Un testo di Luciano Iannaccone

DA RENZI A TOCQUEVILLE   Intervenendo alla celebrazione romana dei dieci anni del PD Renzi, per evocarne sommariamente i valori fondativi, ha ricordato un pomeriggio fiorentino di venticinque anni fa. Quando, liceale diciassettenne, comprò in libreria un volume antologico di Bob Kennedy con presentazione di Walter Veltroni. E ha accostato a quel ricordo i nomi di Billy Clinton e di Barack Obama, in una veloce passerella di testimoni di quei valori. Con tutto il rispetto per la passione politica del liceale, l’evocazione è sembrata molto riduttiva. Eppure in una cosa era giusta, nel vedere negli Stati Uniti d’America uno snodo fondamentale nella storia dell’ideale democratico. Era quanto aveva sostenuto, ormai quasi due secoli fa, Alexis de Tocqueville nella “Démocratie en Amerique”. Ma tutta la società statunitense, non alcuni leader democratici soltanto: la democrazia come eguaglianza della condizioni di partenza fin dalle origini di quella nazione, come libertà originaria di ognuno che esprime il suo valore assoluto e su questo si fonda. Di fronte agli sforzi ed alle convulsioni europee per liberarsi dell’ “Ancien Régime”, in una lotta mai conclusa che Croce ha cantato nella “Storia d’Europa nel secolo XIX”, gli Stati Uniti hanno avuto enormi problemi (si pensi alla schiavitù), ma non quelli legati ai privilegi dell’antica società, che vive sulla diseguaglianza delle condizioni giuridiche, stretta intorno all’assolutismo ed all’alleanza tra il trono e l’altare. Mentre in Europa infuriava la lotta fra assolutismo, liberalismo e la rivoluzione, in America settentrionale si sperimentava la democrazia “statu nascenti”, si percorreva una strada inedita, aperta però a nuovi pericoli. Conviene seguire anche qui Tocqueville: il culto della libertà individuale induce all’atomismo  dei piccoli nuclei e smarrisce il legame, così forte nell’antica società, sia con i contemporanei che fra generazioni. E’ certo un’analisi legata al suo tempo, ma ancora ricca di suggestioni per il nostro presente. Ci dice che nel superamento della dialettica fra l’antica società e la modernità con l’imporsi della seconda (il caso americano, come appariva nel XIX secolo)  prendono campo non solo il valore della libertà e dell’eguaglianza, sia giuridica che delle condizioni di partenza, ma anche nuovi problemi, che proprio questo superamento  genera.     Anche oggi la democrazia sostanziale non è solo un valore da conquistare e difendere: è anche un campo aperto in cui operano dinamiche negative, sia quelle da sempre sue nemiche che quelle nate da lei stessa. Questo avviene in Italia ed in Europa( ed anche negli Stati Uniti d’oggi) ed è primo compito di un partito democratico individuare e combattere questa tendenze. La più importante e decisiva, tra quelle nemiche della libertà e dell’eguaglianza sta nel fatto che l’antica società, con i suoi privilegi arbitrari, non è per nulla morta, ma è come un fiume carsico, che dispare per riapparire ancora più forte quando le condizioni lo consentono. Non è più fondata sul privilegio del sangue e dell’altare, ma su mille reticoli che, a partire dalla cosa pubblica, si riverberano sull’intera società: politica, giustizia, burocrazia, università, scuola, economia, finanza, sindacati, informazione, ricerca, palazzi del potere nazionale ed europeo. Il privilegio non è formale, ma si appalesa mentre si attua tramite la dinamica predatoria di mille consorterie, ognuna pronta a non farsi scappare alcuna occasione. Si esercita tramite colleganze professionali, istituzionali, politiche e partitiche, familiari e calpesta eguaglianza e libertà. Ingloba tanti, ma ne esclude molti di più. Quanto ci costa il “privilegio sostanziale”, l’“ancien régime” redivivo in termini di civiltà e di mancata crescita sia umana che di pil? Sicuramente tanto, troppo. Come si combatte ? E’ un problema solo secondariamente di leggi: “Le leggi  son, ma chi pon mano ad esse ?”. Ma quando una, quella di revisione costituzionale del 2016, poteva far qualcosa, i mille reticoli  si sono mobilitati per il 4 dicembre, contribuendo all’esito che sappiamo.   La seconda decisiva negatività nasce invece dalla moderna democrazia e riguarda la massiccia presenza in Italia ed in Europa di quella malattia della memoria e delle relazioni che Tocqueville vedeva come conseguenza dell’atomismo americano. Le relazioni significative tendono ad attenuarsi davanti alla potenza dell’Io, portatore di diritti in perenne espansione, e quelle diacroniche, con il passato e con il futuro, con gli ascendenti ed i discendenti, si risolvono spesso soltanto in una spasmodica proiezione sui figli. Ciò significa anche che l’orizzonte si esaurisce nel presente, e ciò non solo nel vivere quotidiano, ma anche nella proposta e nella cultura politica. Anche solo risalire a Craxi o Moro o Berlinguer sembra un inutile tuffo nella preistoria e nell’enfasi di un presente gridato, ma non capito, sembra compendiarsi la storia universale. Come meravigliarsi se questa società non costruisce, se questa politica non  incide,  se questa cultura sembra intendere tutto, ma non capisce nulla ?  Senza una profonda dimensione relazionale e solidale, sincronica e diacronica, con gli altri di oggi, di ieri e di domani, non esiste l’umano consorzio.   Rivolgersi ai valori dell’uguaglianza, della libertà, cioè della democrazia, è una scelta che implica una lotta contro ciò che sta contro, sia che provenga dall’antica società che dalla modernità. E’ il compito di un partito che si dice e si vuole democratico, in unità con tutte le forze di pensiero e di azione che in Italia, in Europa e nel mondo decidono di combattere. E tra esse non possono mancare quanti vengono felicemente definiti come “cattolici liberali di sinistra”. Il loro patrimonio ideale nasce dall’incontro dialettico tra i valori democratici e l’annuncio cristiano. Un annuncio che è un avvenimento puntuale della storia ed insieme un eco di voci all’interno delle confessioni cristiane, in una pluralità di vicende, di elaborazioni e di luoghi (Stati Uniti naturalmente compresi) che nascono dalla ricchezza della vita e da quell’unico stupore.     Luciano Iannaccone            

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