Una sconfitta senza vincitori

  Il primo giorno del dopo Berlusconi, il primo giorno dopo la fine di un’era durata troppi anni, riempie l’animo di sentimenti contraddittori: un misto di sollievo e allegria da una parte e dall’altro insoddisfazione e inquietudine. In molti avremmo voluto poter gioire di questa fine con l’entusiasmo spontaneo e liberatorio che coronò il lungo testa a testa della nottata di conta elettorale del 2006, quando alla fine il responso delle urne consegnò un’esigua ma indiscutibile vittoria al centrosinistra. Anche se solo per un pugno di voti abbiamo vinto! Sapevamo tutti che un successo di così stretta misura apriva una prospettiva  turbolenta per l’azione di Governo (che infatti finirà stritolato anzitempo dalle proprie contraddizioni interne e dalla pressione esterna di nuovi scenari politici), ma Berlusconi veniva messo all’opposizione dal risultato delle urne: gli italiani avevano scelto, la democrazia aveva espresso il proprio verdetto.   Completamente diverso (e meno incoraggiante dal punto di vista della democrazia) è il quadro di questa uscita di scena: la larga e comoda maggioranza scaturita dal voto del 2008 è andata progressivamente logorandosi, in questi tre anni, in uno stillicidio parlamentare di defezioni, zigzaganti riposizionamenti, indecenti compravendite di rappresentanti del popolo disposti a non/cambiare di fronte in cambio di consistenti favori politici (se non d’altro tipo). L’immobilismo di un esecutivo inetto, attivo in misura preponderante in merito agli affari personali del premier, si è coniugato all’impaludamento della rappresentanza politica di un parlamento di eletti a liste bloccate, selezionati sul filo della cooptazione di vertice piuttosto che attraverso meccanismi di cernita democratica da parte dei cittadini. Lo stiracchiamento sempre più sfiancato di reiterati voti di fiducia giocati su margini sempre più esigui di trattative ad personam ha finito per strappare la coperta della maggioranza sotto l’effetto di molteplici fattori: all’implosione interna si è sovrapposta la pressione internazionale  per promuovere una via d’uscita dalle conseguenze catastrofiche che per l’Italia (e per tutta l’Europa) andava accumulando il crollo di credibilità di questo teatrino della politica. La mancanza di fiducia dei mercati e dei governi esteri nei confronti di un premier e di una maggioranza politica democraticamente usciti dalle urne, ma evidentemente incapaci di funzionare democraticamente (perché univocamente orientati a una parassitaria gestione privatistica della cosa pubblica piuttosto che a una sua governance decidente) ha sferrato il colpo di grazia alla lenta autocombustione della coalizione di centrodestra: l’emorragia di parlamentari in fuga in ordine sparso dal Pdl si è acutizzata, il Governo è andato in minoranza, il Capo dello Stato ha avuto mano libera (e spalle coperte dall’establishment mondiale) per gestire la difficilissima operazione chirurgica di un trapianto di Governo :  a bocce elettorali ferme  ha dato al Paese un nuovo premier  (un esterno impiantato in Parlamento attraverso un abilissimo intervento di ingegneria istituzionale) e una nuova maggioranza  (una larga coalizione priva di espressione nell’esecutivo).   Alla fine della maggioranza berlusconiana sarebbe stato suicida far seguire  il corso democraticamente naturale del voto anticipato: le scadenze internazionali e il rischio dei mercati sono troppo scabrosi e impellenti perché  un Paese massacrato e sull’orlo del fallimento possa sostenere l’urto dei mesi di incertezza e di stasi politica di una campagna elettorale. Napolitano, nella sua qualità di garante supremo della Repubblica, aveva il dovere di fare tutto il possibile e l’impossibile per impedire il disastro. Ha agito con intelligenza ed efficacia e gliene va dato grato riconoscimento. La scelta del professor Monti è ideale sotto tutti i profili, garantendo un premier di provata competenza, integrità, indipendenza e di grande esperienza e prestigio internazionali: l’ambasciatore  perfetto del nuovo corso italiano presso i Governi esteri e i mercati.  Ma l’apprezzamento per la soluzione non può nascondere i costi altissimi che essa ha sul piano politico e solo riconoscendoli esplicitamente e criticamente è possibile affrontare i nodi che essa lascia aperti, gettando le basi per oltrepassare costruttivamente la fase necessariamente transitoria ed emergenziale incarnata da questo Governo privo di mandato elettorale, sostenuto da una larga coalizione ampiamente deprivata di potere politico.   Se Berlusconi ha fallito ed è stato sconfitto, il centrosinistra non ha vinto. La democrazia italiana è stata commissariata dal suo massimo rappresentante (il Capo dello Stato) in una concertazione virtuosa con il consesso internazionale, di cui il Paese è membro delegittimato e sotto tutela. Se siamo arrivati a questo punto, la responsabilità maggiore è certamente di Berlusconi e dei suoi alleati, a cominciare dalla Lega Nord, ma non è onesto nascondere che il centrosinistra non è riuscito in questi anni a  costruire una credibile, autorevole ed efficace alternativa democratica. Un po’ di autocritica, in questo momento drammatico, è l’unica premessa dignitosa per ricandidarsi alla guida del Paese quando l’emergenza sarà – speriamo il prima possibile – oltrepassata.  

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