Sul caso del sindaco di Riace: legalità e fraternità

[media-credit id=67 align="alignnone" width="300"][/media-credit] La vicenda processuale del sindaco di Riace evoca vari problemi, a cominciare dall'(ab)uso di forme limitative della libertà in via preventiva (in questo caso arresti domiciliari e divieto di dimora), che in moltissimi casi si dimostrano spesso immotivati. Una ragione per non scambiare il giusto argomento del rispetto della magistratura, il fatto che nessuno possa sentirsi superiore alla legge, con la rinuncia a segnalare eventuali anomalie. Più in generale, nel merito, quel merito che discutiamo con passione da stamani coi colleghi deputati del Pd, la vicenda richiama sulla delicata materia dell'immigrazione il problema di come porsi di fronte a eventuali leggi ingiuste, nonostante la loro regolarità formale di approvazione in Parlamento ed ventualmente nonostante anche il grado di consenso popolare. Sulla questione si è pronunciato il 6 luglio il Consiglio costituzionale francese, sostenendo che si ha incostituzionalità ogni volta che il legislatore rinuncia a un equilibrio ragionevole tra il principio di fraternità (il terzo, e un pò trascurato, principio della Rivoluzione del 1789) e la tutela dell'ordine pubblico. Il punto è che, ovviamente, alle Corti bisogna arrivarci. Da questo punto di vista va ricordato che dal punto di vista dell'efficacia se la disobbedienza civile vuol incidere davvero, deve abbinarsi il più possibile all'autodenuncia perché slo così, al di là del caso singolo, si può arrivare alla pronuncia delle Corti, fino a quella costituzionale. Qui trovate il link all'interessantissima sentenza: https://www.conseil-constitutionnel.fr/decision/2018/2018717_718QPC.htm

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