riforma elettorale: da "Europa" di oggi
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13 ottobre 2010
Uno, due turni? La terza via c’è
Panebianco nell’editoriale del Corsera di ieri ha illustrato, quale possibile base di convergenza per la riforma elettorale, una proposta che avevo presentato il 30 luglio (numero 2312).
Proposta di cui si era discusso nell’ambito di una iniziativa della Lega per il collegio uninominale. Si tratta di una delle soluzioni che cercano di sfuggire a una pericolosa tenaglia tra due posizioni entrambe sbagliate. La prima è quella conservatrice dell’attuale maggioranza che nega l’evidenza, cioè che esista il problema di ricostruire un rapporto tra il cittadino elettore e il suo rappresentante. La seconda è quella reazionaria di chi utilizza quell’esigenza per proporre sistemi proporzionali solo timidamente corretti da sbarramenti: nel concreto contesto italiano si riprodurrebbero le dinamiche già viste nella prima fase della Repubblica a livello comunale, provinciale e regionale, dove non vi era la polarizzazione internazionale e dove quindi erano possibili i più vari accordi di governo senza legami stringenti tra consenso, potere e responsabilità.
Il collegio uninominale maggioritario rappresenta la terza via riformista rispetto alle due precedenti perché assicura il rapporto tra elettore ed eletto e incentiva fortemente la formazione di una maggioranza già in sede elettorale. A partire da questa valutazione si apre la tradizionale contesa tra monoturnisti, il cui argomento forte è la partecipazione elettorale che rischia di essere frustrata chiamando due volte i cittadini al voto (argomento diffuso soprattutto nel centrodestra che teme che ciò accada sempre a proprio sfavore) e doppioturnisti, il cui argomento forte è invece la soglia maggiore di consensi che si ottiene al secondo turno. Infatti, in un sistema come il nostro, che parte da un livello significativo di frammentazione, il rischio è che in un turno unico di voto si possa spesso vincere un collegio con un terzo dei voti. Esiste una soluzione in grado di mettere insieme i pregi e di eliminare i difetti, coniugando alta partecipazione e una maggioranza elevata? Si può inoltre dare a forze di centro, che esistono, la possibilità di giocare un ruolo significativo, senza comprimerle eccessivamente, anche senza arrivare a dar loro un potere sproporzionato di decisione post-elettorale sui governi? La soluzione sta in una famiglia di soluzioni che Einaudi nel 1953 definì a «ballottaggio preventivo» in alternativa al premio di maggioranza, che, leggermente diversa, fu riproposta da Zanone nel 1992, che è in vigore per la Camera australiana, che è stato appena usato per il leader del Labour Party e sarà proposta nel referendum di maggio. Il progetto la presenta nella variante più semplice proposta da Duverger per la Francia nel 1988.
Ogni elettore dà un primo e un secondo voto. Si scrutinano tutti i primi voti di tutti i candidati. Se nessun candidato ha ottenuto la maggioranza assoluta, si prende il candidato con meno consensi e si ridistribuiscono i suoi secondi voti e così via finché un candidato non arriva alla maggioranza assoluta. Ogni candidato è spinto a fare una campagna anche per ottenere seconde scelte di altri votanti, deradicalizzando la contesa e rendendo difficilmente prevedibile il risultato in molti collegi. Per questo, creando un velo d’ignoranza sui possibili vincitori, come nota Panebianco, può essere un punto di convergenza, evitando di restare nella tenaglia tra conservazione e reazione in cui altrimenti sembriamo condannati.
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