Pietro Ichino su pregi e limiti della riforma Fornero
da www.pietroichino.it SIA PURE IN MODO PER CERTI ASPETTI DIFETTOSO, LA RIFORMA VOLTA PAGINA RISPETTO AL DUALISMO FRA PROTETTI E NON PROTETTI NEL NOSTRO MERCATO DEL LAVORO E REALIZZA IL PASSAGGIO DA UN REGIME DI JOB PROPERTY A UNO DI RESPONSABILIZZAZIONE DELL’IMPRESA PER LA SICUREZZA ECONOMICA E PROFESSIONALE DEI LAVORATORI Scheda per la Newsletter n. 193, 26 marzo 2012 LE LUCI 1. Per la prima volta in decenni si delinea un intervento di contrasto serio ed efficace contro la grave anomalia tutta italiana dell’utilizzazione delle collaborazioni autonome continuative in posizioni di lavoro dipendente. 2. Sui contratti di lavoro subordinato a termine si interviene in modo giustamente più morbido, comunque perfettamente in linea con la direttiva europea del 1999: li si rendono un po’ più costosi rispetto al contratto a tempo indeterminato. 3. Si incentiva anche il ricorso al contratto di apprendistato, oggi troppo poco utilizzato in Italia. 4. Si istituisce per la prima volta nel nostro Paese un sistema universale di assicurazione contro la disoccupazione. 5. Si volta pagina rispetto a decenni di uso distorto della Cassa integrazione guadagni nelle crisi occupazionali aziendali. 6. In materia di licenziamenti nei rapporti a tempo indeterminato si muove un passo rilevante per il passaggio da un sistema di job property a un sistema di responsabilizzazione dell’impresa (entro limiti ben determinati) per la sicurezza economica e professionale dei lavoratori. Considero questo passaggio come una necessità vitale per il sistema economico del nostro Paese, poiché esso favorisce la migliore allocazione delle risorse umane e materiali e l’aumento della produttività: questo è il motivo per cui ritengo che la riforma si muova nella direzione giusta e vada comunque appoggiata. 7. In questo modo, per la prima volta nell’ultimo quarantennio si determina con precisione il severance cost, cioè il costo di separazione tra l’impresa e il lavoratore per motivi economico-organizzativi, così superando una anomalia del nostro sistema rispetto a tutti gli altri ordinamenti occidentali. 8. Con la determinazione del severance cost, si elimina uno dei fattori (certo non l’unico, ma neppure uno dei meni rilevanti) della scarsissima attrattività del nostro sistema per gli investimenti stranieri. LE OMBRE 1. Nella nuova disciplina dei licenziamenti compare ancora in misura troppo ridotta l’incentivo all’impresa che licenzia per l’attivazione dei migliori servizi di outplacement, al fine di ridurre al minimo i periodi di disoccupazione. 2. L’onere per l’impresa che licenzia consiste infatti esclusivamente in un’indennità di scioglimento del rapporto, invece che essere ripartito tra l’indennità e un trattamento complementare di disoccupazione. Questo trattamento complementare, oltre a costituire un potente incentivo all’attivazione dei migliori servizi per la ricollocazione del lavoratore e al controllo sulla disponibilità effettiva di quest’ultimo (generando un interesse diretto dell’impresa per la ricollocazione più rapida possibile), consentirebbe di aumentare l’entità del sostegno del reddito e di allungarne la durata per i casi nei quali il ricollocamento è più difficile. 3. L’indennità prevista per il licenziamento per motivi economico-organizzativo non è modulata in relazione all’anzianità di servizio; con la conseguenza che, nel suo minimo (15 mensilità), essa è troppo onerosa nella fase iniziale dei rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato, i quali sono così resi troppo poco appetibili in sostituzione delle collaborazioni autonome continuative e dei contratti a termine. 4. Sarebbe stato meglio limitare l’applicazione della nuova disciplina ai nuovi rapporti di lavoro (secondo il metodo di transizione che i politologi indicano col termine layering), o quanto meno differire di qualche anno la sua applicazione ai rapporti già esistenti, per evitare che l’ansia da recessione indebolisca politicamente la riforma. Su questo terreno vedo la possibilità di una mediazione politica decisiva.
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