unioni civili- una risposta a Sandro Magister e al cardinal Ruini

di Stefano Ceccanti Sandro Magister ha rilanciato con forza l'intervista del Foglio al cardinale Ruini, critica verso la sentenza della Corte suprema americana, e vi ha aggiunto dosi ulteriori di critica a quei settori ecclesiali ed ecclesiastici che sono possibilisti sulle cosiddette unioni civili distinte dai matrimoni omosessuali, distinte perche' quanto meno evitano la rottura simbolica dell'apertura del matrimonio alle coppie dello stesso sesso. Provo a spiegare perche' i due interventi, al di la' degli intenti soggettivi e dell'autorevolezza degli interventori, non convincono perche' si basano su una ricostruzione inesatta e su un'alternativa che non sembra avere oggetto in termini giuridici. In primo luogo mi sembra che ci sia un'incomprensione di cosa abbia davvero deciso la Corte Suprema, che non ha affatto introdotto il matrimonio omosessuale. Essa ha ribadito che non spetta al livello federale, al government, stabilire cos'e' il matrimonio. E' una competenza che attiene ai 50 Stati membri. Quando le leggi federali entrano in contatto con quelle statali non ci puo' essere discriminazione. Se quindi a livello federale le leggi stabiliscono dei particolari riconoscimenti alle famiglie, essi si applicano Stato per Stato a cio' che ciascuna di quelle 50 realta' definisce per famiglia. Non c'e' quindi nessuna supplenza anomala del giudiziario sui legislativi, ne' statali ne' federali. In ultima analisi decidono i rappresentanti del popolo eletti a livello statale. Chi non condivide il matrimonio omosessuale deve quindi criticare i legislatori statali, non la Corte suprema. In secondo luogo emerge il problema di cosa propone in alternativa chi non condivide il matrimonio omosessuale per tutelare diritti di persone che fanno comunque parte di formazioni sociali stabili, le quali si possono distinguere dal matrimonio, ma che possono comunque contribuire alla coesione sociale ed esprimere valori di solidarieta'. Anche la nostra Corte costituzionale, in ultimo con la sentenza 138 del 2010, ha stabilito che questo riconoscimento e' doveroso, quanto meno sulla base dell'art. 2 della Costituzione, anche se le modalita' con cui realizzarlo spettano al legislatore. La formula dei 'diritti individuali' che usa il card. Ruini, oltre ad essere criticabile perche' tende ad esprimere una visione individualistica, non ha un contenuto giuridico giacche' se dei diritti vanno riconosciuti essi non andrebbero comunque genericamente a individui intesi in senso atomistico, ma a persone che fanno parte di quelle precise formazioni sociali. Non esiste un modo di dare diritti e attribuire doveri alle persone saltando il fatto che le persone fanno parte di quelle specifiche formazioni. Insomma non esiste giuridicamente una terza possibilita' tra il negare qualsiasi riconoscimento di diritti ritenendo che si tratti di realta' di fatto lecite ma non meritevoli di alcuna tutela (posizione che comunque la Corte ritiene incostituzionale) e il passare attraverso una qualche forma di riconoscimento delle unioni che consenta poi l'attribuzione di diritti e doveri alle persone che ne fanno parte. Tanto piu' che il Compendio della dottrina sociale ai paragrafi 227 e 228 non parla affatto di diritti individuali, parla invece di unioni e sostiene precisamente che esse non debbano essere equiparate o poste su un piano analogo al matrimonio. Di conseguenza vi e' spazio per un riconoscimento in forme diverse dal matrimonio, ma delle unioni, non di imprecisabili diritti individuali. Anche perche' non si tratta solo di diritti disponibili alle parti con forme contrattuali, ma anche e soprattutto di diritti che nascono da norme imperative e da prestazioni dei pubblici poteri. Forse, se dissipiamo alcune incomprensioni, sara' piu' facile trovare soluzioni ragionevoli, condivise e ormai inderogabili.  

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