Legge elettorale. Per non dimenticare
Da qualche giorno è decollato un dibattito che se non fosse alimentato strumentalmente dai conservatori dello status quo sarebbe utile definire bizzarro. E’ il dibattito sulla legge elettorale proporzionale: si torna alla prima repubblica, voteremo senza sapere chi si allea con chi, dopo le elezioni cominceranno le vecchie liturgie parlamentaristiche. E chi e cosa spingerebbero gli italiani verso il ritorno alla palude della prima repubblica? Renzi e il suo nuovo accordo con Berlusconi. Tutti questi nuovi riformatori, inaspettati difensori della democrazia maggioritaria e governante, sembrano improvvisamente dimenticare che quanto dobbiamo affrontare oggi è esattamente il quadro istituzionale che loro stessi hanno tenacemente voluto attraverso la campagna per il NO al referendum del 4 dicembre. E anche tra i sostenitori del SI c’è più d’uno che sembra afflitto da una simile amnesia e che ragiona come se fossimo in un mondo diverso da quello reale. Il pacchetto istituzionale del governo Renzi costituiva infatti, conviene sempre ricordarlo, un’organica risposta alla questione che Giuliano Amato poneva già alla fine degli anni settanta. Per garantire una democrazia governante non basta intervenire solo sulla forma di governo (eleggiamo direttamente il Presidente della Repubblica a costituzione invariata, come avrebbe proposto di lì a poco Craxi) né solo sulla legge elettorale (come avrebbe ottenuto quindici anni dopo Mario Segni): occorre fare entrambe le cose. E farlo in modo coordinato e coerente. Esattamente quello che faceva la proposta Renzi. Ora l’esito del 4 dicembre non solo ha cancellato la riforma costituzionale ma ha anche travolto la riforma elettorale, come la Corte costituzionale ha puntualmente sanzionato qualche settimana dopo. Lo scenario dunque è del tutto diverso da quello presupposto dai nuovi riformatori: non dobbiamo scegliere se tornare alla prima repubblica ma vedere come possiamo cominciare di nuovo ad uscirne dopo che loro lì ci hanno riportato. In questa ottica del male minore la proposta di legge elettorale similtedesca va nella direzione giusta, tenendo conto dei rapporti di forza parlamentari e della fragile ma ottusa posizione della Corte costituzionale. Certo è una legge elettorale proporzionale, certo è una legge che non gode delle stampelle costituzionali che in Germania la rendono funzionale ad una democrazia governante. Però di qui occorre partire anche perché si tratta di una proposta che inserisce comunque due elementi di forte razionalizzazione governante. Innanzi tutto la soglia nazionale del 5% che significa due cose: cancellare il potere di ricatto dei piccoli partiti e implicitamente produrre un piccolo premio di governabilità per i grandi. In secondo luogo attraverso l’accoppiata collegi uninominali (un solo candidato per partito) e liste proporzionali bloccate (liste corte e quindi giudicabili dall’elettore) si mette il sistema in condizione di cancellare in un solo colpo due rischi. Quello di inquinamento clientelare (che non significa automaticamente penale, anche se una legislazione adottata in piena sindrome giustizialista li avvicina molto) del voto attraverso il gioco delle preferenze individuali. E quello dell’incentivo alla fazionalizzazione dei partiti politici, causa tra le principali della debolezza strutturale dei governi parlamentari. Insomma senza voto di preferenza si sta molto meglio, altro che rischio per la democrazia. Per questo stupisce chi dice che con questa proposta non solo si tornerebbe alla prima repubblica ma addirittura si peggiorerebbe quel modello. Ancora una volta ci si dimentica di un pezzo della realtà. Le leggi elettorali della prima repubblica infatti rendevano la competizione in quanto a scelta del candidato per il Senato una specie di lotteria proporzionalistica camuffata, in cui si era sicuri del risultato solo se riusciva a vincere un collegio con almeno il 65% dei voti: cioè mai. E alla Camera impazzava il gioco delle preferenze individuali, con gli effetti sul fazionismo nei partiti che, soprattutto chi viene dalla storia democristiana, dovrebbe ben ricordare. Tutto perfetto dunque? No di certo. Si potrebbe intervenire per migliorare la proposta, ad esempio rendendo prevalente la capacità di traino del voto nei collegi uninominali anziché dare il primato al voto di lista, per altro comunque bloccato e quindi immunizzato dal rischio della frammentazione. Basta? No di certo. Non basta perché ci troviamo comunque di fronte ad un sistema proporzionale in una forma di governo che resta parlamentare pura o quasi. Non basta perché il virus della frammentazione può riprendersi in parlamento – formazione di gruppi parlamentari fittizi – quello che ha perso in sede elettorale – mancanza del gioco delle preferenze alimento principale delle fazioni interne ai partiti. Ma c’è dell’altro, certamente contingente e legato non al contenitore istituzionale quanto alle strategie degli attori. Questa legge elettorale potrebbe prepararsi a fotografare un nuovo per quanto transitorio assetto del sistema politico italiano lungo l’asse apertura / chiusura che in questo momento coincide con l’asse unionismo europeo / sovranismo nazionale. A patto naturalmente che i due partiti ad orientamento unionista sappiano resistere alle tentazioni populiste che sono presenti anche al loro interno. Va da sé che la prospettiva unionista si troverebbe ad affrontare nella prossima legislatura un compito difficilissimo e da eseguire il più velocemente possibile. Aggredire debito pubblico, spesa pubblica e inefficienze regolatorie del mercato dei servizi, causa della scarsa produttività del sistema. Affrontare la partita della riforma delle istituzioni europee stando sui tavoli che contano. E quindi costruendo una proposta credibile, tanto per cominciare, al Reflection paper della Commissione sul completamento dell’unione economica e monetaria di qualche giorno fa. Liberarsi dalla tenaglia fabbricata dal voto del 4 dicembre e dalla ostinazione della Corte costituzionale, rimettendo in modo il processo di riforma istituzionale. Il dibattito pubblico dovrebbe finalmente concentrarsi su questo. Difficile non vedere come sia meglio affrontare questi compiti dopo un nuovo voto e in un quadro di stabilità piuttosto che con un governo frutto del NO del 4 dicembre e prossimo ad una scadenza elettorale che resterebbe regolata da un sistema bloccato e inefficiente.
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