Ricordando Roberto Ruffilli, di Stefano Ceccanti


Il giornalista Paolo Giuntella, uno degli amici più stretti di Roberto Ruffilli, era solito dire che, rispetto ai momenti chiave della formazione di ciascuno di noi, i doni ricevuti si devono restituire a trasmettere a nostra volta.

Ed è anche per questo che ho ritenuto di promuovere, insieme al prof. Clementi, un seminario che parte dal trentacinquesimo anniversario del suo assassinio (16 aprile) per ragionare sulle riforma, anche tenendo conto della ricorrenza del trentennale del referendum elettorale del Senato (18 aprile)

Mi sono trovato a diciotto anni, nel novembre 1979, dieci anni prima della caduta del Muro di Berlino, ad assistere ad un mio primo convegno politico nazionale ad Arezzo, organizzato dalla Lega Democratica di Pietro Scoppola, che è stato come Aldo Moro docente della nostra Facoltà di Scienze Politiche de “La Sapienza”, e Achille Ardigò, in cui conobbi per la prima volta Roberto Ruffilli, intitolato “La terza fase e le istituzioni”

Il primo passaggio che vorrei affrontare è quello della definizione di ‘terza fase’.

Lo storico delle istituzioni nato a Forlì, allora semplice docente universitario, aveva ad Arezzo il compito di parlare sul tema “Il dibattito sulle istituzioni nell’Italia repubblicana” e, come si può rileggere nel numero del successivo mese di dicembre di “Appunti di cultura e di politica”, la rivista della Lega Democratica, riprese le fila dell’eredità di Aldo Moro, ucciso l’anno precedente. Per Ruffilli “l’insegnamento di Moro pare essere quello di una specie di ritorno alle origini del sistema politico, un ritorno alla ‘tregua’.. Il problema è adesso quello di riprendere il lavoro lasciato interrotto alla Costituente per la individuazione di regole comuni del gioco politico democratico”.

Dopo la prima fase del dialogo all’Assemblea Costituente, segnata da un accordo alto sui Principi della Prima Parte della Costituzione ma anche, a causa della Guerra Fredda, da una sfiducia reciproca che si era tradotta in una legislazione elettorale iper-proporzionalista e in una forma di governo debolmente razionalizzata, vi era stata la seconda, quella della centralità democristiana e del cosiddetto bipartitismo imperfetto, con la Dc sempre al Governo e il Pci sempre all’opposizione, ma poi se ne era aperta una terza, una fase di stallo, con le elezioni dei” due vincitori” del 1976, così denominata da Aldo Moro. Di “ritorno alle origini” e di “fase di stallo” parla in ultimo Aldo Moro anche nel suo memoriale scritto durante i cinquantacinque giorni del sequestro.

Ruffilli ritorna costantemente sul pensiero di Moro, affinando progressivamente l’analisi, come segnala Federico Scianò su “Appunti di cultura e di politica” il mese successivo all’uccisione del professore. Secondo Scianò quello che è chiaro nel pensiero di Moro ricostruito da Ruffilli è il poter arrivare alla fisiologia dell’alternanza democratica, igiene della democrazia, mentre Moro non fa alcuna affermazione precisa su come si sarebbero scomposte e ricomposte le forze politiche in un sistema imperniato su una logica del tutto diversa da quella precedente.

Del resto per Moro le novità nel sistema dei partiti non erano figlie solo di una dinamica politica autoreferenziale, ma di un processo di liberazione della società che finiva col mettere in discussione anche vecchie appartenenze e collateralismi. A differenza dei settori più intransigenti del mondo cattolico, come Augusto del Noce, altro docente della nostra Facoltà, che avevano ritenuto di leggere in modo solo negativo quel processo di liberazione, parlando della “società radicale” come un blocco individualistico da combattere, ad esempio promuovendo un referendum per abrogare la legge sul divorzio, Moro ed anche Ruffilli non leggevano così la realtà, preferendo distinguere e praticare l’arte della mediazione. Ruffilli era stato a Forlì tra le poche personalità dell’area cattolica ad esprimersi in dissenso dalla Democrazia Cristiana e dalla Conferenza Episcopale Italiana rispetto al referendum sul divorzio. Un’esperienza da cui poi si sviluppò la Lega Democratica. Per Aldo Moro, e più in generale per quel filone del cattolicesimo democratico, il nodo non era quello di contrapporsi in blocco alla nuova sensibilità per i diritti, ma di riuscire ad accompagnarla con un “nuovo senso del dovere”, diverso quindi dalla riaffermazione astratta di principi e di vecchie mediazioni datate, ritenute erroneamente immutabili, a cominciare da schemi paternalistici e patriarcali. In questo senso, come ha scritto il sociologo Luca Diotallevi, anch’egli impegnato nella Lega Democratica, il referendum sul divorzio ha rappresentato una presa di coscienza sul versante cattolico analogo a quello che Carniti e Tarantelli (altra vittima delle Br) imposero alla sinistra sui temi del lavoro e dell’inflazione nel referendum del 1985.

Il secondo passaggio che vorrei affrontare, e che parte sempre dal titolo del Convegno di Arezzo, è il tema delle riforme istituzionali.

Il punto di svolta di quel convegno intitolato, ripeto, “La terza fase e le istituzioni” fu appunto la consapevolezza che la terza fase, la prospettiva dell’alternanza, potesse e dovesse essere incentivato anche da nuove regole elettorali e istituzionali, e non solo da dinamiche strettamente politiche. Lo spiega bene Leopoldo Elia, sempre nel numero del maggio 1988 di “Appunti di Cultura e di politica”: “più di uno tra noi comprendeva in quegli anni che non bastava insistere nell’attuazione della Costituzione..intravvedemmo che le indicazioni politiche di Moro potevano trovare una vera terza fase in una politica istituzionale nella quale si realizzassero condizioni e regole per una democrazia più idonea a corrispondere alle sue grandi missioni di giustizia e di progresso sociale per l’attuazione del disegno fissato nella Prima Parte della Costituzione”. Una tentazione, quella del conservatorismo costituzionale, che si ammanta dello slogan dell’attuare inteso in alternativa al riformare, ben criticata da Elia, che è una costante della storia italiana,

Da allora Ruffilli sviluppa con coerenza, in particolare su “Appunti di cultura e di politica” questa doppia e simultanea attenzione, per un verso al tramandare il senso profondo delle indicazioni morotee (“Si tenta di cancellare la stessa immagine di Moro”, articolo del marzo 1981; le due immagini di Moro” del novembre 1983) e per altro verso a individuarne precise conseguenze sulla riforma delle regole (“In nome del popolo sovrano” febbraio 1984; La razionalità istituzionale”, gennaio-febbraio 1988).

Come è maggiormente noto, rispetto a questi articoli sulla rivista della Lega Democratica, queste riflessioni hanno poi trovato i punti di caduta più precisi in due testi editi da Il Mulino nella collana curata con l’Arel, “Materiali per la riforma elettorale” (1987) e “Il cittadino come arbitro” (1988).

Nelle conclusioni del primo, Ruffilli segnala che l’aggregazione al centro del sistema politico è entrata in crisi proprio perché ha avuto successo, ormai vi è un consenso all’interno riconosciuto anche all’esterno sulle scelte di fondo di collocazione euro-atlantica delle principali forze politiche, ma che però questo non era in grado di tradursi, a regole invariate, in un sistema di comportamenti, accordi, convenzioni tra le forze politiche, in grado di realizzare un chiaro rapporto tra consenso, potere e responsabilità che faccia del cittadino attraverso l’elezione del Parlamento anche della chiara scelta di una coalizione di Governo per la legislatura. Quello del ruolo del cittadino rispetto alla scelta di una maggioranza è per Ruffilli l’obiettivo gerarchicamente più importante della riforma elettorale e di conseguenti riforme costituzionali.

E’ il tema trattato in modo ancora più netto nel secondo testo: di fronte all’indubbio “sfaldarsi delle regole, delle convenzioni e dei comportamenti politici” che portano alla “richiesta di deleghe in bianco” e che ci allontanano dalla fisiologia delle grandi democrazie parlamentari che funzionano con coalizioni, dove non è messa in discussione come regola ordinaria la convenzione per la quale la guida del Governo è attribuita per la legislatura al candidato indicato prima del voto da parte del partito più grande della coalizione, l’obiettivo delle riforme è dare centralità alle scelte del cittadino elettore.

Prima della caduta del Muro di Berlino esistevano però ancora schegge di resistenza ad una compiuta democrazia dell’alternanza, di colore opposto ma convergenti nelle loro azioni, anche attraverso l’uso dell’assassinio politico, contro i promotori di questo decisivo cambiamento. In questa chiave, sempre nel numero citato di Appunti del mese successivo, Paolo Giuntella accomuna gli omicidi Ruffilli, Moro, Bachelet e Tarantelli, uomini che avevano saputo anticipare il crollo dei muri, segnalando per inciso, come ulteriore attenzione profetica di Ruffilli quella della consapevolezza dell’importanza della tutela costituzionale dell’ambiente.

E’ del tutto evidente quanto queste acquisizioni di cultura politica abbiano reso possibile la nascita e lo sviluppo del movimento referendario per le riforme elettorali dei primi anni ’90 che ha ottenuto risultati coerenti e positivi per Comuni e Regioni, parziali e contraddittori per il livello nazionale.

Anche forse per l’assenza di queste personalità che ci sono state sottratte anzitempo siamo oggi in un cammino ancora pienamente compiuto, in cui dobbiamo inserirci, senza dogmatizzare nessun particolare punto di caduta concreto, ma certo ispirandoci agli stessi principi.

 Da Il Riformista, 25 aprile 2023

Condividi Post

Commenti (0)