Ma che fa il Pd? Il rischio di un partito inutile, di Vittorio Ferla


In questi giorni, il leit motiv ricorrente di buona parte della stampa progressista è il seguente: meno male che c’è Elly Schlein, grazie a lei, finalmente, il Pd si è risvegliato e comincia a recuperare punti sul primo partito che rimane Fratelli d’Italia. Sarà vero, ma i dubbi restano legittimi. Di sicuro, su due o tre questioni - immigrazione, diritti civili, antifascismo - Schlein è parecchio combattiva e riesce a esprimere un profilo più nitido. Ammettiamo pure che, rispetto al sorriso bonario di Nicola Zingaretti e al soporifero pallore di Letta bastava veramente poco. E poi, si sa, le battaglie identitarie e ideologiche sono lo strumento più rapido e a buon mercato per creare consenso. Così, l’indice di gradimento sembra risalire. Anche qui, tuttavia, bisogna evitare ogni illusione. I consensi arrivano quasi tutti dall’area del M5s e dei cascami della sinistra massimalista: ciò significa che il Pd si è messo a pescare nello stagno del populismo di sinistra. Uno stagno, appunto, dai confini limitati. Insomma, quei punti in più per i dem vengono da partiti in crisi e non sono capaci di allargare la base elettorale oltre lo schema dell’unità delle sinistre. Una unità tutta da verificare, peraltro, visto che Giuseppe Conte non resterà lì passivo a farsi rubare i voti dal Pd.

In questa fase ancora iniziale della segreteria Schlein resta aperta la domanda: a che serve il Pd in questo momento? Ridotto all’osso, potremmo dire che la funzione di un partito dovrebbe essere quella di selezionare una classe dirigente capace di fare opposizione nel momento in cui è minoranza e di prepararsi al momento in cui potrà governare nel caso di vittoria elettorale. Come risponde il Pd oggi a questo compito?

Sul piano della classe dirigente i segnali che vengono dal gruppo dei selezionati per la segreteria non promette nulla di buono. Se si esclude qualche contentino, ai riformisti resta molto poco. Ma la cosa che più colpisce è l’avanzata dei profili più estremi e radicali. Basti pensare all’assessore regionale emiliano Igor Taruffi, che in passato ha militato dentro Rifondazione comunista e Sel, incaricato di guidare l’organizzazione. Oppure ai reduci di Articolo 1 come Alfredo D’Attorre e Cecilia Guerra. E che dire di Marta Bonafoni, ex direttrice di Radio popolare ed esponente di quella sinistra radicale romana che finora ha visto il Pd riformista e di governo come fumo negli occhi. Proprio Bonafoni, che con i dem non ha mai avuto nulla da spartire, ha il compito non proprio secondario di coordinare il partito. Anche sul piano delle politiche ambientali, le scelte di Annalisa Corrado, pasdaran ambientalista e nemica dei termovalorizzatori, la dice lunga sull’approccio che il Pd assumerà. A chiarire subito il punto è arrivato nei giorni scorsi la boutade di Sandro Ruotolo, giornalista di rito santoriano - nel senso che proviene dalla leva di Michele Santoro - a proposito del termovalorizzatore di Roma. “Se lo fai abbandoni la differenziata”, ha detto Ruotolo a Gualtieri. Proprio per evitare il termovalorizzatore - d’accordo con le tradizionali posizioni oltranziste dei pentastellati - Ruotolo propone un referendum cittadino, evidentemente nella convinzione che, approfittando del tendenziale astensionismo degli elettori romani, l’arrivo delle truppe organizzate dei militanti possa raggiungere lo stesso effetto remuntada ottenuto da Schlein alle primarie. Tutto ciò mentre il comune di Roma ha già acquistato l’area necessaria e ha già espletato la prima fase della gara. Insomma, già sui temi ambientali il Pd sta precipitando verso posizioni di chiusura: contro i termovalorizzatori e i rigassificatori, contro le centrali nucleari, a gas e a carbone, contro il ponte sullo stretto, l’alta velocità e le autostrade. Un atteggiamento che ricorda i fasti dei No Tav, No Tap, No Ceta, No Triv, si fonda sul sospetto verso ogni forma di tecnologia e si colora di tutte le sfumature possibili contro il progresso. Con questa classe dirigente c’è il rischio che, accanto a quelle ambientali, altre politiche possano cadere sotto i caterpillar del populismo di sinistra. Basta ricordare che una parte consistente dei quadri che sostengono Schlein viene dall’oltranzismo pacifista e antiamericano. Tutto ciò fa rabbrividire se si pensa che fino al settembre dell’anno scorso, i dem erano il principale pilastro del governo europeista e riformista di Mario Draghi. A giudicare dalle vicende di queste settimane, appare evidente che, sulla base di questo armamentario ideologico, il Pd sia abbastanza incapace di svolgere un’opposizione sensata nella chiave della crescita, dell’attuazione del Pnrr e della collocazione dell’Italia nel contesto geoeconomico. E dire che sarebbe il momento giusto per farlo viste le difficoltà manifestate dalla maggioranza di governo soprattutto con riguardo all’attuazione degli impegni assunti dall’Italia con i partner europei. E se questo è il modo di fare opposizione è molto elevato il rischio di ricalcare l’esperienza fallimentare dei laburisti britannici i quali - guidati prima dal neosocialista Ed Miliband e poi dal veteromarxista radicale Jeremy Corbyn - sono confinati all’opposizione da una dozzina di anni. Costruire un Pd di governo sulla base di una vocazione maggioritaria a partire da questa classe dirigente massimalista e radicale è un’impresa impossibile. Ma così il Pd rischia di diventare un partito inutile.



Da Il Quotidiano del Sud 

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