Presentazioni libri Ceccanti e Gaiotti de Biase

qui sotto la recensione del mio libro "Al cattolico perplesso" uscita su "L'Avanti" di sabato a cura di Pasquale Rotunno per tutti coloro che abitano a Roma segnalo che ne parlerò giovedì 17 alle 19.00 con una relazione sul tema "Cattolici e politica" all'incontro Fuci-Meic di s. Ivo alla sapienza, Corso Rinascimento 40, introduce e presiede Learco Saporito. Invece questo giovedì, il 10, alle 16.30, alla Biblioteca del Senato, Piazza della Minerva 38, Silvia Costa, Anna Finocchiaro, Dario Franceschini, Renato Moro e Mariuccia salvati presentano l'autobiografia di Paola Gaiotti de Biase, "Passare la mano" “Al cattolico perplesso”, le vie della laicità nell’analisi di Stefano Ceccanti Chiesa e politica all’epoca del bipolarismo La Costituzione italiana configura uno Stato laico nei propri principi fondamentali. Assume infatti l’irrilevanza giuridica delle convinzioni religiose dei singoli (art. 3). Stabilisce l’indipendenza e sovranità dello Stato e della Chiesa cattolica ciascuno nel proprio ordine (art. 7). Riconosce la pluralità delle confessioni religiose dotate di eguale libertà, che peraltro non significa eguaglianza, davanti alla legge (art. 8). Nel contempo la Costituzione prevede che i rapporti fra Stato e Chiesa restino regolati dai Patti Lateranensi. Lasciando con ciò insoluti alcuni nodi del rapporto tra i due poteri. In particolare sull’ordinamento della famiglia e della scuola: temi salienti del dibattito sulla laicità; insieme alle spinose questioni bioetiche. A lungo l’esistenza della Democrazia cristiana aveva consentito ai cattolici una presenza politica rispettosa delle prerogative statali. Ma ben attenta alle esigenze della Chiesa. La fine della Dc e dell’unità politica dei cattolici ha imposto la ricerca di un nuovo rapporto dei credenti con la politica. Stefano Ceccanti, docente di Diritto pubblico comparato alla Sapienza-Università di Roma, già presidente della Fuci e ora senatore, discute le prospettive dell’impegno politico dei cattolici nel suo ultimo libro: “Al cattolico perplesso” (Borla, 174 pagine, 22 euro). Una chiave di lettura è rintracciabile sin nella dedica a due coppie di sacerdoti e di laici: Oscar Romero e Vittorio Bachelet, accomunati dalla morte violenta; Giovanni Battista Montini e Alcide De Gasperi, legati al dialogo fra laici e sacerdoti. Pressante è l’invito a ritrovare la capacità di mediazione tra valori e fatti, tra premesse di partenza e capacità di interpretare la realtà, sperimentate nell’impegno ecclesiale. Con un’avvertenza: la nostalgia per una passata età dell’oro, l’unità sotto le insegne della Dc, “fa dimenticare i costi ecclesiali dell’identificazione di un partito politico con la Chiesa”. In Italia, evidenzia Ceccanti, le elezioni si succedevano stancamente con spostamenti minimi dell’1%-2%. Senza effetti univoci sulla formazione dei governi. La politica era lontana, indecifrabile, sostanzialmente cinica. L’unità politica dei cattolici finì perché, paradossalmente, aveva funzionato: nel tener saldo l’ancoraggio alle democrazie occidentali. Anche se la concreta azione riformista, in una democrazia senza alternanza, “era stata fatta a spizzichi”, con pesanti contraddizioni. Eppure già nel 1952, di fronte alla crisi del proporzionalismo, don Luigi Sturzo si schiera per il sistema uninominale maggioritario: “un evidente caso di presbiopia politica”. A scanso di tentazioni integriste, Ceccanti rileva che la politica non può ambire a costruire l’“uomo nuovo”; né in senso religioso, né laico secolarizzato. La democrazia ha però una tensione verso il futuro, verso la salvezza comune. La consapevolezza del limite della politica non implica resa all’ordine sociale dato. Non di rado, infatti, esso è piuttosto un “disordine costituito”, come dice il filosofo Emmanuel Mounier. E anche Aldo Moro vede il “principio di non appagamento” come l’altra faccia del limite della politica. Una “politica cristiana” è compatibile con la laicità delle istituzioni? Sì, a patto che lo Stato e le istituzioni siano ricondotti a giuste dimensioni. Giuste proprio perché limitate. “La laicità non è lo spazio che serve a escludere”, come accade in Francia. D’altra parte, “il cristiano può fare politica partendo da ‘valori non negoziabili’ solo se pratica buone mediazioni”. Altrimenti rischia il tradimento dei valori o l’inefficacia politica, sostiene il filosofo morale Marco Ivaldo. Mediazione non vuol dire compromesso opportunistico. Bensì ricerca della finalizzazione politica, ovvero della realizzazione concreta delle proprie idee all’interno delle istituzioni. La Corte Europea ha condannato l’Italia per l’esposizione dei crocifissi nelle scuole: perché sarebbe violata la neutralità delle istituzioni nei confronti delle religioni. Ma una simile neutralità è tipicamente francese. La laicità italiana non è ostile al fenomeno religioso e non preclude ad esso la sfera pubblica. Questa peculiare laicità impedisce il divieto dei simboli religiosi. E non rende automaticamente legittimo il suo contrario. Ovvero l’obbligo di esposizione, senza possibilità di eccezione. Ceccanti auspica un “modello bavarese-castigliano”. Sull’esempio di Baviera e Castiglia, cioè, i crocifissi non vanno rimossi se non su richiesta di qualche genitore. Ma dopo una consultazione che cerchi di mediare le diverse istanze con un accordo amichevole soddisfacente per tutti gli interessati. Vanno evitati gli opposti errori del separatismo ostile e del confessionalismo. Tanto meno abbiamo bisogno di “sovrapporre il bipolarismo politico delle grandi democrazie con le differenze in ambito religioso”. L’Europa “è stata forgiata da uomini capaci di costruire ponti, uomini a cavallo tra i confini anche geografici come De Gasperi, Adenauer e Schumann”. L’etica dell’uomo di Stato, scrive il teologo Dietrich Bonhoeffer, è il “dovere di operare in vece di qualcun altro”. La democrazia ha un fondamento pluralistico. La maggioranza non può attribuirsi l’espressione della verità unica. Né la verità può venire da una minoranza religiosa o filosofica che pretenda di imporla alla maggioranza. Diritto di proposta e di critica sono la base di ogni decisione democratica. Nelle moderne poliarchie, quali sono le nostre democrazie, “il bene comune non è appannaggio unico né dei decisori politici, né delle confessioni religiose”. In tempi di “politica pop”, da Ceccanti viene un serio invito al discernimento critico. Pasquale Rotunno

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