Un'altra vittoria dei conservatori. Quella finale?

1.            Nei primi giorni di ottobre Silvio Berlusconi ha subìto una grave sconfitta politica. Una sconfitta che contiene la realistica minaccia di una sua espulsione dal campo della politica. Questa situazione ha costituito una delle condizioni per cui una parte del Pdl si è sottratta alla leadership di Berlusconi e ha reso non indispensabile la partecipazione sua e dei suoi alla maggioranza che sostiene il governo in carica, il "Napolitano 2" guidato da Enrico Letta. La sconfitta è stata ampiamente preparata e resa possibile dallo stesso Berlusconi che, per lo meno dal 2010, ha cessato di essere un fenomeno primariamente politico. Egli, infatti, non è stato più in grado di trasformare una larghissima maggioranza elettorale e parlamentare in una maggioranza politica. Ha dovuto cedere ad un conflitto di interessi ancor più radicale dei precedenti. Non erano più i suoi interessi extrapolitici a fondersi con interessi politici, ma semplicemente li avevano sostituiti. 2.            Non ha senso discutere se abbiamo assistito ad una svolta epocale nella vicenda politica italiana perché questo potrà essere capito solo a distanza di tempo. Certamente, però, si è consumato un passaggio di primario rilievo. Ciò basta a rendere praticabile il tentativo di comprenderne il significato. 3.            Dalla metà degli anni ‘70 del Novecento era divenuta chiaro non solo agli occhi degli analisti, ma anche a quelli dei protagonisti della politica nazionale che erano ormai venute a maturazione tutte le possibilità e le ragioni di una riforma di un sistema politico. La “repubblica dei partiti” non era più adeguata al dinamismo sociale della cui straordinaria crescita negli anni ‘60 e soprattutto negli anni ‘50 era stata una delle condizioni e spesso anche una delle cause. Il successo aveva la aveva resa inadeguata. E’ da quel momento che la coppia destra / sinistra è divenuta meno importante della coppia conservatori / riformisti. E’ da allora che il centro del dibattito e dell'azione politica ha cominciato ad essere stabilmente occupato dalle questioni della legge elettorale, della forma di governo e della forma dello stato. E’ da allora che i riformisti hanno cominciato a convergere più o meno precisamente intorno ad ipotesi di modifica in senso maggioritario della legge elettorale, in senso presidenziale o semipresidenziale della forma di governo, in senso federalista della forma dello stato. è da allora che altre istanze (il rafforzamento e l’allargamento delle aree di mercato, la riforma della pubblica amministrazione, la lotta al debito pubblico ed alla pressione fiscale, il tentativo di dividere funzioni e carriere nella magistratura, ecc.) hanno cominciato a collegarsi stabilmente con le battaglie per la riforma delle istituzioni politiche. 4.            Con l'assassinio di Aldo Moro e ancor di più con il rinnegamento della sua linea politica fu chiaro che la Dc non voleva né poteva guidare questo processo di riforma. Del resto, fare le riforme implicava dare un altro centro del sistema politico, sostituirvi la Dc con gli elettori. La sconfitta e la conseguente rinuncia da parte di Craxi e di De Mita dei loro iniziali disegni riformisti rese evidente che ormai nessun attore interno alla “repubblica dei partiti” era in condizioni di dar corso a una grande riforma. Quelli della Lega Nord, di Mario Segni, di Occhetto, di Berlusconi, del primo Prodi, della idea del Pd (di cui dall’estate 2007 Walter Veltroni stesso ha cominciato ad essere il killer), sono i nomi via via presi dalla declinazione democratica di una istanza che, per essere riformista, doveva essere antisistema rispetto alla “repubblica dei partiti”. Primo o poi tutti questi sono stati sconfitti. La sconfitta di Berlusconi è solo più significativa perché di quelli è stato l'attore che più a lungo ha tenuto la scena. Per lui, come per gli altri, si è verificato che la spinta riformista scemasse prima del sopraggiungere della sconfitta definitiva. 5.            I conservatori, coloro che hanno strenuamente difeso le logiche e le istituzioni della “repubblica dei partiti” più volte sono andati molto vicini alla sconfitta definitiva. Se questo dato non si può negare, proprio oggi che il partito conservatore risulta vicino alla vittoria definitiva come raramente in passato, questo stesso dato significa anche che coloro che hanno perso, i riformisti, non si sono battuti per un obiettivo irrealistico. Il che a sua volta aumenta l'evidenza delle responsabilità degli sconfitti per la propria sconfitta. 6.            I conservatori hanno correttamente individuato il luogo dal quale era possibile orchestrare e condurre nel modo più efficace la strategia di resistenza e di contrattacco. Questo luogo era il Quirinale. Non è un caso che tra le principali guide e tra i più importanti artefici del successo conservatore vadano annoverati Oscar Luigi Scalfaro e Giorgio Napolitano. Quest'ultimo ha il merito ulteriore di aver fatto evolvere in raffinatezza, spregiudicatezza ed efficacia l'azione conservatrice. A partire dal “governo dei tecnici” la strategia dei conservatori ha conosciuto un salto di qualità rispetto ad operazioni, al confronto davvero rudimentali, come il “ribaltone” del 1994/1995. 7.            La vittoria dei conservatori va considerata del tutto legittima. Quanto meno, non sarebbe da riformisti considerare assoluto il valore delle forme. Non si dimentichi che il giustizialismo si è pian piano rivelata una corrente più o meno consapevolmente al servizio dei conservatori! Si può e si deve discutere la coerenza al dettato costituzionale di alcune delle decisioni adottate al Quirinale da Scalfaro o da Napolitano, ma è indubbio che esse alla fine hanno riscosso un consenso sufficiente a contrastare quello dei riformisti. E tanto deve bastare, non certo sul piano morale e giuridico, ma su quello politico. Che poi le istituzioni politiche italiane lascino molto a desiderare rispetto agli standard morali, civili e giuridici propri di altri sistemi politici non è che un altro modo di dire alcune delle più importanti ragioni dell'opzione riformista. Tuttavia se l'opzione riformista non ha saputo divenire politicamente efficace, significa che non è stata in grado di trasformare delle nobili ragioni non politiche in ragioni politiche. La sconfitta che ne è seguita può meritare compianto, ma non sorpresa né scandalo. Solo gli antifascisti che seppero comprendere le ragioni politiche del successo politico di Mussolini, e dunque le loro colpe politiche e i loro errori politici, seppero poi divenire maestri utili alla ripresa della democrazia. Luigi Sturzo ed Alcide de Gasperi prima di tutti. Se i riformisti si sono affidati a leader sbagliati o non all'altezza, la colpa è loro. E’ loro se non hanno saputo esprimere niente di meglio. Se i riformisti hanno fatto scelte politiche sbagliate, la colpa non è dei loro avversari. 8.            A chi giova la vittoria dei conservatori oltre che, ovviamente, a loro stessi e al sempre più ristretto blocco di interessi che rappresentano? E’ ragionevole dire che gioverà al paese, a patto di chiarire a quale paese gioverà. Gioverà ad un paese che accetti di ritornare sotto il primato della politica in forma di Stato. Gioverà ad un paese in cui cittadini in quanto contribuenti dovranno tornare ad accettare la pressione fiscale più alta possibile, in quanto elettori dovranno abbandonare ogni pretesa di scegliere il governo (legge elettorale proporzionale e preferenze sono pronte ad un ritorno trionfale). Più in generale gioverà a cittadini che dovranno tornare a sopportare: l’oppressione di una burocrazia statale inefficiente, privilegiata e invadente, il peso del debito pubblico, la pervasività di una legge che schiaccia i diritti, la riduzione degli spazi di mercato e di qualsiasi genere di libertà d'intrapresa, di educazione e di comunicazione. Naturalmente tutto questo oggi non può più essere realizzato nelle forme e con i risultati che abbiamo conosciuto negli anni ‘50 e ’60. Quelli erano anni di crescita e di crescita in molte forme. Oggi il ritorno allo stato può prendere solo una forma diversa, quella caratterizzata dall'appartenenza ad un'unione europea non superpower, e forse neppure superstate, ma imperniata sulla dominanza di un unico stato forte, quello tedesco. Oggi il ceto politico conservatore italiano può promettere non il ritorno di uno “Stato sovrano”, ma l’avvento di qualcosa di ancora peggiore: uno “Stato prefetto”. I conservatori italiani possono solo promettere la immiserita e mediocre tranquillità di uno “Stato vassallo”. La loro può essere solo, per quanto legittima, la vittoria di chi si candida ad assumere il ruolo del vassallo, o magari solo del valvassore e del valvassino. Fare prima, con il sorriso sulle labbra ed un certa ostentata fierezza, quello che i greci – innanzitutto per colpe loro – hanno fatto dopo e sotto minaccia. La storia non si ripete mai e dunque è improbabile che avremo una nuova Dc. Certamente, però, il Pd appare per qualche aspetto molto vicino ad assumere, a spese degli elettori, una posizione centrale analoga a quella che fu della Dc. Già si sono ascoltate da parte di esponenti di quel partito le condanne di opposti estremismi, Berlusconi e i suoi “falchi” da una parte e Grillo e i suoi dall'altra, ed i satelliti del Pd si sono immediatamente associati alla richiesta di una duplice conventio ad excludendum. 9.            Un elemento rende oggi poco probabile una rivincita dei riformisti. Le risorse economiche, culturali e demografiche della società italiana ormai non hanno più le dimensioni che avevano nella seconda metà degli anni ’80 (quando la spinta riformista si avviò a raggiungere il suo apice). In quel momento era nella sua prima maturità la generazione più numerosa del dopoguerra, la meglio nutrita e meglio istruita (quella del baby boom e dintorni). Contemporaneamente una generazione di imprese voleva uscire dal “sommerso” e dal piccolo raggio verso il mercato, convinta della propria vitalità; la comunità culturale e scientifica nazionale si era fortemente aperta alle ragioni e si criteri della modernità occidentale più avanzata. Oggi non c'è più nulla di comparabile, o perlomeno non ha le dimensioni che aveva allora. 10.          E Renzi? Può essere considerato una freccia nell'arco dei riformisti italiani? Sì e no. Sì: essenzialmente perché ha saputo sfruttare appieno e con successo la cultura della competizione politica. Resta un politico che ha fatto e vinto primarie e perseguito coerentemente la vocazione maggioritaria. No: per la vaghezza delle idee della “Leopolda”, per una recente marcia indietro in materia di rapporti tra politica ed economia, perché alcun sostegno efficace è venuto da lui e dai “saggi” a lui più vicini al consistente fronte che nella apposita Commisssione – tra gli altri Panebianco e Tabellini – proponeva il maggioritario a doppio turno e il semipresidenzialismo. E’ Renzi l'ultima chance dei riformisti? Non si può certo affermare con sicurezza e non si può escludere in via definitiva. Il solo scorrere del tempo, però, non fa che aumentare le già alte probabilità della risposta negativa. La sconfitta di Berlusconi danneggia Renzi perché è la vittoria del neocentrismo e perché è la sconfitta dell'unico attore che sul fronte del centrodestra ha difeso oggettivamente, pur se non sempre anche soggettivamente, le condizioni del bipolarismo. Se Alfano ha scelto la opzione centrista esecutivamente affidata a Letta, come potrà mai essere sponda per un eventuale disegno anticentrista?  

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