggioranza non al singolo partito, ma alle coalizioni. E’ ciò che vorrebbero tanto la sinistra PD e la sinistra radicale quanto Berlusconi, che, a quanto pare, non è al momento in grado di costruire un partito a vocazione maggioritaria come fu Forza Italia. Il terzo dilemma: la scelta democratica diretta da parte di iscritti e elettori del leader di partito e candidato premier al governo, attraverso una competizione aperta e effettiva attorno a una leadership contendibile, o una scelta cooptativa e oligarchica, esercitata da un collegio di oligarchi, magari attorno a un caminetto, che tiene separate le figure del segretario di partito da quella del capo del governo? Nel primo caso, l’esito può essere ed è stato quello di Renzi. Il secondo caso è quello dell’intera storia del PCI-PDS-DS-PD fino a Renzi. NON è SOLO UN PROBLEMA DEL PD Non si tratta di un’elaborazione politologica astratta. Essa rispecchia un dibattito acceso, qui e ora, nel PD, nel quale una corrente minoritaria contesta alla maggioranza di non essere più di sinistra, di voler fare a pezzi la Repubblica, di scivolare pericolosamente verso un regime. Una sinistra che vuol tornare “ai bei tempi” e ai caldi “caminetti” delle freddolose oligarchie del PCI. Lo scioglimento di questi nodi riguarda il destino del sistema politico-istituzionale del Paese e la sua collocazione nel consesso internazionale. In primis: se debba avere governi che durano nel tempo, che si rendano pertanto credibili in Europa, che siano in grado di costruire l’Europa e di far valere gli interessi nazionali dentro un assetto attualmente intergovernativo delle istituzioni europee, come ha spiegato, a seguire, Sergio Fabbrini, professore di scienza politica e relazioni internazionali. Oppure un Paese sempre sotto perenne vigilanza, incapace di sviluppo e di riforme. Un Paese in declino. Come è evidente, questa lunga catena di dilemmi ci riguarda personalmente, ogni giorno.

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