alleanze riformatrici di ieri e di domani, di luciano iannaccone
Su
“Linkiesta” del 9 aprile Claudio Martelli, riprendendo un suo editoriale
sull’“Avanti”, interviene sulle iniziative in corso per “Unire i riformisti” e
giustamente osserva il rischio della ”più vaga indeterminatezza come se
dichiararsi riformisti fornisse ad un tempo una carta di identità, un programma
ed un passepartout”. Ad uscire da tale indeterminatezza aiuta la nostra vicenda
nazionale, in cui poco più di cent’anni fa si fronteggiarono senza compiutamente
incontrarsi, come sarebbe stato invece necessario, il “riformismo dal basso”
dei socialisti riformisti di Turati e Treves, “il riformismo dall’alto” del
liberale Giolitti e un altro e diverso riformismo dal basso: il partito
popolare di Sturzo.
Circa quarant’anni dopo, prosegue Martelli,
nasce finalmente il primo centro-sinistra dall’incontro tra riformismo
cattolico, quello socialista ed i repubblicani di La Malfa, mentre i liberali
di Malagodi si oppongono frontalmente. Incontro e governi che produssero “una
ineguagliata mole di riforme”. La stessa edificazione dello Stato Sociale in
Europa, la grande conquista del XX secolo, “è frutto dell’azione del socialismo
riformista spesso in alleanza con i liberali progressisti e sempre in guerra
con i liberali conservatori”.
Questa
lettura della storia politica dell’Italia repubblicana nei suoi primi quarantasette anni (cioè fino alla stagione
referendaria e ad “mani pulite”) mi sembra francamente riduttiva. Dopo i
governi nati nella liberazione, il centrismo degasperiano (che con altri leader
giunse fino al 1958), non rappresentava forse l’alleanza tra riformismo
cattolico e socialisti democratici (avversi al frontismo nenniano), liberali e
repubblicani? Tutte componenti che De Gasperi volle nell’alleanza di governo
anche dopo il 18 aprile
Come
votarono i partiti di sinistra all’opposizione sulla ratifica dei trattati di
Roma ? Contro i comunisti, astenuti i socialisti di Nenni, che stavano
iniziando il superamento del frontismo.
Più
del centro sinistra degli anni ’60, con luci, ma anche ombre (queste ultime per
il progredire inesorabile del sottogoverno e anche per certo giacobinismo
dottrinale socialista) occorre riconoscere che il riformismo socialista trovò attuazione
nell’azione di Bettino Craxi. Non per nulla nel dibattito sulla fiducia al
Senato del primo governo Craxi, Malagodi nel 1984 ebbe ad esclamare: “E’ un
appuntamento che aspettavo dal
L’approccio
olistico che ho sommariamente applicato a questi decenni di vita della nostra
repubblica va doverosamente usato anche per le sue criticità: la progressiva
degenerazione di pratiche di sottogoverno clientelari e distorsive da una parte,
che ha portato alla crescita del disavanzo pubblico (inarrestabile dagli anni
’70), e dall’altra l’inesorabile aggrovigliarsi, ingigantirsi e paralizzarsi dell’indispensabile
ruolo di servizio alla società ed all’economia della pubblica amministrazione.
Per non parlare, accanto alla patologia burocratica, di quella giudiziaria, che
sta rivelando proprio oggi l’avvelenamento dei pozzi che una minoranza di
spregiudicati ha da un preciso momento cominciato ad attuare a proprio vantaggio,
macchiando così la credibilità dell’intero
ordine giudiziario.
A
fronte di tali autentici disastri, la maggior parte frutto di una “dialettica
concorrenziale” indebita e patologica fra i partiti al potere, va reso però
onore ai non pochi uomini che hanno anche operato, spesso fra delusioni e
solitudine, a servizio della nostra Patria. Da insigni economisti che hanno
affiancato al prevalente indirizzo keynesiano un’altra linea concreta di
liberalismo sociale, da Luigi Einaudi ad Ezio Vanoni a Francesco Forte, a
uomini politici che, con diverso peso, ruolo ed importanza storica, hanno
lottato tra errori e limiti per un’azione politica riformatrice. Contro storture
e “lacci e lacciuoli”. Quasi tutti “uomini soli”, da Alcide De Gasperi (il più
grande) a Giuseppe Saragat, da Aldo Moro
a Bettino Craxi, da Nilde Iotti ad Emma Bonino, da Ugo La Malfa a Giovanni
Malagodi (che non va confuso con la sua caricatura polemica). Senza dimenticare
Giorgio Amendola, che lottò per una svolta riformatrice del PCI e fu lasciato
solo dai suoi nel novembre del 1979, pochi mesi prima della sua scomparsa.
Claudio
Martelli, nell’intervento citato, rileva giustamente che una alleanza
riformatrice può nascere solo dalla “scelta di idee guida, contenuti, obiettivi
e programmi”. E la proposta sua e dell’Avanti è quella “di incalzare il governo
Draghi nel tragitto riformatore”. E soprattutto dall’ arrivare a“definire una
riforma della Costituzione resa improcrastinabile dal taglio dei parlamentari,
a una legge elettorale che garantisca la rappresentanza e la governabilità, a
una legge di riforma dei partiti secondo statuti democratici in attuazione
della Costituzione”.
A
sua volta l’intervento di Giovanni Cominelli su “Linkiesta” dell’8 aprile titola:
“SPINTA PROPULSIVA | Bisogna riformare la struttura della politica coinvolgendo
(e convincendo) i cittadini”. Secondo l’Autore alla base dell’instabilità
politica italiana sta la patologia per cui le oligarchie dei partiti detengono
sia il potere legislativo che il potere esecutivo. E la vera riforma che
garantisce stabilità politica ed istituzionale consiste nel riconoscere al
cittadino il diritto di eleggere direttamente il proprio rappresentante al
parlamento nel proprio collegio uninominale a doppio turno; e l’elezione
diretta, sempre a doppio turno, del capo dello Stato. Il riferimento mi pare
essere il semipresidenzialismo francese. Se questa è la meta da raggiungere,
occorre un movimento dal basso che mobiliti i cittadini per una nuova stagione
costituente e referendaria.
Sempre
Cominelli, su “Linkiesta” del 14 aprile interviene su “Il fallimento del
regionalismo italiano ed i suoi responsabili”: “Dopo 50 anni possiamo dirlo. Il
sistema delle regioni ha aggravato la disunione e le finanze del nostro Paese.
Occorre ridurne il numero e ripensare il riassetto dei livelli istituzionali”.
Sono
d’accordo con Cominelli. A mio modesto parere una piattaforma costituente
legata ad una mobilitazione popolare e referendaria può unire i movimenti di
area liberale e riformista in una battaglia di rinnovamento e ricostruzione
nazionale. Assieme al convinto sostegno all’azione di Draghi e del suo governo.
Azione che si svolge su di un crinale decisivo della nostra storia nazionale: o,
nel pieno di una crisi pandemica, economica e finanziaria, si imbocca la strada
del risanamento e dello sviluppo o una decadenza più o meno drammatica è
inevitabile. O gli italiani rifiutano ulteriore consenso alla demagogia (gridata
o sussurrata) ed all’ignoranza che promuove solo se stessa o la sorte è
segnata.
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