L'impegno del 2016: la vittoria del Sì nel referendum costituzionale

La sfida del referendum dal Quotidiano Nazionale di oggi di Stefano Ceccanti Quasi nessuno si è accorto che è stato per primo il Presidente Mattarella lo scorso giorno 21, precedendo quindi Renzi, a sottolineare la centralità del prossimo referendum sulla riforma costituzionale Queste le sue parole: “Non entro nel merito di scelte che appartengono alla sovranità del Parlamento e che.. saranno poi sottoposte a referendum popolare. Osservo soltanto che il senso di incompiutezza rischierebbe di produrre ulteriori incertezze e conflitti, oltre ad alimentare sfiducia, all'interno verso l'intera politica e all'esterno verso la capacità del Paese di superare gli ostacoli”- Mattarella vede quindi nel referendum un passaggio “che mira a concludere la lunga transizione avviata da un quarto di secolo, e purtroppo segnata da intese mancate e tentativi falliti”. E’ per questa ragione sistemica che Renzi non ha potuto fare a meno di porre una sorta di questione di fiducia di fronte al corpo elettorale. Del resto che senso ha avuto questa legislatura e quale giustificazione ci si è dati per le larghe intese iniziali del Governo Letta e per quelle più ristrette dell’esecutivo Renzi se non il dotarsi di nuove regole tali da evitare di riprodurre l’impasse iniziale, quando non si riusciva né ad eleggere un Presidente né a far partire un Governo? Ovviamente, nel mondo reale, alle ragioni sistemiche si aggiungono quelle di parte. Il Presidente del Consiglio vede in questa prova la possibilità di un grande reset di sistema, molto più agevole delle amministrative i cui risultati sono più incerti. Né avrebbe aiutato l’eventuale contestualità delle due scadenze, in origine ipotizzata. Il trionfo delle europee non fu ripetuto nello stesso giorno alle comunali: gli elettori distinguono nettamente le competizioni, anche quando sono simultanee. Una scelta del genere comporta rischi, ma a ben vedere non sono minori quelli che dovranno affrontare i suoi principali avversari. Anzitutto il Movimento 5 Stelle che continuerà ad opporsi a un riforma che, al di là dei dettagli opinabili, semplifica il sistema. E’ abbastanza normale che i movimenti contestatari si oppongano a riforme del sistema perché vogliono presentare il proprio successo come l’unica risorsa per uscire dalle secche, ma non è detto che gli elettori seguano. Anche Bossi (e non solo Craxi) invitò nel 1991 all’astensione sul primo referendum elettorale, ma fu smentito da molti dei suoi elettori. Ancor più complicata la posizione di Forza Italia che aveva votato con convinzione al Senato il testo esatto che sarà sottoposto agli elettori e sarà quindi gioco facile che vengano utilizzati in campagna gli interventi in Aula dei suoi senatori. Ammesso che Berlusconi voglia davvero fare campagna per il No, si ritroverà in uno schieramento a trazione dei 5 Stelle: non facilmente comprensibile per i suoi elettori. Alla fine è probabile che nel senso comune, anche degli elettori non del tutto in sintonia col Presidente del Consiglio, prevalga l’argomento del Presidente Mattarella: meglio un passaggio importante per chiudere (quasi) la transizione che restare nell’indistinto. Anche perché un’alternativa al Presidente del Consiglio dovrebbe essere già pronta: cosa che al momento non appare, esattamente come non appariva nel 1985 quando le opposizioni congiunte persero nel referendum sulla scala mobile contro il Governo Craxi.

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