Maurice Duverger e la Fuci: un incontro non casuale e fecondo- pubblicato dalla Commissione per la formazione alla politica della Fuci

di Stefano Ceccanti Il 17 dicembre ci ha lasciati a 97 anni Maurice Duverger, il grande studioso delle istituzioni. A dir la verità ci aveva purtroppo abbandonato ben prima, circa una quindicina di anni fa, col cambio di secolo, quando la malattia lo aveva preso in ostaggio. La scomparsa ha portato con sé varie rievocazioni sulla stampa, su cui qui non ritorno, su qualche aspetto della sua vita (da quelli giovanili più contestati, precedenti all’adesione alla Resistenza, all’elezione nel Parlamento europeo in Italia ad opera del Pci nel 1989) o su qualche opera o concetto più famoso (i partiti, il semipresidenzialismo, ecc.). Mi limito invece qui solo alla storia degli incontri tra Duverger e la Fuci, che sono stati due: un convegno a Trento nel 1990 e una bella relazione al congresso del centenario della Federazione nel 1996 su “Le nuove frontiere della democrazia” (il secondo si può anche riascoltare sul sito di Radio radicale). Già qui immagino che ai fucini di oggi venga spontanea una domanda: ma come avete fatto a convincere un grande studioso internazionale a muoversi per venire a ben due appuntamenti della nostra Federazione? La risposta sta nella biografia di Duverger, che vado brevemente ad illustrare, che gli aveva fatto conoscere molto bene la Fuci, al punto che la relazione del 1996, specie il finale, sembra proprio scritta dall’interno della Federazione. Duverger, nato nel 1917 da una famiglia cattolica, si scontrò da subito con l’impotenza delle istituzioni della III Repubblica che, per di più, dal suo punto di vista personale e familiare, aveva anche il difetto di essere espressione di un laicismo che, sulla scia della Rivoluzione, escludeva il fatto religioso dalla Rivoluzione Questo è il punto di partenza decisivo per comprendere le sue discusse scelte iniziali, ossia la vicinanza a movimenti di destra e una certa ambiguità iniziale verso Vichy, più esattamente rispetto all’adesione al confuso movimento politico di Jacques Doriot (Parti Populaire Français) che partiva da sinistra (Doriot proveniva dal Pcf) e che si stava spostando verso destra. Dobbiamo tenere conto di quanto spiegò diffusamente il filosofo Paul Ricouer all’Unesco nel 2000 al convegno per il cinquantesimo della scomparsa di Emmanuel Mounier: per quasi tutti i cattolici “non conformisti” degli anni ’30, buona parte dei quali approdarono alla Resistenza durante la Guerra, la polemica anti-liberale e catastrofista contro la III Repubblica avvertita come estranea e impotente era stato il dato di partenza biografico decisivo per l’impegno, appena bilanciato dagli effetti della condanna vaticana dell’Action Française e dalle critiche verso il franchismo vincente in Spagna. Le ambiguità verso Vichy furono diffusissime, compreso all’inizio lo stesso Mounier e, come ha dimostrato la ricerca storica successiva, ben più ampie del previsto, coinvolgendo, ad esempio, anche il giovane François Mitterrand, anch’egli proveniente da una famiglia cattolica. Per queste ragioni, nonostante la maggiore cautela della Santa Sede e la crescente adesione di cattolici alla Resistenza, il regime di Vichy godette di un consenso quasi senza riserve dell’intero episcopato fino al termine della guerra e della sua esistenza. Vale insomma, come segnalava lo stesso Duverger, per la gran parte del cattolicesimo democratico francese formatosi negli anni ‘30 (compreso lo stesso Maritain che era anch’egli partito da destra, con l’Action Française) che anticipò per tanti aspetti il Concilio l’esatto contrario di quella che è ritenuta una regola esistenziale generalizzata: partire da giovani da posizioni più di sinistra per moderarsi poi durante la vita adulta. Fu decisivo per Duverger e molti altri giovani cattolici l’incontro a Bordeaux col padre domenicano Maydieu, l’ispiratore della locale Resistenza cattolica, come segnala lo steso Duverger in un volume delle Editons du Cerf su questa figura spirituale. Maydieu spiegò che era legittima e doverosa la Resistenza anche armata a Vichy perché, nonostante che i vescovi lo ritenessero come autorità legittima, in verità la legittimità democratica era stata rotta e, ciò che contava era in fondo poter affermare una posizione (la democrazia come opzione preferenziale) che l’intera Chiesa avrebbe potuto far propria in una generazione. Maydieu era in effetti anche un ottimo profeta, visto che la Gaudium et Spes fu deliberata giusto vent’anni dopo. Dal fallimento delle deboli istituzioni della III Repubblica e dallo stesso consenso di massa che vi fu in origine a favore di Vichy (anche se poi la Francia ha voluto nascondere questo aspetto potendosi presentare grazie a De Gaulle tra le potenze vincitrici) Duverger trasse la lezione di battersi, soprattutto nei grandi Paesi, per regole forti, da democrazia governante, con un forte raccordo tra i cittadini e il Governo, per non dare spazio a possibili scorciatoie antidemocratiche. Nel suo ricordo di Padre Maydieu il grande studioso ci dice però anche qualcos’altro: il padre domenicano lo indirizzò verso lo studio accademico e il lavoro giornalistico a “Le Monde”, facendo da tramite col fondatore del quotidiano, Hubert Beuve-Méry, anch’egli proveniente dalla Resistenza cattolica, invitandolo invece a non scegliere la strada del nuovo partito di ispirazione democristiana, l’Mrp. Nonostante infatti le grandi volontà di riforma sociale dei promotori e l’intento di non combinare in modo integrista religione e politica (il nome del partito era infatti Movimento Repubblicano Popolare, senza richiami espliciti al cristianesimo) per Padre Maydieu quella scelta era comunque un errore perché ricreava comunque una frattura tra laici e cattolici nel centrosinistra democratico (quando la Resistenza aveva invece fatto cadere lo steccato rivoluzionario) che, unito, avrebbe potuto più che bilanciare la forza dei comunisti e perché per ragioni sociologiche elettorali la dirigenza dell’Mrp sarebbe comunque stata costretta ad andare verso destra, senza poter attuare le riforme volute. I dirigenti dell’Mrp sarebbero stati costretti a fare la sinistra della destra anziché la componente non comunista della sinistra e, quindi, a negare il loro programma politico iniziale. In effetti così poi avvenne in larga parte e l’Mrp finì per dividersi in un troncone maggiore che alimentò il centrodestra (intorno a Giscard d’Estaing) ed in uno minore (ma non dal punto di vista qualitativo) che con Delors cofondò il nuovo Partito Socialista seguendo, pur in ritardo, lo schema del padre Maydieu che aveva sin da allora convinto Duverger. Per lo studioso francese dopo il successo della transizione francese alla Quinta Repubblica che aveva rimediato ai dodici anni di impotenza della Quarta (1946-1958) anche perché aveva indotto uno spettacolare riassetto del sistema dei partiti a favore delle mezze ali moderate dei due schieramenti, marginalizzando comunisti ed estrema destra, l’Italia era ormai l’ultimo grande Paese che restava nell’Europa dell’impotenza e che doveva affrontare un’analoga transizione, come spiegò bene nel 1988 nel volume “La démocratie de l’impuissance”. Essa riguardava sia le istituzioni in senso stretto, a partire dalla legge elettorale, sia il sistema dei partiti, dove andava superata la doppia anomalia dell’egemonia comunista a sinistra e dell’unità politica dei cattolici, con la prima che finiva per portare con sé la seconda. Per queste ragioni era da tempo attivo anche sulle colonne del “Corriere della Sera” nonché in alcune iniziative promosse dalla rivista socialista “Mondoperaio” e il Pci del nuovo segretario Occhetto, alle prese con la difficile sfida a sinistra del socialismo di Craxi, decise, in asse col Presidente Mitterrand, di sparigliare candidandolo alle europee, precorrendo di qualche mese la svolta del cambio di nome e di simbolo. Si venne quindi in quei mesi a determinare un’obiettiva convergenza di tematiche e di sensibilità. La Fuci aveva già denunziato nel 1983 (Congresso di Padova), in parallelo alla prima Commissione bicamerale sulle riforme, il carattere ormai obsoleto delle vecchie regole elettorali proporzionali che, specie sul piano locale e regionale, avevano fatto perdere qualsiasi nesso tra consenso, potere e responsabilità e, spesso, anche qualsiasi prevedibilità delle alleanze. La dura critica era stata ribadita nel 1985 (Congresso di Firenze), a Commissione Bozzi ormai quasi defunta senza esiti positivi e nel 1987 (Congresso di Verona), in cui si esplicitò anche la evidente non corrispondenza tra divisioni politiche reali sui principali temi e le divisioni anacronistiche del vecchio sistema dei partiti, risalente alla Guerra Fredda. Nel 1989 (Congresso di Bari) si fece però qualcosa di più: si individuò nel referendum la possibile leva di trasformazione dal basso per quel cambiamento che i veti reciproci rendevano impossibile nel sistema. Questo spiega il primo invito a Duverger nel convegno di Trento del 1990, che si svolgeva nelle stesse settimane in cui iniziava la prima raccolta di firme per i referendum elettorali, che sfociò nella consultazione sulla preferenza unica del 9 giugno 1991, e che vide nello stesso convegno il forte consenso di Beniamino Andreatta, allora quasi solo nel gruppo dirigente della sinistra dc (la parte storicamente più vicina all’associazionismo cattolico più conciliare) a sostenere l’iniziativa. Questo spiega anche, per così dire a consuntivo di quella prima fase, anche il secondo invito, quello del 1996, a poche settimane di distanza dalla vittoria dell’Ulivo nelle Politiche; compito di Duverger era per un verso quello di evidenziare i passi compiuti dai referendum del 1991 e del 1993 nella positiva transizione del sistema elettorale e di quello dei partiti e per altro verso di indicare le ulteriori modalità istituzionali e politiche per completare quella transizione ancora per molti aspetti confusa. Quello fu forse l’ultimo intervento pubblico corposo del grande maestro in Italia, purtroppo sinora ampiamente inascoltato, ma al quale in molti abbiamo continuato ad ispirarci. Il link all’intervento di Duverger al congresso di Firenze: http://www.radioradicale.it/scheda/81869/81949-le-frontiere-della-democrazia-org-nellambito-del-53-congresso-nazionale-della-fuci-federazione-univer Un articolo di Repubblica su Duverger al Congresso del 1996 http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1996/04/28/duverger-servono-due-nuove-dc.html Un articolo di Repubblica sul Convegno del 1990: http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1990/05/05/dovete-cambiare-sistema-politico.html

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