Vino nuovo...

Pazienza per il dejà vù, la location (che per qualcuno “porta sfiga”…), e l’immancabile, ancorchè sempre un poco necessaria in questi casi, retorica della bella politica della fratellanza e dell’onestà. Ma non si può negare che – nel discorso pronunciato ieri al Lingotto da Veltroni – s’intraveda una visione, una prospettiva, e più d’una buona idea, per il recupero sistemico di una fisiologica, e credibile, alternativa di governo.  Attinte dalla migliore cultura liberal riformista (peraltro dal forte aroma “landiniano”) e  con non poche assonanze con quella altrettanto presente – a dispetto del denunciato “populismo” –in larghe componenti dello schieramento….avverso (absit iniuria verbis), si tratti di ceto politico e di governo come di domande d’innovazione avvertite diffusamente a livello dei settori sociali più dinamici. Per andare a spanne, e sul concreto più attuale: riconoscere la necessità di una battaglia per l'adozione di un “diritto unico del lavoro”,  a rimedio della precarietà, non è molto lontano dal progetto governativo attualmente in campo di “statuto dei lavori” propugnato sulla falsariga delle progettazioni di Marco Biagi. Cosi come promuovere il ruolo di comunità e territori per fare sussidiarietà e coesione sempre più “personalizzate” rispetto alle logiche omologanti del “big government” che hanno caratterizzato le politiche di welfare del ‘900 – e conseguente crisi fiscale dello Stato – corre parallelo al coraggioso riconoscimento della svolta impressa alle relazioni industriali dalla vicenda Fiat e dall’adozione di nuovi modelli contrattuali sempre più tarati sul livello aziendale (sulla scorta degli accordi “separati” promossi nel 2009) in funzione dello scambio virtuoso fra più alti livelli di produttività/e di salario (già oggi opportunamente detassato), nonché di sperimentazioni di forme di partecipazione dei lavoratori. La stessa idea di rappresentanza sottesa alla proposta Ichino, benchè ancora legata ad un approccio non del tutto convinto della (opportuna) astensione da qualsivoglia intervento di matrice pubblicistica in materia, quanto meno non prescinde dalla (sempre preferibile) soluzione di un accordo fra le parti da recepire in forma di legge. Per non dire dell'accoglimento della proposta di no-tax area avanzata dal Forum delle associazioni familiari (quello dell' inviso Family Day...) in materia di politiche di sostegno. Con ciò non s’intende oscurare dis-sonanze e radicali differenze, ad esempio nel perdurante silenzio di qualsivoglia riferimento al disperato bisogno, in questo Paese, di un riequilibrio di garanzie “liberali” - almeno pari all'invocato necessario rigore nella lotta a tutte le illegalità - si tratti della ragionevole serenità di svolgimento di funzioni politiche (di rappresentanza e di governo), come della parità fra accusa e difesa nella giusdizione a carico di qualunque cittadino – e di adozione di parametri minimi di responsabilità nell’azione delle magistrature, oltrechè di efficientamento dei processi….ma qui, e si capisce pure, oggi chi tocca i fili muore. Tanto meno si vuole qui perfidamente rendere  un servizio o dare ragione magari a chi, nella bieca banalizzazione che ricorre circa tentazioni “inciuciste” o di scambi incoffessabili, demonizza qualsivoglia occasione di confronto e dialogo civile fra gli schieramenti e lucra sul’estremizzazione posticcia della dialettica politica. Semplicemente - e a maggior ragione se poi si sente definire, quanto a politiche europee, anche la proposta avanzata dal presidente dell’Eurogruppo Junker “insieme al ministro Tremonti” sulla gestione continentale del debito pubblico “un segnale interessante e positivo” - non siamo lontani dall’eden ideale di una sana competizione centripeta, di proposte e di programmi, del tutto fisiologica in un contesto di “normale” democrazia maggioritaria e bipolare. Che però, nella valle di lacrime in cui invece ci troviamo, “normale” non è, e per ragioni ampiamente note. Dopodichè: siccome errare è umano, ancorchè sovente senza rimedio, e sarebbe davvero diabolico pensare di offrire, o spacciare, ancora vino “nuovo” in otri di comprovata vetustà, non si può davvero ritenere di riproporsi sul mercato (elettorale) come nulla fosse accaduto (inclusi gli errori strategici già commessi in precedenza, quanto ad alleanze), e magari all’insegna di un ritrovato unanimismo “di combattimento”. Perché la credibilità è di certo nei buoni contenuti, essendo ben vero che “le favole fanno presto a scomparire”. Ma se la realtà è, oltre “il luogo in cui viviamo l’unica cosa che può cambiare”, urgono gesti conseguenti e fatti nuovi di realtà. Di vero...movimento, e di rottura dell’esistente.

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