Renzi non merita un referendum, ma questo referendum merita un "sì" (da Huffington Post)
http://www.huffingtonpost.it/luca-diotallevi/referendum-costituzionale-matteo-renzi-governo-_b_10061042.html?utm_hp_ref=italy
No, Renzi non merita un referendum popolare. (E in ritardo si è accorto che la sua mania di grandezza l’ha fregato. Chiedere un referendum su di sé non gli conviene neppure.)
Con il suo governo ed il suo Pd non abbiamo avuto una di quelle svolte radicali sulle quali ha senso chiamare un referendum. (La Brexit merita un referendum, non Renzi.) Con il governo ed il Pd di Renzi stiamo avendo solo un altro contributo della sinistra al ritorno di centrismo e centralismo. (Se proprio si vuol essere generosi con Renzi, si può dire che ci ha offerto la nuova versione di centrismo e centralismo al tempo di internet.)
Il senso di marcia resta lo stesso da giusto un decennio. Quello che imboccò Veltroni: che cominciò da subito a depotenziare le neonate primarie e poi, alla prima occasione utile, ad annacquare la vocazione maggioritaria (resuscitando l’ennesima coalizione progressista: interna e meno visibile, ma anche esterna e più visibile alleandosi – e perdendo – con radicali e Di Pietro). Resta quello del centrismo e del centralismo cui Napolitano legò la sua non richiesta leadership. Dal 2013, con preferenze e proporzionale, con la moltiplicazione delle opposizioni, con il procurato aumento della pressione fiscale complessiva, con il ritorno del dominio dello Stato sulle autonomie locali e sugli ordinamenti extrapolitici, con l’aumento del debito pubblico, con la riduzione delle primarie ad optional in molte versioni, Renzi sta solo pian piano riproponendo la ricetta ben nota. (Per non parlare di politica estera.)
Il punto, però, non è Renzi, il suo centrismo ed il suo centralismo. Il punto è che i due principali protagonisti di un tentativo durato vent’anni (di passare ad un democrazia governante, competitiva e bipolare), Berlusconi e Prodi, hanno fallito. Non ci hanno lasciato né regole adeguate né schieramenti adeguati. Napolitano si è infilato tra le macerie di questo crollo e Renzi lo ha seguito e poi rilevato. Le virtù (non è una battuta) del porcellum ed il desiderio di un esercito di parlamentari di accaparrarsi sino all’ultima goccia privilegi e prebende che non sarebbero state loro offerte di nuovo, sono state una parte importante della forza di Renzi. Essa non risiede in un disegno, che non c’è, né un consenso, che non ha ancora raccolto. Né basta il suo evidente gusto del potere a spiegare le possibilità che ha avuto.
In queste Renzi condizioni poteva fare molto di più di quello che ha fatto. Invece salvo rare eccezioni si è limitato a procedere in tutta sicurezza (finora) lungo un sentiero già tracciato. (Senza risparmiarci neppure la vecchia umiliazione delle mance agli individui, invece che maggiore libertà, e delle mance alle regioni, invece che federalismo. In tempi di elezioni gira a restituire come regalo a ben scelti Presidenti di Regione quello che in regime di federalismo fiscale sarebbe stato loro e dei contribuenti delle rispettive comunità regionali.) Renzi è andato avanti lungo un sentiero centrista e centralista, ma - non si dimentichi – lungo un sentiero che nessuno ha sfidato.
Lungo questo percorso sono successe un paio di “cose”.
Prima “cosa”. Il baricentro dell’equilibrio centrista si è spostato dal Quirinale a Palazzo Chigi. Renzi è molto meno dipendente da Mattarella di quanto Monti o lo Letta lo siano stati da Napolitano.
Seconda “cosa”. è stata varata una parziale e mediocre riforma costituzionale che però contiene anche il superamento del cosiddetto bicameralismo perfetto o paritario. Al governo ora basterà la fiducia di una sola Camera, nella quale, grazie ad una brutta (anti-bipolare) legge elettorale (l’Italicum) sarà per lo meno più facile avere una maggioranza stabile. (Più facile, non certa, ad esempio a causa del ritorno al voto di preferenza, per giunta multipla.) Il governo non sarà più costretto ad ottenere la fiducia in due Camere con due maggioranze diverse (una delle quali, magari, anche senza una maggioranza).
Renzi non costituisce una novità che meriti un referendum. Tuttavia, ora ci ritroviamo con due “cose” la prima delle quali rende più contendibile la guida effettiva del governo e la seconda rende – caeteris paribus – meno incerta la sua azione.
Se al referendum Costituzionale di Ottobre vince il “no”, si perdono queste due “cose”, si perdono due appigli per una eventuale futura ripresa riformista. Se vince il “sì”, uno spiraglio resta aperto.
Nella riforma c’è anche altro che, rispetto alle speranza riformatrici di un quarto di secolo, o è confuso o è decisamente contraddittorio. Tuttavia, chi invita a votare “no” chiede di rinunciare a quelle due “cose”, senza offrire nulla in cambio. Propone di rimanere nel pantano in cui siamo: senza federalismo, senza maggioritario, senza premierato, senza … , senza …, e anche senza quelle due “cose”.
Renzi non merita un referendum, ma il referendum di Ottobre merita un “sì”.
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