Primarie: Funiciello su Europa

Articolo Sei in Commenti 16 novembre 2010 Quel Nichi che è in noi Tempo fa il grande Giorgio Gaber spiegò: non temo Berlusconi in sé, temo il Berlusconi in me. Uno di quei paradossi linguistici (e concettuali) che tanto piacevano all’artista milanese. Un paradosso che resta per altro attualissimo, soprattutto se si vuol vedere prossima l’uscita di scena di Berlusconi e si pensa, illudendosi parecchio, che essa porti via con sé pure il berlusconismo e l’impronta berlusconiana sulla politica italiana. Purtroppo il Pd non può concentrarsi su questa circostanza. Anzitutto perché, per la prima volta nella storia della seconda repubblica, il principe dell’alternativa a Berlusconi viene oggi da destra, Fini, o al massimo dal centro, Casini, e non dallo spazio del centrosinistra. Quindi perché, in questo spazio, la parte riformista che aveva espresso i quattro candidati alternativi a Berlusconi nelle ultime cinque elezioni (Occhetto, Prodi, Rutelli e Veltroni) ha perduto il primato culturale, in favore della parte più massimalista. Così, rimodulando il paradosso di Gaber tocca dire: non temo Vendola in sé, temo il Vendola in me. Nichi Vendola è il campione dell’attuale fase politica. La cosa è sì sorprendente, ma in un contesto di sorpresa generale e generalizzata, finisce per non apparire tale. Senza sminuire l’eminente valore intellettuale e politico di Giuliano Pisapia, la sua vittoria alle primarie milanesi è, però, decisamente frutto del primato culturale che Vendola oggi gode nel campo del centrosinistra, ridotto ormai al recinto della sinistra. Sono lontani i tempi in cui Vendola, insieme a una manciata di deputati di Rifondazione, sfiduciò il primo governo Prodi (quello vero) nel 1998. L’atto politico fondamentale della sinistra massimalista, che oggi nessuno più richiama, nonostante “quel” governo Prodi fosse stato l’unico capace di conquistarsi consenso e mandato politico battendo il centrodestra (pur diviso): l’unico a battere con la “politica” Berlusconi, e non coi mille giochetti del malato parlamentarismo italiano. Se dopo essere stato uno dei protagonisti della caduta del primo governo Prodi (quello vero), Vendola, in dieci anni, ha conquistato il primato politico-culturale nel campo del centrosinistra, è perché ha fatto breccia nelle menti e nei cuori di tanti che avevano coltivato l’Ulivo del ‘96, e colto il frutto della costituzione del Pd. Più che Vendola in sé, è il Vendola che s’è stabilmente insediato nelle teste e nei cuori di molti sostenitori del Pd che bisogna, oggi, temere. Più nei cuori che nelle menti. Sul lato della proposta politica, Vendola è rimasto il comunista ingraiano che era quando militava nel Pci e l’antagonista bertinottiano che fece cadere Prodi. La risposta di Vendola su Pomigliano è la nazionalizzazione della Fiat; sulle banche, la nazionalizzazione delle banche; sul lavoro, l’estensione di tutte le tutele dei tutelati ai non tutelati; sulla crisi economica, un rilancio di una politica redistributiva (della miseria?). Chiacchiere, insomma. Dette in poesia e non in prosa, d’accordo. Ma sempre chiacchiere. Propaganda che, certo, vive da sempre nel cuore dello zoccolo duro del Pd, in quell’elettorato fatto, per lo più, da pensionati e lavoratori dipendenti (in particolare dello stato) che resistono ad ogni necessaria modernizzazione del sistema-paese. Per fare i conti col “Vendola in me” più che col “Vendola in sé”, il Pd non ha altra scelta che allargare il suo elettorato di riferimento per ricreare, nel campo del centrosinistra, le condizioni del perduto primato culturale riformista. Più si riduce l’elettorato potenziale del Pd (come fotografano i sondaggi e le primarie meneghine), più vacilla il primato riformista. Certo, il Pd potrebbe essere tentato di spostarsi ulteriormente a sinistra per contrastare Vendola. Ma commetterebbe un errore fatale, concentrandosi sul “Vendola in sé”, piuttosto che sul quel letale “Vendola in me”, che inibisce ogni slancio di primato culturale nello spazio politico del centrosinistra e di primato politico nella competizione per il governo del paese. Antonio Funiciello

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