Cattolici, Grillo e il triplete

Potremmo chiamarlo il triplete di Grillo. Con l’aiuto di linee difensive rassegnate o peggio ancora complici, il M5s va a segno tre volte sui quotidiani di oggi. Incassa un’intervista di Grillo su Avvenire che non avrebbe sfigurato in un normale house organ del movimento. Vede bollinata dal direttore di Avvenire la sua piattaforma programmatica per almeno il 75% delle questioni. E sulla stessa pagina del Corriere della sera il solito Massimo Franco, non fa che dipingere e, per modalità e forma espositiva, benedire tra le righe un’alleanza tra il movimento e il mondo cattolico. Insomma un’offensiva mediatica in grande stile che approfitta del riposizionamento dei due giornali per incassare un evidente segnale: élite cattoliche e curia vaticana sono con Grillo. Prima ancora di capire se le cose stanno effettivamente così, non ci vuole molto a mettere a fuoco che si tratta di una forzatura anche se inserita in un lucido disegno, conviene però fare qualche considerazione sui protagonisti della partita, in particolare su chi ha giocato così male da prenderle di santa ragione. Il Corriere della sera, e in particolare alcune delle sue firme, sono da tempo un “oggettivo” amplificatore del grillismo, basti pensare alla campagna contro la casta. Il pezzo di Massimo Franco non può dunque sorprendere. Quello che sorprende è invece l’ennesima operazione nella quale il Corriere fa endorsment senza dirlo. Intendiamoci, i quotidiani non sono e non possono essere neutrali. Debbono però raccontare e spiegare chiaramente i perché del loro posizionamento, cosa che il Corriere regolarmente non fa. Ne abbiamo avuto una prova con il NO obliquo, opaco, allusivo, paludato al referendum costituzionale di dicembre, fatto di titolazioni, impaginazioni ed editoriali cerchiobottisti di Fontana. Quando si vuole dire no si dice no e si danno le ragioni del no, citofonare The Economist. Il Corriere gioca con il grillismo, lo sapevamo, Cairo o non Cairo. Non sapevamo che anche Avvenire facesse parte della stessa squadra. Una squadra che ha rinunciato a fare il proprio mestiere e che mette in campo una difesa colabrodo. Con improbabili interviste nelle quali non ci si dà certo la briga di entrare in tackle davanti a “redditi di dignità” oppure a “dazi come flussi”. E con sconcertanti riconoscimenti di convergenza sulle questioni delicatissime della partecipazione politica e del contrasto alla povertà. Tanto che in serata arrivano smentite e precisazioni a dimostrazione di come il disegno politicista avesse preso il sopravvento sul mestiere del giornale e del giornalista. Merita una riflessione questa fetta dell’eredità del ruinismo che finisce nelle braccia di Grillo. Qui forse diventa anche difficile parlare di clerico-moderatismo, un paradigma che appare anche troppo sofisticato rispetto al più banale inseguire il vincitore. E non c’è certo alcuna traccia né del cattolicesimo liberale di destra che molti hanno tentato di rintracciare nella stagione ruiniana, cercando di esaltarne il contributo alla salutare bipolarizzazione postideologica della politica italiana, né del più probabile neoguelfismo di Ruini e del suo gruppo. Siamo di fronte ad un enorme problema per la Chiesa italiana e per il laicato cattolico, non a caso messo in secondo piano dalla dottrina della presenza episcopale enunciata da Ruini fin dal 1991. Un problema tutt’altro che solo ecclesiale ma anche culturale e politico per l’intero paese: dai principi non negoziabili alla politica estera neutralista di Di Battista. Non è un bel tragitto. A questa introversa deriva degli eredi pop del clerico-moderatismo si aggancia un pericolo, una specie di possibile cortocircuito. La vulgata del bergoglismo, costruita oltre il magistero di Francesco ma che pesca a piene mani da frasi, spunti, battute del Papa, distorcendole e riadattandole ai propri fini, si incontra con la limacciosa ondata illiberale, antimercato, populista, sovranista, antiglobalizzazione che costituisce il pensiero unico, questo sì veramente unico, di questa fase del dibattito pubblico. Di questa saldatura occorre essere seriamente preoccupati. Con essa si uscirebbe dal quadro del pluralismo cattolico post conciliare, nel quale anche il ruinismo continuava a collocarsi, per entrare in un’epoca di cattolicesimo mediatico, movimentista, illiberale. Non indietro ma oltre il Concilio: e oltre il Concilio c’è solo il clericalismo, cioè il dominio mediatico di una nuova élite. Il dominio che Bergoglio non si stanca di evidenziare come uno dei mali della Chiesa universale.

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