Un'analisi costi benefici

Torna il dibattito sul nucleare. L’accelerazione viene dal dramma di Fukushima ma gli ingredienti, non solo in Italia, sono i soliti. Si oscilla tra risposte populiste, con le quali si inseguono paure accanto a risultati elettorali di breve periodo, e arroccamenti tecnocratici, con i quali si vuole riservare alla tecnologia una capacità di scelta tra costi e benefici che è ben oltre le sue possibilità. Dentro al dibattito continua ad essere agitato il principio di precauzione. Nella sua forma debole però si tratta di un principio inutile. E’ facile convenire sul fatto che anche in presenza di poche certezze sui danni potenzialmente producibili da un’azione si debba comunque intervenire per impedirli. Nella sua forma forte diventa un principio inapplicabile. La scelta di non correre nessun rischio non può che portare alla paralisi. Produrre energia comporta dei rischi, ancora oggi, indipendentemente dalla rinuncia al nucleare. Il punto non è neppure il conflitto tra paura, emozione e calcolabilità degli effetti delle nostre scelte. Certo, in un contesto di shock emotivo è probabile che, tra gli argomenti in campo, il peso degli eventi catastrofici cresca rispetto a quello della loro calcolabile probabilità. La questione è invece un’altra: in situazioni di rischio dobbiamo scegliere di evitare a tutti i costi lo scenario peggiore o dobbiamo calcolare le probabilità del suo verificarsi? E quindi prendere una decisione valutando i costi della riduzione del rischio? Abbiamo dunque bisogno di un calcolo di costi e benefici. Con alcuni corollari. L’azione contro il rischio, o la decisione di non fare qualcosa, non deve a sua volta produrre rischi rilevanti. L’azione contro il rischio deve essere realizzata imponendo i più bassi costi possibili. L’azione contro il rischio non deve imporre costi squilibrati per tutti coloro che non sono pronti a sostenerli. Non è facile applicare i corollari al caso dell’energia nucleare ma ad alcune domande occorre rispondere. Come soddisfare la domanda crescente di energia con le tecnologie esistenti senza comunque aumentare i rischi ambientali? Come soddisfare la domanda crescente di energia senza alimentare o conservare pericolosi monopoli nell’offerta di alcune fonte primarie? Come soddisfare la domanda di energia per sostenere la crescita globale, soprattutto nelle aree di recente forte sviluppo, senza imporre squilibri distributivi? Di questo si dovrebbe parlare. La crescita economica non si oppone alla salvaguardia del creato. Le ideologie della decrescita non sono una riposta. Conforta il fatto che la gran parte di questi interrogativi non vengano da sostenitori dell’opzione nucleare ma dalle riflessioni di Cass Sunstein, uno degli ispiratori delle politiche di Obama. Vorrà dire qualcosa?

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