No a una china distruttiva - di Luciano Iannaccone

              La manovra di bilancio per il 2019, approvata dal consiglio dei ministri il 27 settembre, è nota nei   fondamentali, ma non nel dettaglio di voci e cifre, ancora da comporre. Conosciamo solo il suo risultato complessivo, un disavanzo del 2,4%, ed alcuni stanziamenti su vari capitoli comunicati, anzi sbandierati, in particolare da Di Maio. Quello che è certo è che l’Italia esce dal “sentiero stretto” percorso in questi anni per unire una crescita, anche se modesta,  alla progressiva riduzione del deficit e, dal 2016, anche del debito percentualmente al Pil. Si espongono così a  gravissimi rischi  presente e  futuro degli italiani. Tre sembrano i punti fondamentali: il primo sta nel linguaggio con cui è stata presentata dai due vice-presidenti del consiglio. Il secondo nei contenuti effettivi dei principali provvedimenti annunciati. Il terzo nelle  conseguenze che sembrano delinearsi.     Il linguaggio, soprattutto quello usato da Di Maio, è fatto di annunci epocali: “per la prima volta nella storia italiana abbiamo cancellato la povertà”, che sul “blog delle stelle” è diventato: “eliminata la povertà per la prima volta nella storia”. Viene da dire: ne uccide di più il ridicolo della spada. Ma ignoranza e ridicolo sono necessari per dare enfasi smisurata a cose più modeste: la demagogia è un contenuto fondamentale della manovra, perché intendere acquisire e mantenere consenso promettendo cose mirabolanti.   Infatti, venendo ad alcune tra le principali voci di spesa, ci viene detto che dieci miliardi vengono stanziati per “cancellare la povertà” di sei milioni e mezzo di italiani con reddito e pensioni di cittadinanza. A parte il fatto che la somma sembra comprendere i cinque miliardi del “reddito di inclusione” già previsti dal governo Gentiloni per il 2019, un messaggio sconvolgente ci giunge dall’aritmetica che, anche nell’epoca degli algoritmi, rimane la scienza regina. Infatti dividendo dieci miliardi per una platea di sei milioni e mezzo di persone, otteniamo mediamente 128 euro mensili a testa. Come si possano ottenere 780 mensili per il reddito di cittadinanza e l’adeguamento a 780 euro per le pensioni minime (con un aumento di circa 300 euro mensili) per un totale di sei milioni e mezzo di cittadini rimane un mistero insondato ed insondabile. Ma l’aspetto fondamentale che rende inaccettabile il reddito di cittadinanza è la logica che lo ispira: non promuovere il lavoro e le opportunità di lavoro (anzi scoraggiarle con il “decreto dignità”), ma assistere a pioggia, non sappiamo con quali soldi, nella logica italianissima del clientelismo.     Non si arriva poi all’abolizione della legge Fornero, ma ad un suo “superamento” che costa sei/otto miliardi, che vengono messi a carico dei giovani, che andranno in pensione, se ci riusciranno, ad un’età circa dieci anni superiore a quella consentita da detto superamento. Viene messa a maggior rischio la sostenibilità del sistema pensionistico italiano con un intollerabile egoismo nei riguardi  dei nostri figli: grazie, Lega. Quanto alla flat tax per le partite iva medio-basse (costo dichiarato 1,5 miliardi), voluta anch’essa dalla Lega, sembra un buon provvedimento, perché avvicinerebbe la tassazione reale, a sostanziale parità di fasce di reddito, fra subordinati (fiscalmente agevolati dalle detrazioni di lavoro e dagli 80 euro, fino ad una certa soglia)  ed autonomi, i più colpiti dalle due recessioni di questo decennio.     Insomma, non troviamo nessuna strategia per promuovere crescita, investimenti e sviluppo, lavoro e giovani, che renda progressivamente più sostenibile il debito pubblico e apra così al futuro. Ci imbattiamo invece in spudorate menzogne che gobbelsianamente puntano sulla loro ossessiva ripetizione. Troviamo una sola idea, primordiale e falsa: che elargendo a debito un po’ di soldi a questo e quello, il Pil cresce e i problemi si sistemano. Come ci siamo ridotti !     Le conseguenze che vengono a delinearsi fanno tremare vene e polsi. E’ vero, il programma elettorale di 5 Stelle e Lega era ancora più devastante, ma questo basta ed avanza, anche perché è più che lecito temere qualche ulteriore peggioramento nell’iter parlamentare. Per non parlare della previsione triennale del deficit al 2,4% A chi obietti che anche il consuntivo 2017 vede il deficit al 2,4% rispondo che comprende gli interventi “una tantum” a tutela di banche e clienti, che avrebbero potuto essere contabilmente esclusi. Il 2017 ha notevolmente abbassato il deficit strutturale (depurato degli effetti del ciclo economico e delle uscite “una tantum”) ed il rapporto debito/Pil e permesso di diminuire ulteriormente con la legge di bilancio 2018 deficit (previsto all’1,3%), deficit strutturale e rapporto debito/Pil. Tre importantissimi parametri significativamente ridotti negli ultimi anni, che ora aumenteranno nettamente, almeno i primi due.   Perché aumenteranno ? Non per una nuova politica di investimenti, che resteranno quelli significativi già posizionati dal governo Gentiloni. E’ una balla spaziale sostenere, come osa dire Di Maio, che nel Def 2019 ci sarà il più grande piano di investimenti della storia italiana: quella della storia è una mania ormai incontrollabile del nostro Masaniello. Si tratta invece  di logica clientelare inadeguata ad affrontare il vero bisogno ovvero, caso Fornero, di una scelta contro i giovani. Di quella Lega che già nell’estate 2011, rifiutando il necessario intervento sulle pensioni, provocò la crisi finanziaria che costò quasi 5 punti di arretramento del Pil, centinaia di migliaia di nuovi disoccupati e l’esplodere del debito dal 116% al 130% del Pil. E purtroppo non è finita: l’intervenuto aumento dello spread di 100/150 punti fin dalla primavera a causa dei timori di creditori e mercati sull’attuale governo costa già ora 4 miliardi in più. Che diventeranno a regime, man mano che tutte le emissioni di titoli pubblici italiani verranno a scadenza, tra i 20 e i 30 miliardi annui in più con questo spread e ancora di più con la sua ulteriore salita, purtroppo non improbabile vista le dichiarate intenzioni e la  demagogia senza freni che regola parole ed atti del governo. Aggiungiamo la possibilità di un rallentamento dell’economia mondiale prossimo venturo e il quadro si fa ancora più fosco. Soprattutto perché, con la sconfitta di Tria, si evidenzia che la forza del governo nel reggere la barra finanziaria è precaria.   La situazione è quindi gravissima, si è imboccata la china temuta con un mix di parole ridicole e false e di scelte ingiuste e pericolosissime. Col rischio che davanti alle reazioni ed alle richieste dell’Europa e dei mercati, giustificate le prime dai trattati e dalla Costituzione, le seconde dal diritto dei creditori di difendersi, i nostri eroi facciano come i genitori che, anziché correggere i figli (in questo caso i propri errori), mettono le mani addosso agli insegnanti. Potremmo dire con Ennio Flaiano che la situazione è disperata, ma non è seria. E’ più utile riconoscere che siamo tutti coinvolti, per questo Mattarella sabato ha parlato della Costituzione e della condotta che impone nei conti pubblici per salvaguardare il presente ed il futuro degli italiani. Non è la prima volta nella nostra storia nazionale che “Italia chiamò”. Tutto possiamo fare tranne che stare fermi e zitti.     Luciano Iannaccone                

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