Pluralismo e libertà religiosa. Dino Cofrancesco commenta Murray, di Teresa Bartolomei
Un classico è un testo che ha detto qualcosa di cui non possiamo più fare a meno, non un testo che ha ragione in tutto quello che dice. Per questo Il libro di Murray va riletto, e da esso c’è ancora molto da imparare ancora oggi, ad onta del fatto, evidente per ogni lettore minimamente avvertito, che esso non ha subito indenne il passare del tempo che la sua impostazione filosofica, ampiamente neotomista, sia datata, e che alcune delle idee e analisi in esso proposte siano discutibili, come giustamente sottolineato da Dino Cofrancesco https://bit.ly/3rygocl che però mi sembra mancare il bersaglio quando assimila in toto la riflessione di Murray a un uso ingenuo del diritto naturale.
Da un lato c’è il fatto che il gesuita statunitense mette esplicitamente in guardia contro un uso linearmente deduttivo e fissista del diritto naturale, enfatizzando la dimensione fallibilmente prudenziale e induttiva del ricorso a norme che possono "soltanto aspirare ad essere ‘uno scheletro di legge’, cui bisogna aggiungere carne e sangue presi dall'essenza del processo politico”.
Dall’altro c’è il fatto che il punto focale del discorso di Murray, essenziale per discernere e dare risposta a un problema pienamente attuale e radicalmente innovatore rispetto alla tradizione giusnaturalista di matrice neotomista, è che il principio di libertà religiosa non è un semplice diritto individuale, né un semplice principio etico, ma un ordinamento giuridico in cui il pluralismo sociale è accolto come un dato positivo, da garantire piuttosto che reprimere, nell’azione di integrazione unitaria dell’etica pubblica in legge coercitiva da parte dello Stato. Nella sua combinazione di un elemento espansivo (“free exercise”) e di uno limitativo (“no establishment”), l’ordinamento giuridico della libertà religiosa istituito nel quadro del costituzionalismo americano, spiega Murray, ‘proibisce’ la tutela politica, coercitiva, di un pacchetto di valori etici o religiosi particolare, da parte della legge, nel concedere la sua più ampia possibile implementazione pubblica nella sfera della società civile.
Nel mutuare dalla teologia neotomista una nozione 'minimalista' del ruolo della legge rispetto all'etica e il principio antropologico della saldatura di verità e libertà (condizione personale di accesso alla verità nella convinzione di coscienza), Murray riesce ad innestare questi due elementi nel dispositivo giuridico di difesa del pluralismo proprio del costituzionalismo americano, svincolandosi dal monismo confessionalistico di cui il neotomismo era stato piattaforma nella dottrina sociale cattolica a partire da Leone XIII, in cui le aperture sociali facevano il paio con l'antiliberalismo politico intrinseco all'idea di "societas christiana" e Stato confessionale.
Traghettando l’ordinamento giuridico della libertà religiosa nel corpo dottrinale della Chiesa cattolica, attraverso la "Dignitatis Humanae", Murray aiuta il cattolicesimo ad abbracciare un principio positivo di pluralismo sociale e religioso che ha ricadute teologiche e storiche immense. Ma al di là dell'indubbio merito storico, la riflessione di Murray resta di piena attualità anche oggi, in cui il principio di libertà religiosa è oggetto di forti travisamenti manipolatori e spinte regressive, nell’interpretazione fondamentalista e polarizzatrice che ne hanno dato le "culture wars", in cui la libertà religiosa diviene diritto incondizionato di reclamare e imporre la tutela politica della propria visione del mondo, rinunciando allo sforzo di mediazione integrativa della diversità dovuto dalla politica in quanto garante della pace sociale, della libertà e dell’eguaglianza dei cittadini. Invece che risorsa civile, ricchezza della cultura deliberativa della sfera pubblica, il pluralismo diviene in questa regressione vettore di polarizzazione divisiva, di conflitto politico, producendo controspinte di omogeneizzazione forzata e riduzione degli spazi di libertà societale, strappate a suon di maggioranze elettorali contingenti raccolte intorno a soluzioni illiberali.
Implementare un consenso valoriale comune su cui costruire politiche condivise e funzionalmente rispettose delle libertà individuali, civili e sociali è la grande scommessa della democrazia del nostro tempo. Rileggere Murray aiuta a fare chiarezza. Di questi tempi non è poco.
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