Verso una stagione della democrazia italiana-FUCI Bari. Formica
Tavola Rotonda Verso una nuova stagione della democrazia italiana di Rino Formica Io non seguirò Massimo D'Alema sul terreno da lui scelto, che è quello del ricorso alla propaganda, in qualche caso all'invettiva, per giustificare un ritardo storico. Non so se noi nel nostro riformismo siamo "deboli" o “forti", ma so che il riformismo nella sinistra italiana, in un pezzo dello stesso Partito Socialista Italiano (immaginiamoci nel Partito Comunista...) è stato considerato fino a poco tempo fa un termine persino da abrogare perché sinonimo, nella lotta politica italiana, di transigenza, di compromesso e rinuncia. Ritengo che questo sia un vecchio vezzo "terzinternazionalista” che giustifica il ritardo proprio con le deficienze degli altri. I ritardi, nel sistema politico italiano, devono essere bene analizzati; appartengono a tutti e devono essere analizzati. Sfido in questo caso l'ovvietà, ma ritengo che la relazione presentata e la ricerca che è alla base dei lavori di questo congresso, che ho letto, siano un grande passo innanzi. Questa ricerca e questo congresso innovano profondamente nella posizione dei cattolici democratici ponendo una grande questione: l'esaurimento della politica dei cattolici democratici come politica del consolidamento di una democrazia che nel nostro paese nasce debole e quindi il problema di come potersi e sapersi dividere in una democrazia diventata forte. Ieri, venendo qui, mi sono domandato come mai questa posizione, di grande provocazione culturale e politica, abbia così poca e scarsa udienza negli strumenti di informazione italiani. Altri movimenti cattolici più spettacolari ottengono grande spazio, rilievo, attenzione, e invece questa riflessione è stata confinata anche nel giornale locale nella seconda pagina. Bisogna andare alle cronache de “Il Manifesto" per vedere qualcosa di interessante su questo congresso. Perché? Perché la cultura della consociazione, e soprattutto la sua pratica, hanno pervaso tutta la cultura italiana. Partecipo da quindici anni a tavole rotonde sull'alternativa, problema da noi sollevato; molte volte mi sono scontrato con D’Alema che era fortemente consociativo. Adesso saluto con piacere questa folgorazione di grazia che il PC1 ha avuto, anche se poi gli atti pratici mi dicono che è difficile trasformarla in azione, quando vedo che uno strumento di accompagnamento alla democrazia compiuta, alla chiarezza. alla trasparenza, alla rottura di una cultura dell'emendamento, come era il voto palese, ha visto contrario il Partito Comunista; e quando vedo anche una difficoltà a cogliere lo strumento di una modifica della legge elettorale. Questa difficoltà è dovuta a una serie di preoccupazioni: quella per il presidenzialismo, quella per il fatto che nel momento in cui avverrà la semplificazione del voto e dell'accorpamento, sul Partito Comunista peserà una difficoltà storica, la difficoltà di non essere considerato da una maggioranza del paese come il partito guida di uno schierament o. Mi rendo conto di questo problema e lo capisco. Ho avuto modo di dirlo in una recente polemica politica del dopo c ongresso del PCI, io non condivido degli atteggiamenti anche aspri sul congresso del PCI: cerco invece di essere realista. Vi è un ritardo che ha un peso. Quando un partito, che per quarant'anni è stato un partito egemone nella sinistra, difende il suo diritto ad essere autonomo, vuol dire che ha perso l'egemonia: questo è un dato davanti agli occhi di tutti, e non si risolve questa difficoltà accusando il PSI di sfruttare un cosiddetto potere di coalizione. Innanzi tutto perché se in Italia dieci o quindici anni fa fosse stata aperta la strada dell'alternativa e della democrazia compiuta, non ci sarebbe stata forza del 9,6% che potesse impedirlo. C’era uno schieramento del 70-80% che poteva benissimo portarci alla democrazia compiuta. Certo, ogni partito, piccolo o grande che sia, sfrutta la condizione di difficoltà degli altri, ma stiamo attenti che il potere di coalizione anche con i sistemi maggioritari ci sarà sempre, perché anche in tali sistemi -è classico l'esempio francese- il potere di costituire una maggioranza elettorale c’è sempre. Non è quello il problema, il problema è che abbiamo di fronte la situazione di una democrazia che è stata consociativa per un bisogno obiettivo. Del resto è nell'analisi che gli amici della FUCI hanno fatto: la democrazia italiana era debole. Perché nasce debole? Perchéle grandi forze del moderatismo italiano e della sinistra erano intrise di suggestioni (l'una reazionaria, l'altra massimalista) e incapaci di governare le trasformazioni di una società moderna. Ecco il patto costituzionale, che erroneamente è chiamato una conventio ad excludendum, perché fu invece una conventio ad includendum di tutte le forze per creare una condizione di trasformazione della democrazia italiana da debole in democrazia forte, capace di reggere allo scontro, al conflitto, alla competizione, alla trasformazione, alla selezione degli interessi, alla discriminarne dei valori. Questo è avvenuto. Dov'è allora il punto di debolezza? E' nel fatto che si è protratto troppo a lungo questo consociativismo, anche quando la democrazia italiana si era consolidata. Ma io ritengo che il punto difficile della nostra riflessione sia un altro. Io sono favorevole a leggi elettorali che introducano un elemento forte di modifica ad una situazione di polverizzazione delle forze: ho assunto anche pubblicamente posizione aderendo al movimento per il mutamento della legge elettorale. Ritengo però che la questione delicata sia il governo della transizione. Il governo della transizione oggi è difficile che sia retto e gestitoda forze diverse, che hanno prospettive diverse. è questa la debolezza del pentapartito: io condivido l'analisi sulla debolezza e insufficienza del pentapartito, perché il pentapartito è una "unità nazionale" ridotta, e ha dentro di sé lo stesso difetto dell’"unità nazionale", il difetto di tenere insieme posizioni diverse, che confliggono oggettivamente, che non sono in condizioni di compiere coesi atti di selezione degli interessi. Questa debolezza la vediamo soprattutto nel momento in cui noi ci troviamo a dover recepire decisioni a valore nazionale ma assunte in sede sovranazionale: i paesi che hanno forti governi coesi e maggioranze politiche stabili nell'indirizzo sono in condizioni di influire in sede sovranazionale molto di più di quanto lo possa fare il nostro governo; il nostro paese in sede sovranazionale non influisce con una sua legislazione, ma nella maggioranza dei casi recepisce le direttive sovranazionali ed ha legislazione servente. Io sono d'accordo quando D'Alema dice che il grande problema resta il problema del rapporto col mondo cattolico; e questa vostra ricerca mi dice molto nell'analisi, ma poco sugli esiti che riuscirà a produrre. Leggo un passo delle tesi congressuali che dà la vastità della questione: “All'interno della comunità ecclesiale cultura democratica del conflitto significa concretamente l'estensione di prassi di confronto e dialettica tra credenti. In una democrazia dell'alternanza né la Chiesa né l'associazionismo cattolico possono più ritenersi o schierarsi come parte.” E' un problema grande quanto il mondo. Rino Formica* *Ministro delle Finanze
Commenti (0)