Scommettere sul futuro e scegliere l'Europa di Luciano Iannaccone
C’è una scommessa più redditizia e fruttuosa di quella sui bitcoin: è quella su un nuovo inizio dell’Europa. Fondato su una sovranità europea ceduta dagli Stati “che ci stanno”, potrà costruire una difesa, una sicurezza e una economia comune, utilizzando la serietà dei bilanci nazionali per una stagione di investimenti privati e pubblici che proiettino in un futuro di nuove infrastrutture e tecnologie, lavoro e inclusione sociale. L’Europa come unità politica, sociale ed economica che ha il livello dimensionale per affrontare e vincere le dinamiche mondiali in atto: ecco il futuro necessario e ineludibile, a cui l’Italia può partecipare grazie allo sforzo di questi anni, al lavoro di Renzi e Gentiloni e dei loro governi, alla crescita del lavoro e dell’occupazione: un milione di occupati in più, il pil aumentato di più del 4%, altro che “zero virgola..”. Un nuovo inizio tra il 2018 ed il 2019, quando la spinta propulsiva di Macron incontrerà l’indispensabile sponda tedesca ed in cui l’Italia è chiamata ad essere protagonista, ma solo se vorrà e potrà. Per questo i nostri prossimi appuntamenti, dai programmi alla campagna elettorale, dal voto popolare al nuovo parlamento ed al suo cammino, sono quelli che decideranno del nostro futuro. Perché scegliere di partecipare al nuovo inizio dell’Europa ? Ha ragione Sergio Fabbrini: come il voto del 18 aprile 1948 fu una scelta fra la libertà e le democrazie occidentali da una parte e l’illusione socialcomunista (involontariamente palese nel volto di Garibaldi) così il voto del marzo 2018 sarà la scelta tra un futuro reale, che offre la speranza e richiede comportamenti conseguenti, e al contrario la fuga nei sogni e nei miraggi di troppe piattaforme elettorali a caccia di voti. Ma è poi così vero che tanti programmi politici e partitici che vediamo e sentiamo sono incompatibili con un nuovo inizio dell’Europa e quindi con il nostro futuro ? Per rispondere senza fare propaganda elettorale anticipata evitiamo condanne a priori. Veniamo quindi alle proposte finora in campo: quelle dei 5Stelle sono un cantiere aperto e continuamente implementato, in cui confluiscono alcuni progetti utili ed altrettanti più o meno demenziali e contraddittorie, gestiti dall’eloquio del buon Di Maio. Ma dato che è la somma che fa il totale, come mi pare dicesse Totò, vediamo l’effetto d’assieme. E’ quello di dire sull’Europa: sì, no, non so, in una totale assenza di veri contenuti. E’ quello di un deficit di bilancio, frutto delle molteplici proposte, difficilmente stimabile, ma all’incirca superiore al 5% del pil. Lo sanno anche loro, tanto che Di Maio parla sul “Corriere della Sera” di un “deficit produttivo”, cioè di un disavanzo utile alla crescita del Paese. E’ con questi ragionamenti che il debito pubblico è quadruplicato fra gli anni ’70 e gli ’80 del secolo scorso, condannandoci strutturalmente alla crisi della finanza pubblica ed alla stagnazione. Se vogliamo tentare di dare una risposta vera al disagio dei troppi esclusi e dimenticati, dobbiamo innanzitutto rifiutare le prese in giro dei “dilettanti allo sbaraglio”. Salvini e Berlusconi, mentre hanno voci diverse sull’Europa (Berlusconi teoricamente disponibile, come il suo ruolo nei popolari europei gli impone, Salvini che fa il viso dell’armi, pur avendo messo il silenziatore all’uscita dall’euro) sono assolutamente chiari e decisi nel chiedere sia un massiccio aumento della spesa pubblica che una diminuzione delle tasse. Salvini chiede la cancellazione della Fornero, Berlusconi pensioni minime a mille euro per tutti, comprese le casalinghe, la “flat tax” (cosa più seria di come viene qui usata) e molto altro ancora. I frutti della sua ultima trovata, “l’albero della libertà”, vanno dal bollo auto alle dentiere a promesse molto più costose. Ottime cose, ma saremmo sicuramente anche qui al risultato di un deficit di bilancio oltre il 5%, con spread e speculazione finanziaria che farebbero piombare noi tutti nell’incubo, difficilmente loro nella vergogna. Tutto ciò è incompatibile con la partecipazione ad un nuovo inizio dell’Europa non perché un rilevante rilancio europeo degli investimenti e della crescita non comporti finanziamenti con i relativi oneri, ma perché tale decisiva dinamica può essere sostenuta solo dall’intera nuova Europa e richiede bilanci pubblici nazionali in ordine per essere finanziabile. Come gli Stati Uniti, che hanno i bilanci dei singoli Stati in ordine (pena il default) ed il bilancio federale che fa debito quando necessario per sostenere ed espandere l’economia della Nazione. Anche il PD è chiamato al linguaggio della verità e della coerenza, senza illudere gli elettori. Certo, la posizione di Gentiloni e di Renzi sull’Europa è chiara ed indica un possibile futuro, che deve anche liberarsi dagli eccessi di inconcludenza, di burocrazia e di egoismo nazionale. Ma non ci devono essere equivoci, come avviene nell’esempio che ora cito: sul “Democratica”, quotidiano on line del PD, è apparso l’11 dicembre un articolo che ripresenta la nota proposta di Renzi, già avanzata nello scorso luglio nel suo libro “Avanti”. Contemporaneamente lo stesso autore vi ha fatto cenno nella sua eNews del 12 dicembre: si tratta del cosiddetto progetto del “2,9%”. Di cosa si tratta ? Renzi propone di chiedere ed ottenere dall’Europa un “accordo di legislatura” che consenta un deficit di bilancio al 2,9% per cinque anni, per potere ridurre le tasse e promuovere una solida crescita, ipotizzata al 2% annuo. L’Italia si impegnerebbe a ridurre il rapporto debito/pil “tramite sia una crescita più forte, sia un’operazione sul patrimonio che la Cassa depositi e prestiti e il ministero dell’Economia e delle Finanze hanno già studiato”(p.166). Le intenzioni sono buone, ma modalità e tecnica operativa molto meno, anche tralasciando il problema della sua positiva ricezione europea. Al netto dell’operazione sul patrimonio (che può essere segnale molto utile, ma non risolutivo, in questo come in altri contesti), in cinque anni il rapporto debito/pil, supponendo un deficit annuo al 2,9%, un’inflazione media intorno all’1% ed un incremento annuo del pil intorno al 2%, scenderebbe, ma meno di quanto avverrebbe con un disavanzo medio dell’1,7% (quello del 2018), con inflazione annua all’1% ed incremento medio del pil all’1,5%. Cioè la strada seguita in questi ultimi anni, con il rapporto debito/pil che finalmente comincia, anche se di poco (ma di più nel 2018), a scendere in modo continuativo: anche qui l’operazione sul patrimonio potrebbe servire. Ma soprattutto l’Italia non sarebbe in grado di partecipare al rilancio politico, economico e finanziario dell’Europa, che richiede bilanci pubblici nazionali non sotto tensione. Bisogna scegliere e secondo me si impone la priorità del nuovo inizio dell’Europa, che per i conti pubblici italiani significa continuare sulla strada intrapresa, di cui coloro che l’hanno gestita e quanti sostenuta con il voto devono andare orgogliosi: stimoli allo sviluppo e all’occupazione, flessibilità contrattata e contrattabile, riduzione progressiva e percentuale del debito. E meno tasse con la riduzione della spesa pubblica corrente, dove bisogna fare di più e meglio. Altrimenti “il 2.9% di Renzi” rischia di diventare il più ragionevole di una serie di “sforamenti” (5Stelle, Berlusconi, Salvini, Camusso) tutti incompatibili con il nostro debito e forieri di problemi molto maggiori di quanti ne risolvano . Se visto invece come esigenza di investimenti, di lavoro e di crescita, e non come proposta tecnica, “il 2,9%” è giusto e trova risposta sia nella flessibilità contrattata già in atto sia soprattutto nel nuovo inizio dell’Europa. In esso una Italia con il debito percentualmente in discesa potrà essere coprotagonista di una nuova “governance” che promuova investimenti, lavoro e crescita finanziandoli con indebitamento europeo.Si raggiungerebbero così, addirittura per superarli, gli obbiettivi cercati con il progetto del 2.9%, ma in modo tecnicamente e politicamente diverso, e sottraendosi alla maledizione dell’incremento del deficit, sempre sostenuto da inoppugnabili ragioni e seguito da incontrastabili disastri, che da quarant’anni ci perseguita. E soprattutto con la nuova Europa. La lunga digressione serve ad esemplificare quel confronto nel merito a cui ogni cittadino è obbligato se comprende l’importanza decisiva della posta in gioco. In questi mesi non è facile, le fake news impazzeranno, ma la posta in gioco è così decisiva da richiedere un impegno vero di documentazione e di riflessione. Non bisogna cedere alla disinformazione, le sciocchezze non sono innocue, ma operano per la scelta contraria, quella di un futuro senza prospettive. Luciano Iannaccone
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