Politica e mercato

In un lungo editoriale sul Sole24ore del 14 agosto Guido Rossi torna a chiedere il massiccio intervento della politica per rimediare ai guasti prodotti dal potere dell’economia finanziaria, un potere viziato dalla incomprimibile avidità della speculazione. A questa avidità la politica deve porre rimedio, tornando a dominare il sistema finanziario e rimettendo vigorosamente al centro la questione dell’ineguaglianza. Strumenti di questa ripresa del ruolo della politica dovrebbero essere un ritrovato slancio della sovranità statale accompagnato dalla messa a punto di un’autorità mondiale in grado di imbrigliare, a parità di giurisdizione, i processi di globalizzazione economica e finanziaria. Insomma secondo Rossi occorre rimettere sovranità e diritto nelle mani della politica degli stati. Anche Benedetto XVI, nella Caritas in Veritate, sarebbe dello stesso avviso. L’analisi di Rossi non è nuova ma questo pezzo la rappresenta plasticamente per un grande pubblico. Non è nuova anche perché sembra voler continuare a non tenere conto di vecchie questioni, in qualche caso ignorate, in altri lasciate cadere. Tanto per cominciare Benedetto XVI non parla di autorità mondiale, al contrario mette in guardia dei rischi di un’autorità di questo tipo, dai rischi di una sua conformazione monocratica e assolutista. Propone invece una forma di regolazione poliarchica, introducendo per la prima volta questo termine nel lessico dell’insegnamento sociale della Chiesa, cioè una forma di regolazione sussidiaria e articolata su più livelli. Dal che ne consegue che questa regolazione, tenendo conto delle molte sfaccettature del concetto di poliarchia, non è né sovranista né statalista. Non è neppure interna alla sola sfera politica. E’ piuttosto un intreccio di regolazioni orizzontali, nelle quali stati, autorità sovranazionali non statali, istituzioni regolatorie private, e così via concorrono alla definizione di un quadro istituzionale rinnovato, un quadro che innerva la competizione nei mercati. C’è un diritto fuori degli stati e fuori della sovranità statale - una sovranità che finisce poi spesso con il ridursi a sovranità della legge dando così prova del suo inesorabile affievolirsi. E ci sono amministrazioni senza stati e autorità senza stati o fuori dei confini della sovranità statale. Questo concerto può produrre rinnovamento nelle istituzioni del mercato, non certo l’invocazione di un’autorità mondiale alimentata dal modello della sovranità statale. L'analisi di Rossi appare vecchia anche sotto un altro profilo. Davvero la politica può vantare una sorta di superiorità morale nei confronti dell’economia, anche dell’economia finanziaria? Davvero la politica è immune dal vizio dell’avidità? Anche qui si tratta di una vecchia questione che si alimenta alle fonti del pensiero sociale. Tralasciando le concrete responsabilità della politica nella genesi di questa crisi finanziaria - frutto di troppa politica e non di troppo mercato - il punto è fare i conti con una visione perfettista della politica, chiamata ad interpretare e realizzare un ordine sociale giusto - fondato sull’eguaglianza - contrapposto a quello ingiusto del mercato fondato sull’accumulazione della ricchezza e quindi sull’ineguaglianza. La politica come unica guardiana della società giusta, come unica custode del bene comune. Questa visione della politica conduce alla ricerca spasmodica di un potere e di un ordine, alla inevitabile riduzione ad unità dei conflitti. Politica e mercato, come altre sfere sociali, sono invece imperfette e concorrenti istituzioni che - accanto ad altre - faticosamente tentano di garantire diritti ed opportunità, contenendo le tensioni, bilanciando i diversi interessi, minimizzando il disordine. La questione non è dunque quanto e come la politica governi il mercato. E’ piuttosto con quale idea di politica e di società guardiamo alla relazione tra le diverse istituzioni sociali, quindi anche tra politica e mercato. Una concezione poliarchica e non perfettista della società diffida di una visione unificatrice dell’ordine e preferisce parlare di ordini sociali, problematizza una visione statica ed unitaria del bene comune e preferisce parlare di beni comuni. Anche la crisi finanziaria, vista con le lenti della poliarchia, assume contorni diversi. E contorni diversi giustificano risposte diverse. Concrete e non illusorie. Non c’è da qualche parte, là fuori, un ordine giusto con il quale salvarci dal male.

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