Landini, leggi Di Vittorio

da "Europa" di oggi Landini, leggi Di Vittorio è il 14 maggio 1947. In Assemblea Costituente si discute il futuro articolo 46 della Costituzione, al momento era il 43. Il testo che entra recita: «I lavoratori hanno diritto di partecipare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende ove prestano la loro opera». La discussione inizia serrata, ma il liberale Corbino segnala che, anche a causa della difficile crisi di governo che ha portato alcuni deputati ad assentarsi, varrebbe la pena di sospenderla. La proposta è respinta e si giunge all’emendamento chiave, quello della sinistra sociale della Democrazia cristiana, firmatari il futuro presidente della repubblica Gronchi, il sindacalista della Cisl Pastore, l’aclista Storchi a cui si aggiunge Fanfani. Esso comporta due modifiche rilevanti, oltre alla soppressione delle ultime parole. La prima è all’inizio, dove vengono premesse le parole: «Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro, ed in armonia con le esigenze della produzione». La seconda, nel prosieguo, sostituisce il termine “gestione”, che era tributaria dell’esperienza un po’ confusa dei Consigli di gestione del Nord nella fase della Resistenza e della guerra, con la collaborazione alla gestione: «La Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende». L’intervento chiave è quello di Gronchi, una vera e propria lezione di riformismo. Bisogna chiarire bene sin dall’inizio – sostiene illustrando la prima modifica – che vogliamo elevare la condizione del lavoratore, da «strumento » a «collaboratore » della produzione. Ciò però deve avvenire con «progressività», senza la pretesa di un «capovolgimento totale e completo» che si tradurrebbe in un boomerang. Per questo si deve inserire anche il richiamo alle «esigenze della produzione» perché l’«imperativo categorico» deve essere «in primo luogo, in ogni tipo di sistema economico, quello di produrre di più affinché vi siano più utili, più frutti da distribuire». Gronchi passa poi a chiarire il termine «collaborazione » alla gestione che è preferibile perché è un termine mediano: per un verso va contro un «paternalismo anacronistico» di parte datoriale, per altro verso non disconosce «una certa posizione gerarchica di compiti e di responsabilità». C’è un prosieguo di dibattito in cui il relatore e presidente della terza sottocommissione, il socialista Ghidini, preferirebbe mantenere il testo originario, ma il comunista Di Vittorio dà la svolta al dibattito, dopo aver dichiarato anch’egli che preferirebbe il testo originario afferma: «Però, siccome noi vogliamo ricercare dei punti di incontro con altri gruppi che rappresentano larghe correnti dell’opinione pubblica e di lavoratori, voteremo l’emendamento sostitutivo Gronchi attribuendo al concetto di collaborazione il significato di partecipazione attiva dei lavoratori alla gestione dell’azienda». La discussione poi prosegue sull’opportunità o meno di inserire un richiamo specifico alla partecipazione agli utili. Anche qui è decisivo l’intervento di Gronchi che si dichiara contrario perché il testo già approvato è sufficiente a ricomprenderla, l’articolo deve limitarsi a enunciare in Costituzione «un principio da attuare poi nelle varie riforme che dovranno essere condizionate dal momento in cui si realizzeranno». Uno sguardo evidentemente presbite se si pensa alle discussioni di questi giorni sul punto specifico e più in generale sul pluralismo delle forme di partecipazione da non irrigidire con troppi vincoli e da lasciare all’autonomia collettiva. Nella discussione si inserisce però anche Einaudi che vuole la bocciatura dell’emendamento con una motivazione opposta, per la quale cerca consensi nella sinistra comunista, in nome del fatto che la legge non può spingere alla conciliazione di interessi di classe opposti. Utilizzando da destra le impostazioni comuniste più tradizionali si batte contro la partecipazioni ai profitti perché «le leghe operaie e le associazioni operaie hanno sempre ritenuto che fosse il cavallo di Troia allo scopo di distruggere la solidarietà operaia». L’emendamento è alla fine bocciato e qui il testo si divarica dalla storia costituzionale successiva. Alla lettera avrebbe vinto Gronchi perché il testo vigente del 46 legittima anche norme che portino alla partecipazione agli utili, invece la presenza egemone nella sinistra di una cultura conflittualista, quella usata strumentalmente da Einaudi, ha portato a non dare attuazione all’articolo, a non valorizzare il riformismo innovativo gronchiano condiviso da Di Vittorio. Dopo tanto parlare di «Costituzione più bella del mondo» e inattuata su vari aspetti non sarebbe allora il caso di attuare proprio il 46 e magari, nell’incontro di lunedì, che Bersani regalasse a Landini queste pagine molto istruttive? Ispirarsi a Gronchi e Di Vittorio aiuterebbe molto. Stefano Ceccanti

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