Le critiche che la riforma costituzionale non merita di Salvatore Curreri

Stampa ANSA Tra le opinioni contrarie alla riforma costituzionale manifestate in questi giorni, ve ne sono alcune, come quelle espresse nel documento firmato dai 56 costituzionalisti che, seppur non condivisibili, hanno l'indubbio pregio di scendere nel merito delle questioni. Altre, invece, appaiono così pretestuose, se non addirittura infondate, da meritare di essere subito confutate perché il loro diffondersi non avveleni i termini di un corretto e costruttivo confronto. L'accusa più frequente è che la riforma costituzionale sia stata promossa dal Governo, approvata, anche attraverso mozioni di fiducia e tagli di emendamenti, da un'oscillante e risicata maggioranza di governo, frutto peraltro di un premio di maggioranza dichiarato incostituzionale. Andiamo per ordine. Innanzi tutto il Governo non ha mai posto la fiducia. Scrivere diversamente, (per di più talora confondendo mozione di fiducia con questione di fiducia) significa dare informazioni sbagliate. Quanto a tagli di emendamenti, basterà ricordare che se il Presidente Grasso non avesse dichiarati irricevibili gli oltre 82 milioni di emendamenti presentati dal Senatore Calderoli, ancora oggi e fino al 2032 il Senato sarebbe impegnato nel loro esame. Secondo punto: la Costituzione (la stessa che si vorrebbe difendere) non vieta al Governo di presentare disegni di legge costituzionali. Del resto, cosa sarebbe cambiato se esso fosse stato presentato da un parlamentare di maggioranza? Invero, tale eccezione nasconde una visione del sistema di governo ottocentesca, in cui Governo e Parlamento sono separati, quando invece sono legati da un rapporto di fiducia, con il primo che si pone come comitato direttivo, e non esecutivo, della sua maggioranza parlamentare. Ed infatti, tutti sanno che è merito della determinazione del Governo Renzi se, contro tutte le aspettative, si sia riusciti, dopo trent'anni di sterili discussioni, a portare a referendum la riforma costituzionale, in una legislatura che sembrava destinata a immediata fine (com'è accaduto la scorsa settimana in Spagna). Proprio per questo motivo - terzo punto - parlare di maggioranza risicata e oscillante è ingeneroso, oltrechè infondato. Chi si prende la cura di consultare gli esiti delle votazioni, vedrà che il testo è stato approvato con una maggioranza (prima semplice, poi assoluta) tra il 56 ed il 58%. Maggioranza che sarebbe stata più ampia se una parte di Forza Italia, non avesse deciso, per mera ripicca politica dopo l'elezione di Mattarella, di votare contro un testo che invece aveva all'inizio appoggiato (e che ora, a sprezzo del ridicolo, Berlusconi qualifica come regime). Un iter, quindi, conforme alla procedura di revisione costituzionale delineata dalla Costituzione e che ha avuto origine da un largo consenso iniziale sul testo, il quale, peraltro, rifletteva le conclusioni, ampiamente condivise, dei c.d. saggi nominati dal Governo Letta. Ma, si obietta, - quarto punto - quella che ha approvato la riforma costituzionale è una maggioranza illegittima perché pompata dal premio di maggioranza previsto da una legge elettorale dichiarata incostituzionale. Qui occorre distinguere. Sotto il profilo giuridico, come non a caso a tenuto a precisare la Corte Costituzionale, il Parlamento, per il principio della necessaria continuità degli organi costituzionali, è pienamente legittimato a legiferare, senza alcun limite, e quindi anche in materia costituzionale. Sotto il profilo politico, certo si può discutere. Ma è proprio per prevenire tale obiezione che, quando all'inizio sembrava possibile, grazie all'appoggio di Forza Italia, che si potesse raggiungere sul testo la maggioranza dei due terzi (che avrebbe impedito il ricorso al referendum), fu il Governo stesso (pochi lo ricordano) a impegnarsi perché essa non fosse raggiunta, così da permettere in ogni caso agli elettori di pronunciarsi sulla riforma, sanando quindi il possibile difetto di legittimazione politica. Infine, gli ultimi due argomenti. Il partito vincente potrebbe controllare l'elezione degli organi di garanzia: Presidente della Repubblica, parte dei Giudici Costituzionali e dei membri del Consiglio Superiore della Magistratura. Argomento aritmeticamente infondato. Per eleggere simili cariche occorre, alla fine, la maggioranza dei tre quinti (prima degli aventi diritto, poi dei votanti, dalla prima di solito non dissimile, trattandosi di occasioni solenni e politicamente importanti), cioè 438 parlamentari. Ammesso e non concesso che tutti e 340 deputati della maggioranza votino compattamente a favore (e già che questo è opinabile, come dimostra il dissenso interno al Pd), occorrono altri 98 dei 100 senatori eletti in modo proporzionale. Semplicemente impossibile. Ultimo argomento (è la new entry di questi giorni): la pessima redazione dell'articolo che fissa le competenze legislative del nuovo Senato rispetto all'attuale articolo 70: un rigo quest'ultimo, una pagina il primo. Ma è elementare (direbbe Watson...) che basta un rigo per dire che le due Camere fanno insieme tutte le leggi; ce ne vogliono molti di più per scrivere ciò che fa (solo) la Camera e ciò che fa (anche) il Senato. Basterebbe, del resto, prendersi la briga di andarsi a leggere, ad esempio, i corrispondenti articoli delle Costituzioni tedesca (77 e 78), francese (45) o del Parliament Act inglese. Conclusione: chi ricorre a simili argomenti pretestuosi e infondati vuole solo drammatizzare i toni del dibattito per impaurire l'elettorato. Non è su questo terreno, invece, che il confronto tra favorevoli e contrari alla riforma va sviluppato, bensì su quello delle argomentazioni di merito, preservando quella "grammatica comune" che dovrebbe impedire distorsioni strumentali. Altrimenti il rischio è che, qualunque sarà l'esito del referendum, ad uscirne lacerata sarebbe comunque la Costituzione. E questo nessuno dei contendenti se lo può permettere.

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