Obama 1 - Osama 0, ecco l'impotente sinistra

Claudia Mancina Il Riformista 6 maggio 20011 Si penserebbe che il Partito democratico, che pretende un'affinità non solo nominale con i cugini americani, possa apprezzare che sia Obama, e non Bush, a rivendicare di aver finalmente eliminato Osama Bin Laden, e magari trarne qualche vantaggio elettorale. Ma non è così. A sinistra non si può provare solidarietà, tanto meno orgoglio, per il Presidente democratico e per il popolo americano che festeggia la morte del suo principale nemico. Lo stato d'animo dominante è quello che disapprova l'esecuzione sommaria del leader di al Qaeda e la spontanea reazione di gioia e sollievo degli abitanti di New York e di Washington. Abbiamo letto che non si deve mai uccidere, neanche Caino, e quindi neanche Bin Laden. Abbiamo sentito decantare la superiore civiltà europea, che ha abolito la pena di morte, ed esprimere rammarico per l'assenza di un processo regolare. Ci è stato detto che gli americani riducono tutto a un'impresa sportiva, come nel cartello che diceva "Obama 1, Osama 0". Nella migliore delle ipotesi si sostiene che ormai Bin Laden era morto politicamente, addirittura irrilevante, grazie alle rivolte democratiche dei paesi arabi. Non viene a nessuno il sospetto che la tenacia della lotta contro al Qaeda, e la chiarezza con cui è stata esclusa - da Bush, e ancor più nettamente da Obama - la guerra di religione o di cultura contro l'Islam, possa non essere estranea all'emergere di umori democratici nei paesi arabi? Queste reazioni rivelano una impressionante mancanza di comprensione della realtà: da dieci anni gli americani sono e si sentono in guerra. Così si spiega la presenza di tanti giovani nelle strade a festeggiare, giovani che erano bambini l'11 settembre e hanno visto le loro vite cambiare. Per questo la giusta condanna della pena di morte non dovrebbe impedire di capire che si è trattato di un'azione di guerra, che come tale non obbedisce alle normali regole giuridiche, ma è moralmente giustificata dalle responsabilità di Bin Laden. E il cartello, il famigerato cartello, non ha forse soprattutto il senso di rovesciare in uno slogan vittorioso l'insulto più sanguinoso rivolto dalla destra a Obama, quello di non essere americano, e di essere vicino ai musulmani anche nel nome? Ma la comprensione è offuscata da una diffidenza di fondo, da una distanza addirittura antropologica dagli americani. Qualcuno ricorderà la campagna che la Fgci condusse, già alla fine degli anni Settanta, contro "Il Cacciatore", uno dei più bei film sulla guerra del Vietnam, o contro John Wayne, il cui modo di camminare era giudicato di destra. Quegli umori sono ancora tra noi, anche nelle generazioni più giovani. Un giorno bisognerà studiare come si è evoluto il senso comune della sinistra, e come si è perpetuato e approfondito un antiamericanismo che, fuori della guerra fredda, non ha nessun senso. Certamente fondamentale in questa evoluzione è stato ed è il pacifismo, una tendenza europea. Manca però la consapevolezza che il pacifismo ha tanto successo in Europa da quando il vecchio continente, autodistruttosi con due guerre intestine, si è affidato agli Stati Uniti, che si sono accollati (all'inizio con riluttanza) il compito di difendere la nostra pace e la nostra libertà. I popoli europei sono stati salvati dall'abisso due volte dagli americani, e da allora hanno dato a loro il ruolo di guardiani del mondo. Sono stati e sono loro a difendere i nostri diritti umani, il nostro superiore sistema giuridico, questo meraviglioso spazio civile europeo, che è un fiore di serra, impensabile senza l'azione politica e militare svolta dagli Stati Uniti nella seconda metà del Novecento. Chi non lo ricorda arriva al cinismo di mettere sullo stesso piano il terrorismo e la guerra al terrorismo; e alle fragilità dell'amministrazione america-na, evidenti anche in questo momento di successo, risponde non con la preoccupazione, ma con una maligna soddisfazione. Anche in ciò si conferma l'impotenza dell'attuale sinistra.

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