Bipolarismo 1 e bipolarismo 2, di Giorgio Armillei

Al di là delle trattative e dei giochi negoziali di cui non conosciamo l’esito – senza dimenticare che le strategie possono saltare non perché manchino tendenze che le sorreggono ma anche semplicemente perché gli interpreti di quelle tendenze non sanno fare il loro mestiere - emergono due letture del voto del 4 marzo. Entrambe richiamano un nuovo bipolarismo, si tratta però di due modi diversi di interpretare questo nuovo bipolarismo. Provo a chiamarli bipolarismo 1 e bipolarismo 2. Il bipolarismo 1 mi sembra ci dica due cose. Primo: la meccanica bipolare ha impregnato il sistema di partito italiano e vince anche contro un formato apparentemente tripolare, quello secondo molti inaugurato dall’avvento del M5s nelle elezioni del 2013. Secondo: i poli di questo bipolarismo sono dunque due. La destra neo-sovranista di Salvini, con Forza Italia sempre più ruota di scorta necessaria a renderne potabile il tasso di sovranismo. E la sinistra populista del M5s, con il PD candidato anch’esso alla funzione di ruota di scorta sempre in versione moderatrice e in un certo senso maieutica: ci si allea in una qualche forma non organica con il M5s per permettergli di mostrare il suo vero volto. Il bipolarismo 2 appare concentrato su altri due punti. Primo: la meccanica bipolare che si innesta su un sistema frastagliato è generata da una nuova frattura in via di consolidamento, quella tra chiusura e apertura di cui quella tra sovranismo e unionismo europeo è una specie. La frattura assume i caratteri di un conflitto “forte e radicato” tra tendenze populiste (chiusura identitaria e democraticismo) e tendenze liberali (apertura identitaria e pluralismo istituzionale). Secondo: gli attori di questo bipolarismo vanno identificati con attenzione, senza lasciarsi confondere dall’assetto delle coalizioni e della competizione elettorale del 4 marzo, figli della forza inerziale della scorsa legislatura e della voluta ambiguità del sistema elettorale. E infatti troviamo attestati sul polo della chiusura identitaria Lega e M5s, avversari nelle elezioni ma alleati a partire dalle prime ore del gioco parlamentare della nuova legislatura, insieme a segmenti di Forza Italia rassegnati ad un ruolo gregario di sopravvivenza. Mentre il polo dell’apertura identitaria è disperso tra ciò che resta di Forza Italia e quella parte del PD che non si rassegna al ruolo di portatore d’acqua delle versioni di sinistra del populismo o a quello di manovratore cronico di nuovi governi del Presidente. Se queste sono le due versioni del bipolarismo qualche considerazione penso possa essere fatta anche a proposito delle conseguenze dei bipolarismi. Il bipolarismo 1 sembra funzionare alla perfezione per difendere gli interessi di ciò che resta del berlusconismo “materiale” di breve termine, per perpetuare un’immagine del M5s come di “qualcosa di sinistra”, per fornire così un’ultima scialuppa di salvataggio al sinistrismo di pezzi del PD e infine per regalare chance governativiste a carriere in cerca di stabilità post elettorale, pensiamo ai pezzi non renziani della ex maggioranza del PD. Il bipolarismo 2 costringe alla resa i cultori dell’esausto berlusconismo, mette all’angolo tutti i tentativi trasformistici di tenere in piedi un PD svuotato di ogni vocazione maggioritaria, impone non la ripetizione chiaramente impossibile ma il perseguimento di una via macroniana, alimentabile da più forni, incluso quello del PD “vassalliano” messo nero su bianco nell’ottobre 2006 ad Orvieto. E oggi naturalmente da ripensare con creatività programmatica e organizzativa. I sostenitori del bipolarismo 1 sembrano a questo punto rimproverare a quelli del bipolarismo 2 una specie di wishful thinking: l’elettorato non sa nulla di chiusura, apertura, europeismo, sovranismo, protezionismo. L’elettorato esprime semplicemente un disagio relativo agli effetti della crisi economica e della fragilità della ripresa. è questo che unifica sotto una sola dimensione il voto alla Lega e quello al M5s. Tuttavia, non mi sembra che le cose siano così chiaramente definite. Innanzi tutto, Lega e M5s si scambiano elettori fin dalle elezioni locali del 2011. Gli scambi sono proseguiti, con movimenti di andata e ritorno, nelle elezioni del 2013, in quel caso la destinazione era il M5s, e poi nelle elezioni del 4 marzo, con destinazione Lega. A testimonianza del fatto che una parte rilevante di quell’elettorato sceglie di volta in volta il leader e il partito che più si avvicinano allo stato del proprio comune sentimento. Non solo. In tema di orientamenti di policy gli elettori di Lega e M5s pensano molto spesso le stesse cose. Su 19 questioni di policy (dati CISE) che sono sul tavolo del prossimo governo, troviamo gli elettori dei tre partiti (Lega, M5s e PD) così aggregati: su 11 questioni la vicinanza è tra Lega e M5s contro PD; su 5 c’è vicinanza tra tutti; su 2 questioni è tra M5s e PD contro la Lega; su una questione c’è vicinanza tra PD e Lega. Le aree di vicinanza tra Lega e M5s sono dunque il doppio di quelle tra PD e M5s. Le versioni più estremiste della flat tax e del reddito di cittadinanza sembrano i veri punti di dissenso tra Lega e M5s. E non si può dire quanto reggerebbero alla prospettiva di qualche incarico di governo, come simbolicamente mostrato dalle aperture di Salvini sul reddito di cittadinanza. Sia chiaro: non si tratta di sostenere che gli elettori abbiano sbagliato. Gli elettori hanno fatto una scelta tutt’altro che confusa, anche se non sono andati a votare con il libretto giallo-verde in mano. Sarebbe come pensare che tutti gli elettori di Marine Le Pen alle presidenziali francesi del 2017 abbiano letto De Maistre prima di andare a votare per lei, sottoscrivendo da un notaio il manifesto della destra tradizionalista. No, le cose non vanno cosi. Le scorciatoie cognitive servono a questo: consentire la traduzione di orientamenti in voto senza passare dalla lettura condivisa di testi dottrinali. E qui la scorciatoia cognitiva era chiara: ci chiudiamo, ci difendiamo, ci facciamo proteggere, prima gli italiani. Su questo polo della frattura si sono collocati Lega e M5s e hanno vinto le elezioni, anche se separati dalla logica proporzionalistica e dall’inerzia dell’alleanza di centrodestra. Il polo alternativo, quello previsto nel bipolarismo 2, è oggi senza interpreti collettivi, senza partito e senza leader. Qui risiede la sfida. E il PD può esserne protagonista accettandola e rimettendosi in discussione. Non certo in direzione dei Sanders, dei Corbyn o degli Hamon. Quel fronte è già occupato e le copie funzionano molto meno degli originali.

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