Una scelta necessaria, di Luciano Iannaccone
Sono sotto gli occhi di tutti, purtroppo per l’Italia, i disastri politici e governativi di 5 Stelle e Lega. A partire dal governo, quasi certamente il peggiore della storia repubblicana: basti pensare a Toninelli, alla Grillo, a Di Maio. Opere pubbliche fondamentali bloccate o negate, dalla Tav al terzo valico, dalla Gronda di Genova alla Tap: quest’ultima ripescata non perchè necessaria, ma con la giustificazione ( un “contrordine compagni”per i descamisados locali prima irresponsabilmente aizzati) che costerebbe troppo la “penale contrattuale”. Il ridicolo “decreto dignità”, fiore all’occhiello di Giggino, dopo quatto anni di crescita degli occupati, ha da agosto invertito la tendenza, per gli assunti sia a tempo determinato che indeterminato (e il Pil nel terzo trimestre non è cresciuto, dopo quattro anni di crescita ininterrotta). La larvata linea no-vax all’origine delle contorsioni della ministra della salute Grillo (omen nomen) sugli obblighi vaccinali nelle scuole. Per non parlare del capolavoro assoluto: una legge di stabilità, che vorrebbe rilanciare la crescita, ma riduce gli investimenti previsti dal precedente governo e prevede un fantasioso incremento del pil all’1,5%, al solo fine di “far uscire” un deficit al 2,4%. Che in realtà, con questa manovra non modificata, supererà abbondantemente il 3%, provocando così ( assieme al forte aumento del deficit strutturale) la crescita percentuale del debito, che era invece sia pur lievemente diminuito negli ultimi anni. Una manovra che, con la guerra alla “Fornero”, spalanca una scriteriata voragine nel sistema pensionistico, da pagare con i soldi dei giovani, e col reddito di cittadinanza fa dell’assistenzialismo selettivo anziché creare lavoro. E apre a turbolenze sui mercati finanziari dall’esito imprevedibile e comunque drammatico per il nostro Paese. Il tutto con l’uso sistematico della menzogna per ingannare ed illudere la gente e con una calcolata violenza verbale contro “l’Europa di Bruxelles” ( e ora anche quella di Francoforte), che sarà spazzata via, così dicono, dal voto del 26 maggio 2019. Ma non dicono che i loro amici populisti di quasi tutta Europa, che comunque avanzeranno ma non prevarranno a maggio, sono i primi ad accusare l’Italia di volere far debito con i loro soldi ed a negare ogni appoggio finanziario al governo Conte. Mai l’Italia era stata così isolata, malgrado le pacche sulla spalla di Putin e (telefoniche) di Trump, a costo zero e pronte a rovesciarsi in rimbrotti. E’ un momento critico e decisivo per il nostro futuro. Ma perché l’allarme e la proposta alternativa delle forze liberali, riformatrici ed europeiste (per una nuova Europa), presenti fuori e dentro il parlamento, stentano ad arrivare ai cittadini e soprattutto agli elettori dei partiti di governo ? “Come si fa a rendere attraente ed affascinante un programma di ricostruzione nazionale, realistico sì, ma necessariamente lento e faticoso com’è quello di cui il paese ha bisogno?”(Michele Salvati). C’entrerà la forte disinformazione sui temi decisivi, perché le deformazioni della rete (una selva oscura malgrado mille luci) sono ormai un ostacolo al rapporto con la realtà. Entreranno pure le promesse elettorali da una parte e le difficoltà di iniziativa di significative aree di opinione che non trovano sbocchi e la incerta fisionomia di Forza Italia e del Pd dall’altra. Ma è un fatto che neppure le gravi difficoltà del presente, dallo spread alle tensioni finanziarie, sembrerebbe mettere in crisi le intenzioni di voto correnti. Forse, se la situazione peggiorasse ancora ed un legittimo panico montasse, le cose potrebbero mettersi in movimento, ma in che precisa direzione non è facile dire. Sintetizzo: perché la proposta liberale di un’Italia seria, indipendente ed ambiziosa nel “noi” di un’Europa protagonista mondiale con USA e Cina stenta a farsi strada ? Ha scritto recentemente sul voto Michele Salvati a proposito dei vincitori e del Pd: “Hanno offerto soluzioni radicali ed illusorie, ma hanno vinto: è stata invece l’incapacità del partito a mostrare una vera empatia con i ceti popolari ed i loro problemi a schiacciare il partito sulla “casta”, insieme ai “loro” invece che dalla parte dei “noi”. C’è del vero in questa osservazione, ma c’è anche un problema. Fino a dove si può spingere l’empatia? Fino a far proprie posizioni di chiusura xenofoba da tempo latenti nei ceti popolari o altri pregiudizi ed atteggiamenti diffusi ma politicamente inaccettabili? Fino a promettere misure estreme ed illusorie?”. Credo che occorra chiarire un punto fondamentale, senza il quale l’analisi non coglie la realtà: la decisiva importanza politica ed elettorale che ha rivestito il tema sbarchi e migranti, a torto sottovalutato. Un fondamentale punto di svolta nell’elettorato, ed in particolare in quello allora Pd, c’è stato a partire da metà 2014 in riferimento agli sbarchi, che in quell’anno quadruplicarono rispetto al 2013, da 43.000 a 170.000 “arrivi”. Dopo la tragedia di Lampedusa, con centinaia di vite inghiottite dal mare, il governo Letta-Alfano aveva varato il 18/10/2013 la missione “Mare Nostrum”, con il coordinamento di navi e natanti per intercettare le imbarcazioni in mare. Ma nel corso del 2014 doveva apparire chiaro al governo Renzi-Alfano, succeduto a Letta, che la missione umanitaria veniva totalmente strumentalizzata e stravolta dai trafficanti, perché incentivava in modo esponenziale le partenze, nella grande maggioranza di migranti economici e non di rifugiati con diritto d’asilo. Ma poco o nulla si fece e la gestione del’accoglienza fu intrisa di burocrazia ministeriale e di buoni affari da parte di molte strutture ospitanti. Come ha spiegato in un recente articolo il professor D’Alimonte, secondo il sondaggio Cise-Stanford University della primavera 2015, “quasi l’80% dei sostenitori Pd era a favore della diminuzione del numero di immigrati, ma soltanto…circa il 50% degli stessi sostenitori del Pd .. pensava che il partito volesse ridurre il numero di immigrati. Ecco uno dei motivi più rilevanti per i quali le ultime elezioni hanno segnato una grave sconfitta del Pd”. Già allora infatti si evidenziava la distanza tra il Pd ed i suoi sostenitori. Ci vollero la determinazione e la strategia di Minniti per determinare una svolta, con il 2017 che nel secondo semestre vide gli arrivi scendere a poco più di 35.000 contro gli oltre 110.000 del secondo semestre 2016, fino a 14.486 arrivi nei primi cinque mesi del 2018. Ma intanto erano sbarcate in Italia quasi 700.000 persone, la gran parte dei quali senza diritto all’asilo. Renzi non condivideva per nulla la posizione di quanti a sinistra e nel Pd ritenevano che tutti, con o senza diritto all’asilo, avessero diritto ad entrare in Italia, ma non riuscì a promuovere ed attivare la strategia che Minniti realizzerà trenta mesi dopo. Non l’ha mai riconosciuto, come avrebbe invece dovuto fare. Intanto, nell’Italia che stava faticosamente risalendo dalla più grave crisi economica del dopoguerra, con un numero spaventoso di suicidi economici, a periferie e paesi angustiati dalla insicurezza i costi della gestione ministeriale dei migranti sono apparsi in stridente contrasto con il poco destinato agli italiani nel bisogno. Il Rei, “Reddito universale di inclusione”, è arrivato troppo tardi. Una protesta crescente ed invelenita è montata progressivamente nel Paese, ha oscurato i progressi economici ed occupazionali, si è espressa nel voto, anzi nei voti succedutisi dal 2016. Non si deve generalizzare un razzismo solo marginalmente presente, si è trattato invece del rifiuto dello stato di cose presente, in cui l’”acceptio personarum” a danno degli italiani, il posporli (in modo ingiusto ed inefficiente) apparivano inaccettabili. Solo con questa prospettiva storica si può cercare di rispondere alle domande di Michele Salvati: la reciproca empatia fra gli elettori ed i portatori di una proposta politica riformatrice e risanatrice potrà rinascere soltanto dal riconoscimento, da parte dei secondi, delle “verità nascoste” ad occhi ed orecchie chiuse. Non il generico, reticente ed allusivo “abbiamo capito dove abbiamo sbagliato” di Zingaretti, Sala ed altri con loro, che, guarda caso, poi non parlano delle politiche migratorie se non per dare addosso a Salvini. E, anziché dall’ombra di Banco, sono ossessionati da quella di Renzi, da combattere con l’ostracismo al reo e la desiderata convergenza governativa con i 5 Stelle. E’ indispensabile invece un discorso di verità, che parta dalla sincera ammissione di errori ed omissioni, a partire dalla politica migratoria. senza misconoscere tutto il buono realizzato. E proponga una strada impegnativa per uscire dalla crisi finanziaria, economica ed internazionale in cui il governo gialloverde sta facendo precipitare l’Italia. Nessuna promessa facile ed illusoria, ma un cammino in cui la solidarietà verso ogni cittadino italiano sarà la stella polare. Quanti sapranno intraprendere questo cammino indicando la strada del liberalismo sociale, dentro e fuori dal Pd, avranno fatto la scelta necessaria.
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