Votare per l'Europa di Luciano Iannaccone
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“FUORI I SOLDI O MI SPARO”
Sia nelle vicende personali che in quelle collettive tendiamo talvolta a sopravvalutarci, a credere che le nostre decisioni modifichino la realtà nel senso da noi pensato e voluto. Ma spesso non è così, come ci ricorda il detto “l’uomo propone e Dio dispone” e come conferma la categoria storico-filosofica nota come “eterogenesi dei fini”.
Anche in relazione alle imminenti elezioni politiche generali si è portati a vedere l’effetto del nostro voto nel nuovo assetto del Parlamento, con un più forte ruolo dei partiti e delle coalizioni più votate, e nella conseguente possibilità che le stesse possano attuare in tutto o in parte i programmi e le promesse elettorali. Ma è un errore, perchè votando partiti o liste l’elettore in realtà contribuisce innanzitutto a determinare un’altra scelta ben più decisiva : se l’Italia decide di salire sul treno di un nuovo inizio dell’Europa, che è in partenza sul binario franco-tedesco ed è aperto al contributo italiano, o se invece si trasferisce nella periferia di Roma-Varsavia-Budapest intorno ad una retorica nazionalista ed autarchica che non serve l’interesse nazionale.
Il perché di questa scelta, inevitabile e destinata a caratterizzare profondamente i nostri prossimi decenni, lo hanno illustrato con grande chiarezza e competenza Enrico Morando e Giorgio Tonini nell’articolo pubblicato sul “Foglio” del 19 gennaio e integralmente ripreso dal “Landino”. Per richiamarlo sinteticamente con una frase, solo il concreto esercizio da parte di una nuova Europa della sovranità in materia di confini, difesa, sicurezza, ambiente, investimenti (a cominciare da quelli strutturali e strategici), sviluppo, lavoro, politica fiscale e di bilancio consentirà a tale sovranità di essere reale e non illusoria ed impotente, come avviene ed avverrà sempre di più a quelle nazionali.
Va da sé che questo processo epocale richiede di essere guidato dalla politica, legittimata dal voto dei cittadini e non da una eurocrazia, che non ha e non può avere la medesima validazione. Una necessità per tutti gli Stati coinvolti ed in particolare per l’Italia, che secondo me ha bisogno di ritrovare la forza della democrazia anche per dare battaglia alla patologia burocratica, montante col continuo incremento del livello di precauzione, ed alla “repubblica giudiziaria” con i suoi corifei.
C’è, è vero, una narrazione grossolanamente alternativa alla compiuta analisi di Morando e Tonini (che è quella di Macron e della costituenda maggioranza governativa di Berlino, di Gentiloni, Bonino, Renzi, Calenda e tanti altri). Rispolvera il vecchio motto “L’Italia farà da sé” per bocca di Salvini e Meloni, ma anche di Di Maio e talvolta di Berlusconi, ed è specializzata nel “dare i numeri” senza vergogna. Ciò avviene sia concionando che tacendo sull’Europa, scelta quest’ultima fatta dai 5Stelle nei 20 punti del programma elettorale dove non parlano più di referendum sull’Europa, perché hanno scelto di fare il pesce in barile e di non dispiacere a nessuno. Come ha scritto David Carretta, “con il programma di Di Maio (ma non solo) non serve il referendum sull’euro: l’Italia esce senza voto popolare causa default”. In tutti prevale un misto di furbizia, presunzione ed ignoranza, mirabilmente dipinto nella gag del rapinatore con (felpa e) calzamaglia sul volto, che si presenta alla cassa dello sportello bancario con una pistola ed intima: “fuori i soldi o mi sparo”.
Se l’adesione o meno al nuovo inizio dell’Europa sarà il vero risultato del voto del 4 marzo, ci troviamo ad un bivio decisivo ed epocale alla pari del 18 aprile 1948, come ha ricordato Sergio Fabbrini. Allora l’Italia non si lasciò ingannare dall’effige di Garibaldi sulla scheda e votò per la libertà e l’appartenenza alle democrazie occidentali. Questa volta non c’è Garibaldi, ma la più alta concentrazione di promesse elettorali della storia repubblicana, anzi dei 157 anni dell’Italia unita. Un record per nulla lusinghiero, fatto di promesse farlocche e “balle spaziali” e un incubo per tutti, nessuno escluso. Ma non faremo come il rapinatore con la calzamaglia e la pistola: le lasceremo entrambe a casa e andremo a votare per l’Europa, cioè per noi tutti.
Luciano Iannaccone
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